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Ariela benigni

Non solo Omicron: “Cosa sappiamo e quali rischi comportano le nuove varianti Covid”

L'esperta, dell’Istituto Mario Negri, traccia il punto della situazione sugli sviluppi della pandemia da Covid-19

“Secondo i primi dati disponibili, la variante Omicron è più contagiosa ma meno aggressiva della Delta: se queste caratteristiche verranno confermate vorrà dire che, se non si svilupperanno altre varianti, potremo conviverci”. Così la dottoressa Ariela Benigni dell’Istituto Mario Negri traccia il punto della situazione sugli sviluppi della pandemia da Covid-19.

In questi giorni sui quotidiani e in televisione si sono susseguite molte notizie relative all’identificazione di alcune nuove varianti del virus SARS-CoV-2, che hanno cominciato a diffondersi in diversi Paesi del mondo: abbiamo intervistato la dottoressa Ariela Benigni per saperne di più.

Quali sono le varianti che stanno circolando ora?

Al momento la variante prevalente è Omicron, che è nata in Botswana, un Paese dell’Africa meridionale che confina con il Sudafrica. Dal Botswana, attraverso soggetti infetti si è spostata a Hong Kong e successivamente si è diffusa in Sudafrica, dove è stata identificata. Ora ha preso il sopravvento negli Stati Uniti, in Europa e non solo: il trend si riscontra anche in Italia e sul nostro territorio, più precisamente in Lombardia e nella provincia di Bergamo. Secondo gli ultimi dati disponibili, raccolti attraverso una flash survey condotta in collaborazione tra Istituto Mario Negri e Asst Bergamo Est, il 90% dei tamponi sequenziati a campione ne ha rilevato la presenza, quindi si può affermare che nella nostra zona sia la variante dominante. Sta ancora circolando la Delta, che con ogni probabilità aveva cominciato a diffondersi alla fine del 2020 e ha fatto registrare un boom di contagi nella primavera del 2021.

La prevalenza della variante Omicron è meglio rispetto alla Delta?

La variante Omicron è più contagiosa ma nella maggior parte dei casi dà origine ad una malattia più lieve rispetto alla Delta. Studi di laboratorio dimostrano che è in grado di infettare le cellule delle prime vie aeree e dei bronchi ma non quelle polmonari e i sintomi prevalenti nei soggetti infettati sono simili al raffreddore o ad una sindrome influenzale. Per alcuni soggetti in Sudafrica, però, è stata letale: il rischio di sviluppare la malattia in forma severa dipende molto dalla condizione del soggetto che viene infettato. Più precisamente, se la persona è in età avanzata, è affetto da altre patologie (comorbilità), è più facile che potrà ammalarsi gravemente o morire.

L’avvento di Omicron potrebbe essere l’inizio di varianti sempre meno aggressive?

È quello che speriamo. Se Omicron si confermerà portare a una malattia con sintomi più leggeri, vorrà dire che sarà una variante con cui potremo convivere: in questo caso sarebbe come una comune influenza. Sappiamo che l’obiettivo del virus è di diffondersi il più possibile ma se provoca la morte della persona infettata, viene meno anch’esso. Due studi, invece, forniscono informazioni interessanti sull’origine di Omicron.

Ci spieghi

Inizialmente si era ipotizzato che Omicron potesse aver avuto origine dalla ricombinazione di un virus in un individuo affetto da Covid a lungo (sei mesi) con una seconda variante. Uno studio realizzato in collaborazione fra la Seattle University e l’istituto di ricerca in Biomedicina in Svizzera, invece, suggerisce che Omicron derivi da una variante che ha infettato l’uomo, poi sia stata trasmessa a un animale e successivamente ritrasmessa all’uomo. E le stesse considerazioni sono state formulate da uno studio cinese.

Cosa significa?

Il “virus progenitore” di Omicron probabilmente ha subito quello che nel linguaggio scientifico viene definito “evento zoonico inverso”. Con il termine “zoonosi” si indica la trasmissione di malattie di tipo batterico-virale dagli animali all’uomo, mentre qui si sarebbe verificato il procedimento inverso. Il virus sarebbe passato dall’uomo al topo e dal roditore sarebbe tornato agli esseri umani. Quando il virus si trovava nel topo avrebbe accumulato le numerose mutazioni che contraddistinguono Omicron.

Come si è giunti a questa ipotesi?

Si è arrivati a questa considerazione dopo un’attenta analisi delle mutazioni dell’RNA virale. La variante Omicron è ricca di mutazioni che possono dipendere da un passaggio in un’altra specie presumibilmente il topo.

In Danimarca è stata identificata anche una variante “sorella” di Omicron

Si tratta di una variante molto simile ma non identica a Omicron, per questo si definiscono “sorelle”: potrebbero essersi sviluppate in modo autonomo, quasi parallelamente. In Italia sono stati riscontrati alcuni casi, mentre in Danimarca è prevalente: in quest’ultimo Paese viene eseguita una grande quantità di sequenziamenti, quindi è più facile che vengano isolate nuove varianti. Rispetto all’Omicron, risulta più difficile individuarla perché non presenta una determinata alterazione che la caratterizza: per distinguerle, la danese è stata identificata con il codice BA.2, mentre la sudafricana con BA.1. Per quanto riguarda i sintomi, invece, non ci sono ancora studi che le confrontino.

Si è sentito parlare anche della variante Deltacron. Cosa sappiamo a riguardo?

Sappiamo che è stata scoperta a Cipro e unirebbe le caratteristiche della variante Delta e Omicron. Sta facendo discutere, però, perché non si è sicuri della sua reale esistenza: secondo un ricercatore dell’Imperial College di Londra sarebbe il frutto di una contaminazione tra campioni avvenuta per errore in laboratorio. L’ipotesi più accreditata è che sia il frutto di un errore tecnico, anche perché per giungere all’unione di due varianti queste ultime dovrebbero coesistere da parecchi mesi e non sarebbe trascorso così tanto tempo da quando hanno cominciato a circolare insieme.

Poi c’è la variante francese, che si chiama IHU…

Si, è stata isolata a Marsiglia, in 12 soggetti provenienti dal Camerun, ma le informazioni su cui si può contare sono ancora piuttosto limitate. È circoscritta a queste persone ed è stata isolata nella prima decade di dicembre. Probabilmente è figlia di una variante che era stata riscontrata mesi fa in Congo ed era sotto monitoraggio dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Questa genealogia evidenzia il fatto che esistano numerosissime sottovarianti tra le quali si selezionano quelle più trasmissibili o quelle più aggressive.

A fronte di tutte queste nuove varianti, bisognerà aggiornare i vaccini?

Gli studi evidenziano che con il booster (la terza dose) abbiamo una buon protezione anche da Omicron: finora non si c’è la necessità di “rivedere” i vaccini, che restano l’arma di prevenzione, anche se diverse industrie farmaceutiche ci stanno lavorando. La ricerca è molto attiva anche sui farmaci: gli anticorpi monoclonali e gli antivirali. L’ Istituto Mario Negri è in attesa di ricevere l’autorizzazione per eseguire un nuovo studio che prevede la somministrazione di antinfiammatori in fase precoce come cura domiciliare.

Per concludere, nei giorni scorsi l’Ema ha lanciato un monito sui booster sottolineando che continuando a effettuare i richiami ogni 3/4 mesi, i vaccini attualmente a disposizione finiranno per non provocare più la risposta immunitaria al Covid

Al momento è fondamentale somministrare la terza dose dei vaccini al maggior numero possibile di persone in modo da avere una buona copertura contro la variante Omicron. Per capire come procedere in futuro, sarà necessario analizzare l’andamento della pandemia nei prossimi mesi.

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