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Prima volta al mondo

A un cardiopatico un cuore di maiale, Colledan: “Importante, sono in calo gli organi utilizzabili”

Michele Colledan, direttore del dipartimento funzionale per l'insufficienza dell'organo e trapianti dell'Ospedale Papa Giovanni di Bergamo, commenta il primo trapianto di un cuore di maiale sull'uomo

È di pochi giorni fa l’annuncio del primo trapianto al mondo di un cuore di maiale in un uomo cardiopatico. Tecnicamente, si parla di “xenotrapianto” (trapianto da una specie animale ad un’altra). Si può facilmente comprendere come un tale esperimento, se coronato da un effettivo e duraturo successo, potrebbe rappresentare una significativa soluzione alla cronica carenza di organi da trapiantare, a fronte di lunghe liste di pazienti in attesa di ricevere una chance di vita.

L’innovativo intervento, realizzato da un’equipe di medici della University of Maryland School of Medicine (Usa), coordinati dall’esperto chirurgo Bartley P. Griffith, è stato effettuato su David Bennett, un paziente 57enne affetto da una forma gravissima di aritmia che lo avrebbe in breve portato alla morte.
A pochi giorni dal trapianto, David Bennett è vivo, il suo nuovo cuore svolge adeguatamente la propria funzione e i medici sperano anche di poterlo presto disconnettere dalla macchina cuore-polmoni (ECMO), che finora ha supportato la ridotta funzionalità cardiaca.

Ora si attende che nei prossimi giorni e mesi non sopravvengano gravi complicazioni. Sul piano clinico, i maggiori rischi legati a questo tipo di intervento – ricorda il chirurgo Michele Colledan dirige il dipartimento funzionale per l’insufficienza d’organo e trapianti dell’Ospedale Papa Giovanni di Bergamo – riguardano anzitutto il rischio di rigetto, accentuato dalla provenienza animale dell’organo e quello delle infezioni favorite dalle terapie immunosoppressive oltre alla verifica della corretta funzionalità “in situ” e nel tempo, del cuore trapiantato (un cuore di maiale cresce di più di un cuore umano).

Un altro rischio specifico insito negli xenotrapianti è la possibilità di trasmissione, insieme all’organo animale, di infezioni – dette “zoonosi” – causate da agenti nocivi o no nell’animale stesso, ma che nell’uomo potrebbero risultare dannosi. In questo caso, trattandosi di maiali allevati e “controllati” fin dalle fasi embrionali, con uno stato di salute certificato, il rischio di xenozoonosi è sicuramente ridotto ma certamente non eliminato.

Professor Colledan, l’ospedale di Bergamo rappresenta a livello nazionale un centro per i trapianti di primo livello. Il primo trapianto al mondo di un cuore di maiale in un uomo, che cosa rappresenta e cosa proietta sul centro bergamasco?

Nel breve periodo purtroppo non proietta molto sul nostro ospedale. Per avviare una ricerca di questo tipo è necessaria una lunghissima preparazione con complesse sperimentazioni nell’animale e costi estremamente elevati. Esisteva dell’attività in questo senso sia da parte del nostro gruppo, ancora quando eravamo a Milano, sia qui a Bergamo, nei laboratori dell’ Istituto Mario Negri. Questa attività ha subito, come un po’ di tutto il mondo, un forte rallentamento ai tempi della cosiddetta malattia della “mucca pazza”. A quell’epoca, il problema delle zoonosi, le infezioni dall’animale all’uomo, aveva rappresentato un grosso freno per tutte le attività di xenotrapianto. Negli ultimi anni c’è stato però un rinnovato interesse in questo ambito e questo esperimento di trapianto lo rilancerà ulteriormente in tutto il mondo. Difficile dire oggi quando sarà possibile avviare qualcosa di questo genere anche qua a Bergamo. Sicuramente i tempi non saranno brevi.

Perché questo intervento è avvenuto negli Stati Uniti? Ci sono particolari attenzioni? C’è più disponibilità nella ricerca sui trapianti?

In generale, negli Stati Uniti c’è la possibilità, forse più che in altri paesi, di accedere a finanziamenti di ricerca veramente importanti. In particolare, poi, su questo tema c’è un interesse commerciale economico importantissimo. Infatti, come sappiamo la sanità negli Stati Uniti è fondamentalmente privata e le cifre che girano attorno ai trapianti sono cifre da capogiro. Quindi è normale che ci sia un interesse da parte delle industrie di biotecnologie a sviluppare questo tipo di canale e da parte degli ospedali ad esplorarlo. Tutto sommato credo non sia casuale. Sicuramente, però, è una tappa importantissima che rilancerà l’interesse anche negli altri Paesi.

Perché il cuore di maiale è più adatto per l’uomo, quando era già stato fatto un esperimento con il cuore di un babbuino?

Sono molti i punti da affrontare su questo versante. Innanzitutto è più facile ed anche meno costoso allevare un maiale da stabulare e sul quale intervenire geneticamente. Poi c’è una questione dimensionale: i primati utilizzabili, sostanzialmente i babbuini, hanno un cuore troppo piccolo per la maggior parte dei pazienti. Il cuore del maiale è più grande, anzi, anche troppo. Per questo motivo si usano maiali giovani, non completamente cresciuti, e manipolati anche in modo da arrestare l’accrescimento del cuore dopo il trapianto. .
L’esperienza di un trapianto di cuore tra specie diverse era già stata tentata nei primi anni Ottanta, da un babbuino ad un bambina. I primati generano problemi, anche etici, molto complessi e all’epoca della precedente esperienza non esisteva la possibilità di manipolare geneticamente l’animale donatore, si lavorava solo con farmaci ed era necessario utilizzare specie il più possibili affini all’uomo. Adesso, con gli sviluppi della biologia molecolare, è forse più semplice utilizzare un animale come il maiale, di più facile gestione, e manipolarlo per rendere il cuore compatibile, che partire da un animale più vicino all’uomo, che comunque dovrebbe essere manipolato in ogni caso, ma che è più difficile da gestire.

Quante manipolazione genetiche ha subito questo cuore prima di essere trapiantato?

Da quello che è stato possibile sapere dalla stampa divulgativa, stiamo ancora aspettando notizie dalle riviste scientifiche, si parla di dieci geni modificati o manipolati. Un lavoro estremamente complesso.

Bergamo ha un ospedale di primaria importanza per i trapianti e la Lombardia vanta il maggior numero di allevamenti di maiali a livello italiano. Sono due condizioni favorevoli, ma si dovrà aspettare ancora molto prima che si parli di un trapianto di questo tipo?

Credo che prima di pensare a un’applicazione clinica di questo tipo ci vorrà ancora molto tempo. Certo, in Lombardia e a Bergamo, ci sono delle condizioni favorenti che potrebbero renderlo un luogo idoneo per sviluppare questo tipo di interventi. Devo anche dire che il cuore si presta più di altri organi, io mi occupo di trapianti di altri organi, soprattutto del fegato che è un organo con una funzione più complessa e variegata. Produce molte sostanze indispensabili e non è detto che quelle prodotte da un fegato animale siano compatibili con le funzioni necessarie nell’uomo. Il cuore, viceversa, ha una funzione sicuramente cardinale, ma relativamente semplice: deve pompare sangue. Un altro motivo fondamentale per cui questo è stato un trapianto di cuore è rappresentato dal fatto che per il cuore, la scarsità di organi per trapianto è più grave che per altri organi. L’età media dei donatori utilizzabili in Italia sta continuamente crescendo e una percentuale sempre minore di questi ha un cuore utilizzabile. Il risultato è che, negli ultimi due decenni abbiamo assistito ad una riduzione drammatica dei trapianti di cuore, quando al contrario abbiamo assistito ad un, seppur limitato, aumento di trapianti di altri organi. Quindi c’è un bisogno superiore.

In questi giorni c’è anche un allarme sulla peste suina africana, che colpisce i cinghiali, ma anche allevamenti di maiali. Lei prima parlava della possibilità di trasmissione di malattie dagli animali all’uomo. C’è una grande attenzione anche su questo fronte?

Sì, c’è molta attenzione anche su questo aspetto. Sicuramente ulteriormente acuita anche dall’esperienza tragica che abbiamo vissuto e stiamo vivendo. L’argomento delle continua ad essere un importante potenziale limite per questo tipo di ricerca.

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