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L'analisi

Come rimettere in circolo i risparmi accumulati dei depositi delle famiglie e delle imprese

Una maggiore differenziazione delle fonti di finanziamento delle imprese, accompagnata da un’efficace tutela dei risparmiatori, e un miglior funzionamento della giustizia civile possono sicuramente favorire l’impiego del risparmio delle famiglie nel sostegno delle attività produttive

I depositi di famiglie e imprese presso le banche sono aumentati di oltre 200 miliardi, dallo scoppio della pandemia. L’incremento ha riflesso sia le restrizioni alla mobilità imposte per ridurre i contagi, sia la forte incertezza sulle prospettive economiche, fattori che hanno accresciuto il risparmio precauzionale e frenato l’accumulazione di capitale. Questo risulta dalla ricerca della Banca d’Italia sullo stato dei risparmi delle famiglie (Giornata mondiale del risparmio 2021, 21 ottobre 2021).

Il trend è più impressionate se si tiene conto dell’andamento del reddito del Paese, il Prodotto interno lordo, che a fine 2019 era a quota 1.787 miliardi. Le due voci, liquidità sui depositi e Pil, tendono altresì a convergere: la prima aumenta con il crescere dei timori per il futuro, il secondo scende per effetto delle restrizioni che incidono su fiducia, consumi e sulla domanda di beni e servizi.

La realtà è che la tendenza ad accumulare risparmio era cresciuta soprattutto tra le imprese di dimensioni più grandi già prima dell’estate: i dubbi sulla forza della ripresa e i timori per una nuova crisi di liquidità legata a lockdown anche solo in alcune aree ha spinto parecchi imprenditori alla prudenza.

Peraltro occorre rilevare che il sistema italiano soffre in modo endemico dell’incapacità di portare il risparmio verso l’economia reale. Un tema sul quale era tornata anche la presidente dell’Ania, Bianca Maria Farina, quando, in occasione dell’assemblea annuale, sollecitò regole più flessibili per consentire alle compagnie assicurative d’investire in settori chiave come le infrastrutture.
I dati del bollettino Abi confermano anche la crescita degli impieghi del settore bancario, trainata dalle garanzie pubbliche sui prestiti. L’incremento dei finanziamenti a famiglie e imprese non finanziarie è stato a settembre del 4,8 per cento anno su anno, a quota 1.316 miliardi (ad agosto l’incremento era stato del 4,1 per cento). I finanziamenti alle imprese a settembre hanno segnato l’incremento più significativo: +6% contro il +4,5 per cento del mese di agosto.

Sul fronte dei crediti deteriorati segnano uno dei livelli più bassi le sofferenze nette, che si attestano a 24,4 miliardi con un rapporto su capitale e riserve del 6,83 per cento.

Le tendenze
Una parte di questa liquidità accumulata calerà fisiologicamente, con il ritorno alla crescita di consumi e investimenti. Le prime indicazioni si sono riscontrate nei mesi passati, con un rallentamento dei depositi e il calo della propensione al risparmio, ancora tuttavia superiore ai livelli pre-pandemici. Tra la fine del 2019 e lo scorso marzo le attività finanziarie delle famiglie sono cresciute di 135 miliardi (di oltre 200 se si tiene conto anche della variazione di valore dei corsi dei titoli).

In primo luogo è aumentata la componente dei depositi e del circolante, arrivata a rappresentare circa un terzo del totale, un valore elevato nel confronto storico. Ma sono cresciuti anche gli investimenti in quote di fondi comuni e il risparmio dato in gestione alle compagnie assicurative.

Il confronto con la realtà europea è impietoso. Rispetto alla media europea, le famiglie italiane investono in misura minore la loro ricchezza finanziaria in fondi pensione (il 3% rispetto al 10%), allocandone invece una quota maggiore in fondi comuni e in “azioni e partecipazioni” (rispettivamente il 15% rispetto al 10% e al 21% rispetto al 18%). Solo parte degli investimenti dei fondi, tuttavia, finanzia le imprese residenti: le azioni e le obbligazioni nazionali, infatti, rappresentano il 5% del totale delle loro attività, a fronte del 34% in Francia e del 14% in Germania.
Tra gli investimenti diretti in “azioni e partecipazioni” quelli che riguardano titoli quotati sono pari al 2,4% della ricchezza finanziaria, la metà di quanto si osserva nella media dell’area dell’euro. Sono invece significativi gli investimenti in partecipazioni, tipicamente concentrate in imprese piccole e non quotate. Questa composizione di portafoglio è in gran parte il riflesso della struttura del tessuto produttivo italiano, caratterizzato da numerose aziende di dimensioni contenute in cui spesso la proprietà coincide con la gestione, nonché dal limitato ricorso delle imprese alla quotazione in borsa; in Italia il rapporto tra capitalizzazione e prodotto è inferiore al 25%, rispetto a quasi il 100% in Francia, il 50% in Germania, il 40% in Spagna.

È un dato che la scarsità dell’offerta di strumenti liquidi e negoziabili da parte delle imprese italiane limita il ruolo che il mercato può assolvere per contribuire al finanziamento dell’economia.
Un ruolo che viene svolto da investitori istituzionali e intermediari quali i fondi comuni aperti, che effettuano le proprie scelte di allocazione del portafoglio sulla base dei principi di diversificazione dei rischi e di pronta liquidabilità delle quote.

Che cosa fare
Per orientare il risparmio alle attività delle imprese diviene importante operare sul fronte dell’offerta degli strumenti finanziari. Si possono così allargare le possibilità di attrarre investimenti di fondi dall’estero, beneficiando degli sviluppi attesi sul fronte dell’attivazione di un reale mercato unico dei capitali nell’Unione europea.

Nel recente passato sono stati fatti alcuni, modesti, progressi. Sia nel 2019 sia nel 2020, nonostante la crisi, il valore delle obbligazioni emesse dalle imprese italiane, sebbene ancora basso nel confronto internazionale, è stato pari a circa 47 miliardi, contro i 35 della media del quinquennio precedente. Le nuove quotazioni in borsa hanno raggiunto un massimo storico di 33 nel 2019, e si sono riportate a 21 nel 2020, valore comunque in linea con la media 2014-18. Ulteriori, rilevanti, sviluppi restano necessari per accrescere la patrimonializzazione, la dimensione e la capacità d’innovare delle imprese.

Utile il processo di razionalizzazione degli incentivi fiscali, che sono andati stratificandosi nel tempo, così da garantire a risparmiatori, investitori istituzionali e aziende la necessaria stabilità del quadro di riferimento. Accanto agli interventi volti ad ampliare l’offerta di strumenti finanziari da parte delle imprese si collocano quelli diretti ad accrescere le tutele per risparmiatori e investitori. Correttezza e trasparenza dei rapporti tra intermediari e clienti sono peraltro esse stesse funzionali ad attrarre gli investimenti.
Se, da un lato è importante che gli operatori dell’industria del risparmio gestito agiscano nel pieno rispetto, non solo formale, della normativa, dall’altro, assume un ruolo fondamentale quello dalle diverse autorità di controllo responsabili.

In Banca d’Italia, con la creazione del Dipartimento Tutela della clientela ed educazione finanziaria, ha posto le basi per rafforzare la vigilanza volta ad assicurare la trasparenza e la correttezza nelle relazioni fra intermediari e clienti nell’offerta di prodotti bancari e servizi di pagamento, per rendere più efficace l’attività di supporto all’organismo di risoluzione stragiudiziale delle controversie (l’Arbitro Bancario Finanziario), per estendere i programmi di educazione finanziaria rivolti a studenti e adulti. Si tratta di iniziative progettate non solo per accrescere la capacità dei cittadini di investire in modo efficiente i propri risparmi, ma anche per diffondere una maggiore consapevolezza dei rischi connessi con i diversi strumenti finanziari.
Sul tema del risparmio non si può più eludere la questione delle cripto-attività. Vi è una attenzione nel limitare i rischi che possono derivare da una diffusione non controllata di questi strumenti, la cui capitalizzazione di mercato a livello globale è triplicata nel 2021, raggiungendo 2.500 miliardi di dollari.

Per le attività che, invece, si prefiggono di mantenere un valore stabile nel tempo (le cosiddette stablecoin) e che per le loro caratteristiche potrebbero essere utilizzate per i pagamenti, è in corso il negoziato per la definizione di un quadro normativo europeo che preveda, tra l’altro, diritti di redimibilità e regole volte a garantire la capacità dell’emittente di soddisfare richieste di rimborso senza ricorrere a vendite improvvise di titoli. Per queste ultime attività l’Italia ha contribuito alla definizione delle dieci raccomandazioni adottate dal Consiglio per la stabilità finanziaria (Financial Stability Board, FSB) e riconosciute dal Gruppo dei Sette (G7) riguardanti le implicazioni normative e di vigilanza. L’impegno è garantire che le innovazioni nei pagamenti digitali privati siano sicure; nell’ambito del G7 si è ribadito come nessun progetto di stablecoin può essere avviato fino a che non siano adeguatamente soddisfatti i necessari requisiti legali, normativi e di supervisione.

Una maggiore differenziazione delle fonti di finanziamento delle imprese, accompagnata da un’efficace tutela dei risparmiatori, e un miglior funzionamento della giustizia civile possono sicuramente favorire l’impiego del risparmio delle famiglie nel sostegno delle attività produttive. Condizione necessaria per attrarre capitali nazionali ed esteri rimane tuttavia l’ulteriore rafforzamento della capacità delle imprese italiane di innovare e crescere.

*Alberto Giordano, consulente finanziario, scrive per Global Finance Magazine Nyc e per il Gruppo Il Sole24ore.

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