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L'intervista

Carolina Rosi al Donizetti: “Bergamo parte di me, grazie a zia Krizia ho scoperto il mondo e la bellezza”

La madre Giancarla Mandelli la sorella Mariuccia, in arte Krizia (la famosa stilista), sono originarie di Città Alta. L’attrice in scena dall’11 gennaio con “Ditegli sempre di sì”, di Eduardo De Filippo

Bergamo. Le passeggiate in città alta con la famiglia, tra le vie in cui sono cresciute la mamma e la zia. Le immancabili cene Da Vittorio con il marito Luca de Filippo, figlio del grande Eduardo, dopo ogni spettacolo al Donizetti.

Bergamo è senza ombra di dubbio un luogo del cuore Carolina Rosi, attrice, figlia regista Francesco Rosi (Cristo si è fermato a Eboli, Il caso Mattei, le Mani sulla città, ndr) e Giancarla Mandelli, sorella di Mariuccia, la celebre stilista Krizia. Certo, il talento e la curiosità per il mondo l’hanno resa l’artista che è ora. Ma la sua strada, fatto di teatro e bellezza, era già scritta nel dna.

Non solo, anche il destino ha fatto la sua parte. Carolina è una giovane aiuto regista al fianco di Lina Wertmüller quando incontra per la prima volta Luca de Filippo, diventato poi suo compagno di vita e di teatro per oltre vent’anni.

L’attrice ora torna a Bergamo con lo spettacolo “Ditegli sempre di sì”, firmato da Eduardo De Filippo e affidato alla regia di Roberto Andò, in scena al Donizetti dall’11 al 16 gennaio.

Carolina, con questo spettacolo lei torna a Bergamo, città dove sua mamma e sua zia Krizia sono cresciute. Che legame ha con la città?

Bergamo per me ha un valore affettivo primario rispetto ad altre città in cui spesso mi trovo a lavoro. È il luogo in cui sono cresciute mia mamma e mia zia. Quando ero bambina, avevamo l’abitudine frequente di venire da Milano per camminare in città alta. Ogni passeggiata diventata la passerella dei ricordi d’infanzia di mia madre e di Krizia. Il legame con la città è continuato anche da grande, dopo l’incontro con mio marito. Per lavoro, ma non solo, tornavamo spesso a Bergamo. La amavamo anche per la cultura culinaria. Alla fine di ogni spettacolo io e Luca eravamo ospiti fissi da Vittorio, che conosceva anche Eduardo, quando ancora il ristorante era in città bassa. E poi Bergamo è stata sempre affettuosa con la nostra compagnia e soprattutto con i testi di Eduardo. È per me una vera gioi poterci ritornare!

 Che ricordi ha di sua zia Krizia?

Mia zia era una donna speciale, una vera creativa. Traeva ispirazione dall’arte e dalla pittura. Riusciva a trasformare in sue intuizioni tutto ciò che di bello vedeva. Krizia è stata una professionista che si è costruita da sola. Ricordo che grazie alla vendita della Lambretta di mia madre, che usava per andare a lavorare a Milano, era riuscita a comprarsi una macchina da cucire con cui confezionava le sue creazioni. Non dimenticherò la sua tenacia e caparbietà. Qualità che riconosco nel popolo di Bergamo e che ho ritrovato in mia madre e mia zia. Oltretutto mia zia, non avendo avuto figli, è stata per me una seconda madre. Prima di fare l’attrice, ho lavorato nel mondo della moda e con lei ho scoperto il mondo. Mi manca molto.

Quale eredità artistica ha lasciato Krizia, secondo lei?

È stata una stilista che, insieme ad altri grandi, come Ottavio Missoni e Giorgio Armani, ha rivoluzionato il made in Italy, rendendo indimenticabili gli anni in cui ha operato. Basta prendere in mano un vestito Krizia per capirne l’estro e il talento. Ed ha fatto tutto questo in un momento storico in cui non era per nulla banale per una donna riuscire ad avere una carriera di un certo tipo.

Che rapporto ha con il nostro Teatro Donizetti?

Il teatro Donizetti è stato sempre una tappa molto attesa e amata sia da me che da Luca. In trent’anni avremo portato a Bergamo circa 18 spettacoli. Con il pubblico del Donizetti si è creato un legame che abbiamo voluto coltivare negli anni. Anche nel momento in cui il teatro è stato chiuso per restauro, siamo tornati per la stagione di prosa al PalaCreberg. E ora ci esibiremo nel nuovo Donizetti: sarà una grande emozione.

Ci racconti un aneddoto divertente di lei, Luca e tutta la compagnia al Donizetti.

Durante una tournée, che fece tappa anche a Bergamo, io e Luca avevamo preso un cucciolo di bassotto, Paco, che portavamo con noi. Lo portavo con me in camerino e lì rimaneva. Al Donizetti non andò così. mancavano cinque minuti al debutto. Tutta la compagnia stava dietro al sipario chiuso. Dall’interfono sento la voce di alcune signore che esclamavano: “Ma che carino questo cagnolino!”. Paco era andato a farsi un giretto e si era messo affacciato alla balaustra della buca, in bella vista. È stata un’impresa recuperarlo. Noi attori provavamo a richiamarlo dietro al palco ma lui non accennava a spostarsi. “Mi raccomando non ditelo a Luca!”, continuavo a dire. Alla fine, lo spettacolo andò talmente bene che raccontai tutto a mio marito. È un fatto che ricordo con sorriso.

“Digli sempre di sì” è lo spettacolo che la porta nuovamente in scena al Donizetti. Il testo è del grande Eduardo De Filippo.

È uno spettacolo che ha sempre riscosso successo tra il pubblico, cosa che testimonia una voglia spasmodica del pubblico di tornare a teatro. Cosa che purtroppo non sta succedendo per il cinema. Questo spettacolo, in particolare, dove ci si diverte molto e si riflette, esaudisce il desiderio che hanno ora le persone: provare emozioni emozioni insieme ad altri. 

La follia è ancora un tabù nella nostra società, come viene raccontato nello spettacolo?

Il testo di Eduardo parla di disturbi e fragilità. Ci sono momenti estremamente comici e momenti di riflessione dove si evince la solitudine del personaggio e l’inadeguatezza della società nell’affrontare e accettare le fragilità altrui. Anche per questo, la regia di Roberto Andò sottolinea le ombre di tutti i personaggi della storia. Compreso il mio, Teresa, la sorella del protagonista Michele Murri, che sarà la prima a realizzare che il fratello non guarirà e dedicherà tutta la vita a prendersi cura di lui.

Ovunque questo spettacolo sia arrivato, ha registrato sold-out. Il merito è sicuramente anche di Eduardo.

Sicuramente. Soprattutto di Eduardo. Le sue commedie non hanno data. È l’autore più moderno di tutti, prevedeva ciò che sarebbe accaduto e correggeva i suoi testi nel corso degli anni. Proprio per questo lo spettacolo non è ambientato in un’epoca definita.

L’arte è nel suo dna. Il cinema italiano, e non solo, deve molto a suo padre, Francesco Rosi.

Sono cresciuta sui set. Non potevo non essere toccata da quello che lui ha fatto per il cinema e per la società civile. La mia esistenza è stata segnata dai temi che mio padre ha affrontato nei suoi lavori e soprattutto dall’uomo che è stato in vita. Ho scoperto l’arte grazie a mio padre che, sin da bambina, mi portava a teatro e alle mostre, di qualsiasi tipo. Lui mi ha fatto conoscere Eduardo attraverso il teatro. Quando poi, per caso, ho conosciuto Luca, ero assistente alla regia di Lina Wertmüller. A quel tempo credevo che il teatro non facesse per me. Invece poi quest’arte espressiva ha finito per affascinarmi più del cinema. Il teatro mi ha dato la possibilità di interpetrare ruoli distanti dalla persona che sono. E un’arte dal vivo che va tutelata: è qualcosa che vive dell’emozione dell’attore che cerca di trasmettere un pensiero a uno spettatore, in carne ed ossa, che prova nello stesso momento la stessa cosa. Non esiste teatro senza pubblico.

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