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Lettere

La testimonianza

“Covid, che odissea: da Natale in isolamento e ancora non vedo la fine”

Il racconto di una lettrice, M.C., risultata positiva durante le feste: tra telefonate a vuoto, lunghe attese e tanta burocrazia

La testimonianza di una lettrice di Bergamo, M.C., risultata positiva al Covid-19 durante le feste di Natale: un’odissea fatta di telefonate a vuoto, lunghe attese e burocrazia.

La mattina del 25 dicembre il primo starnuto. In vista del – ristretto – pranzo tra parenti, decido di acquistare un tampone rapido da eseguire a casa. Mi dà risultato negativo.

La mattina del 27 dicembre mi sveglio con tosse e senza voce. Provo a contattare telefonicamente il mio medico di base, nella speranza che possa indicarmi cosa fare. Nessuna risposta, nessun messaggio in segreteria. Mando una mail, anche questa senza risposta, nemmeno automatica. Mi reco quindi in studio, citofono. Mi risponde la segretaria e mi porge un foglietto con il numero di telefono del sostituto: il medico è in ferie fino al 3 gennaio.

In data 28 dicembre riesco a contattare, al numero che mi era stato fornito, il sostituto del mio medico di base. Comunico al dottore i miei sintomi e di aver effettuato un tampone antigenico con esito negativo tre giorni prima, chiedendo se a suo parere fosse necessario ripetere il test, in modo da poter accertare la mia negatività. Mi viene risposto sbrigativamente non sia necessario. Decido quindi di acquistare autonomamente dei tamponi antigenici da effettuare a domicilio e li eseguo a distanza di un paio d’ore, entrambi danno esito positivo. Dalla sera inizio ad avere febbre.

Il giorno seguente, nell’orario di turno del sostituto, provo a contattare telefonicamente il medico più volte, senza successo. Non sapendo cosa fare, invio un messaggio comunicando la mia positività. Vengo ricontattata.

Riporto quasi testualmente la telefonata (la ricordo molto bene), al termine della quale mi è stato agganciato il telefono in faccia.

“Buongiorno dottore, avrà letto il mio messaggio, ho effettuato un tampone antigenico con risultato positivo, qual è l’iter da seguire?”

“Rimani a casa dieci o quindici giorni e poi prenotati un tampone in farmacia”

“Lo devo prenotare io? Non dovrebbe essere effettuata una segnalazione?”

“Sì, prenotatelo tu”

“Mi scusi, le persone con cui sono stata a contatto?”

“Che stiano a casa anche loro, non hai mica perso una gamba, ho da fare, ciao”.

Provo a chiamare il numero verde disponibile sulla pagina Ats. Vengo dirottata a un indirizzo email al quale scrivo e scriverò nel corso del tempo, più volte, invano.

Provo a richiamare il sostituto, senza successo. Sperando possa essere di nuovo utile, scrivo un messaggio chiedendo gentilmente di essere segnalata e di poter ricevere dei giorni di esenzione per malattia. Non sono d’aiuto. Dopo vari tentativi telefonici, in vista del termine del turno, mando un ulteriore messaggio chiedendo di essere ricontattata telefonicamente il prima possibile. Anche questo un buco nell’acqua.

Dopo aver chiamato più volte nel pomeriggio del 29, ritento il 30 dicembre, in orario di turno. Il numero di telefono che mi era stato fornito risulta staccato. Trovo online il numero dell’ambulatorio in cui opera. Per fortuna squilla.

Dopo ore di tentativi, trovo una voce all’altro capo del telefono. Ricomunico la mia positività e, di tutta risposta, mi viene chiesto cosa io voglia. Stupita, rispondo che avrei avuto anzitutto necessità di avere dei giorni di esenzione, non potendomi recare a lavoro. Mi viene chiesto “il codice”. Supponendo si tratti del codice fiscale, mi affretto a recuperarlo. Chiedo di attendere un secondo (letteralmente) e mi viene detto che avendo pazienti in attesa non possono attendere.

Comprendo la situazione. Rispondo che avrei necessità di avere almeno un minuto a disposizione per avere supporto e che lo avrei ricontattato in seguito, se più disponibile. Non ho il tempo materiale per poter chiedere un orario che mi viene risposto “va bene” e mi viene nuovamente agganciato il telefono in faccia. Effettuo decine e decine di chiamate, senza successo. Trenta minuti prima della fine del turno, inizio a trovare il telefono staccato.

Venerdì 31 dicembre, sempre in orario di turno, trovo non solo il numero di telefono che mi era stato fornito staccato, ma anche quello dell’ambulatorio. Non ho alcuna possibilità di contattare il medico, nonostante non sia stata comunicata alcuna assenza. Provo a inviare un messaggio illustrando nuovamente la mia situazione e chiedendo di essere ricontattata. Ancora una volta, non riscuoto successo.

A quattro giorni dall’esito positivo da tampone antigienico, cinque giorni dalla comunicazione della sintomatologia, ancora non sono segnalata ad Ats, come da prassi, dal sostituto del mio medico di base, né ho avuto giorni di esenzione dal lavoro o indicazioni su come curarmi. Per poter restare a casa, continuo a prendere giorni di ferie. Non sentirò mai più il sostituto.

Giro di boa del calendario, siamo a sabato 1 gennaio: febbre e tosse non accennano a diminuire, decido quindi di chiamare il Servizio di Continuità Assistenziale. Resto in attesa ore, non trovo risposta.

La sera apparecchio a tavola, questo piccolo sforzo mi provoca affanno e tachicardia, sono spaventata ma cerco di farmi forza.

Al risveglio l’affanno continua, questa volta anche a riposo completo. Non tentenno oltre e mi reco in Pronto Soccorso. All’ingresso non ci sono segnalazioni, scopro solo dopo quasi un’ora di coda che avrei potuto eseguire l’accettazione con priorità presso un altro sportello. Poco importa: finalmente, dopo qualche ora di attesa, riesco ad essere visitata e mi vengono fatti tutti gli esami del caso. Ancora una volta il tampone antigenico dà risultato positivo, mi viene prenotato un tampone molecolare per fine isolamento il 10 di gennaio. Comunico al medico che, nonostante i numerosi tentativi, non sono mai stata segnalata come positiva. Mi rassicura: “Sono tenuto a farlo, non serve nemmeno chiederlo”.

Il giorno successivo, 3 gennaio, riesco a contattare il mio medico curante. Racconto l’accaduto e mi vengono dati dei giorni di esenzione, fino al 10 posso stare tranquilla – non devo più sottrarre giorni di ferie alla mia, già ormai minata, estate. Tutto sembra andare, nel male, per il meglio. Mi prendo qualche giorno di riposo e infatti, dal 6 gennaio, inizio finalmente a stare meglio: la febbre sparisce, la tosse si affievolisce. Una piccola parentesi rosa che non durerà a lungo.

Lunedì 10, come da manuale, mi reco al centro tamponi indicato sul foglio che mi era stato consegnato, attendo il mio turno, mi sottopongo all’esame. Sulla via del ritorno accedo per sicurezza al mio Fascicolo Sanitario Elettronico ed ecco la terribile epifania: è sì presente il verbale del Pronto Soccorso che attesta la mia positività, ma la stessa non è riportata nella sezione “Referti test COVID-19” presente in pagina. Nonostante le mie raccomandazioni, per Ats non sono mai stata positiva.

A 24 ore dal mio test ecco il risultato: ancora positiva. Quello che temevo potesse accadere inizia, effettivamente, ad accadere: arriva il primo messaggio da parte del Ministero della Salute “La Certificazione verde sarà revocata”. Senza tregua arriva il secondo messaggio, questa volta da Ats, “Segnalazione Covid-19, inserisci i tuoi contatti”. Vengo rimandata a una sezione dove prenotare un tampone molecolare, non esistono slot liberi prima del 24 gennaio – considerando le 24 ore per l’esito, parliamo di un minimo di trenta giorni di isolamento.

Al diciassettesimo giorno di isolamento ricado nuovamente nella spirale: chiamo il numero verde disponibile sul sito Ats, dopo un iter di minuti con una voce registrata mi ritrovo a fronteggiare un telefono occupato (e spero non staccato). Non demordo e continuo, imperterrita, per ore, senza mai riuscire a trovar altro che un temibile “tuu, tuu, tuu” alla fine del processo.

Mando di nuovo un’email all’indirizzo a cui avevo scritto in precedenza e che ora trovo pubblicizzato in ogni dove, rimane senza risposta. Il numero verde della regione e il mio medico di base non mi possono aiutare, mi rimandano al muro di gomma che sto invano provando a contattare. Come ultima spiaggia, tento il contatto sui canali social a disposizione: non trovo altro che un mare di utenti naufraghi come me.

Il giorno successivo, che è poi il giorno in cui vi scrivo, è un giorno della marmotta: chiamate e mail non sortiscono, al solito, alcun effetto. Sono in isolamento da 18 giorni. Tra tre giorni, secondo la normativa vigente, dovrei poter interrompere il mio isolamento. Non ne vedo, invece, la fine.

Nonostante la stanchezza, mettere nero su bianco quanto accaduto è catartico: un peso condiviso è sulle spalle più leggero. Vi ringrazio quindi per aver aver preso un pezzo del mio fardello e prestato la vostra attenzione, che so aver messo a dura prova con un racconto estenuante. Quasi quanto il mio vissuto.

Lettera firmata

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