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Tra povertà e solitudine

Dall’operaio all’imprenditore, al Nuovo Albergo Popolare tanti bergamaschi: “Alto rischio fragilità”

Nel 2021 la struttura di via Carnovali ha accolto 135 persone. Il direttore Giacomo Invernizzi: "Con la pandemia numeri in aumento". La storia di un rappresentante del settore alimentare della Bassa, costretto a dormire in auto

Bergamo. “La società di oggi espone le persone ad un rischio fragilità sempre più alto”. Giacomo Invernizzi, direttore nel Nuovo Albergo Popolare di via Carnovali, arriva dritto al punto. Qui, nell’arco del 2021, sono state accolte almeno 135 persone: 21 di origine straniera, tutte le altre italiane o comunque bergamasche (l’ultimo dato disponibile è aggiornato al mese di novembre).

Del resto, la pandemia non ha fatto sconti a nessuno: l’emergenza sanitaria da un lato, quella economica e sociale dall’altro. “Fino a qualche anno fa arrivavano 80, al massimo 90 persone l’anno – osserva Invernizzi -. I numeri che registriamo dopo il Covid sono in aumento e quelle che vediamo sono sempre più spesso facce nuove”. Segno che è sempre più facile scivolare in situazioni di marginalità.

Nel recente passato c’erano i cosiddetti “cronici”: soggetti che entravano, uscivano e rientravano con una certa frequenza in periodi di difficoltà, non solo economica. “Succede ancora, ma questi periodi sono sempre più frequenti nel vissuto delle persone. Momenti durante i quali si possono sviluppare forme di dipendenza da sostanze o fragilità psichiche – spiega Invernizzi – spesso collegate alla perdita del lavoro, degli affetti o delle progettualità di vita”.

Nell’ex dormitorio pubblico della Malpensata trovano alloggio anche operai, titolari di Partita Iva, piccoli imprenditori. Donne e uomini che spesso e volentieri non hanno una rete parentale o amicale alla quale appoggiarsi. Qualcuno li ha definiti i “penultimi”, alle prese con povertà materiale e solitudine.

“Persone assolutamente ‘normali’, che da un giorno all’altro sono arrivate a toccare con mano la realtà della strada” dice Ivan Cortesi, responsabile della comunità di accoglienza. E che spesso hanno difficoltà nel riconoscere la loro situazione e vien da sé nel chiedere aiuto. Per troppo orgoglio, o forse per il senso di vergogna.

 

Nuovo Albergo Popolare

 

È il caso di un rappresentante del settore alimentare della Bassa Bergamasca. “Con la pandemia ha visto progressivamente diminuire il suo lavoro e aumentare le tensioni in famiglia – racconta l’operatore -. Complice una vertenza si è allontanato dalla moglie ed è arrivato a dormire in auto, fino a quando il Comune non ci ha segnalato la situazione”. Poi conferma: “Se prima arrivavano persone con situazioni di cronicità consolidate, note ai servizi sociali, oggi abbiamo a che fare con volti sempre nuovi, tant’è che gli stessi servizi sociali ci chiedono di osservare e raccogliere informazioni. È come se il Covid avesse accelerato un processo già in atto, riducendo ulteriormente il gap tra i più fragili e chi in qualche modo riusciva a cavarsela”.

Il Nuovo Albergo Popolare – di proprietà del Comune di Bergamo e affidato all’Opera Bonomelli – è tuttora la sede dell’associazione e dei principali servizi. Tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 accoglieva persone con problemi di emarginazione, tossicodipendenza, alcolismo, patologie psichiatriche. Poi, in seguito alla riorganizzazione che ha portato alla trasformazione da dormitorio a insieme di servizi e comunità di accoglienza, sono state attivate nuove forme di intervento per il reinserimento sociale, abitativo e lavorativo degli ospiti: sperimentazioni abitative, spazi e progetti di socialità in collaborazione con altri enti.

Oggi la maggior parte delle persone seguite hanno tra i 40 e i 65 anni di età. “Ma stanno cominciando ad arrivare diversi giovani – osserva Giacomo Invernizzi -. Una decina di under 25 solo nell’ultimo anno. Visto che queste situazioni sono sempre più diffuse – conclude il direttore del Nuovo Albergo Popolare – è necessario che i territori si organizzino, per un’intercettazione precoce e un accompagnamento nella fase di reinserimento”.

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