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L'intervista

Terza dose del vaccino, Ariela Benigni: “Sembra efficace contro la variante Omicron”

Abbiamo chiesto alla dottoressa Ariela Benigni dell'Istituto Mario Negri di tracciare il punto della situazione

“Non ci sono studi pubblicati sull’efficacia dei vaccini anti-Covid contro la variante Omicron ma secondo i dati che si stanno raccogliendo in real life i vaccini sembrano in grado di fornirci una certa protezione”. Così la dottoressa Ariela Benigni dell’Istituto Mario Negri traccia il punto della situazione sui nuovi sviluppi della pandemia da Covid-19.

Nelle ultime settimane si sta parlando molto di questa nuova variante del virus SARS-CoV-2, che è stata identificata in Sudafrica e, stando alle notizie finora disponibili, risulta più contagiosa delle altre. Nella giornata di ieri, lunedì 13 dicembre, inoltre, si è registrata la prima vittima di Omicron.
Ma cosa sappiamo esattamente di questa variante? Per fare chiarezza abbiamo intervistato la dottoressa Benigni, segretario scientifico e coordinatore delle ricerche delle sedi di Bergamo e Ranica dell’Istituto Mario Negri.

Cosa sappiamo esattamente della variante Omicron?

Sappiamo che è nata in Botswana, un Paese dell’Africa meridionale che confina con il Sudafrica. Dal Botswana, poi, la variante Omicron si è spostata, attraverso dei viaggiatori a Hong Kong e successivamente in Sudafrica, dove si sta verificando un incremento considerevole dei casi. In Sudafrica i contagi sono aumentati in modo molto più veloce rispetto a quanto avviene con la variante Delta, sempre presente in questo Paese: analizzando i dati disponibili finora si evince che la rapidità con cui sono cresciuti risulta maggiore addirittura di due volte, ed è per questo che si dice che è molto contagiosa.

La Omicron è stata identificata in Sudafrica?

Sì, è stata scoperta dal professor Tulio de Oliveira, che dirige il Centre for Epidemic Response and Innovation della Stellenbosch University e coordina il Network for Genomic Surveillance: è un bioinformatico e genetista di fama internazionale che lavora in Sudafrica e studia le varianti del coronavirus SARS-CoV-2 sin dall’inizio della pandemia. Analizzandola, questo scienziato ha rilevato che può presentare una trentina di mutazioni rispetto alla sequenza del virus che era stato rilevato inizialmente a Wuhan, in Cina, anche se non sono necessariamente tutte riscontrabili in ogni campione. Non è detto, cioè, che due persone che ne sono affette condividano tutte queste mutazioni: complessivamente la variante Omicron può includerne alcune presenti nella variante Alfa, altre tipiche della Delta e altre ancora, fino ad arrivare a una media di 32 mutazioni.

Cosa ne consegue?

Gli studi condotti finora sulla Omicron hanno evidenziato che quindici delle mutazioni associate a questa variante sono concentrate soprattutto in una porzione particolarmente importante della proteina spike del virus. Si tratta del “receptor binding domain” (in italiano “dominio di legame al recettore”), che gioca un ruolo fondamentale nell’ingresso del virus all’interno delle cellule del nostro organismo e ne scaturisce un’infettività maggiore. Dal punto di vista numerico, sappiamo che al momento il maggior numero dei casi si concentra in Sudafrica ma stanno aumentando anche in Europa, particolarmente nel Regno Unito. Secondo gli ultimi aggiornamenti all’interno dell’Unione Europea sono oltre 300 distribuiti in 21 Paesi e in Italia ce ne sono 26.

Ci sono più rischi per la nostra salute?

Gli individui che sono stati infettati per ora manifestano sintomi lievi, anche perché si tratta prevalentemente di giovani. Non è possibile escludere che se i contagi dovessero espandersi non mancherà chi si ammalerà gravemente – magari perché è già affetto da altre patologie – e morire. Ieri (lunedì 13 dicembre, ndr), infatti, è stato riportato un primo decesso in Gran Bretagna ma non sappiamo se in un individuo non vaccinato. Secondo alcune previsioni, elaborate sulla base dei dati disponibili, i contagi dovrebbero aumentare: in Gran Bretagna si calcola addirittura che nell’arco delle prossime settimane dovrebbe diffondersi al punto che il 50% dei contagiati avrà la variante Omicron.

Ma i vaccini sono efficaci contro questa variante?

Su questo punto i dati non sono univoci. Una ricerca condotta dalla Pfizer per capire l’efficacia del suo vaccino contro la Omicron ha dimostrato che dopo la somministrazione della seconda dose si determina una riduzione di 25 volte della capacità neutralizzante degli anticorpi. Una ricerca eseguita dal professor Tulio de Olivera, invece, ha rilevato che dopo aver ricevuto due dosi di vaccino Pfizer la capacità degli anticorpi di neutralizzare la variante Omicron risulta ridotta di 41 volte. Entrambe le ricerche, dunque, convergono a indicare una minor protezione delle due dosi verso Omicron rispetto a quanto avviene per le varianti del virus che avevamo conosciuto finora, cioè quelle per cui questi vaccini sono stati messi a punto. Stanno arrivando importanti novità, però, da altri studi.

Ci spieghi

Un nuovo studio ha registrato che le persone che hanno ricevuto le due dosi e in precedenza avevano contratto il Covid sono più protette e un’altra ricerca sta mostrando che la somministrazione della terza dose sarebbe efficace contro la variante Omicron. Non si tratta di uno studio vero e proprio: non è ancora stato pubblicato e parliamo di dati raccolti in real life, cioè al momento, perché non è ancora trascorso tempo sufficiente per raccogliere e analizzare informazioni adeguate sull’argomento.

E cosa sta emergendo da questi dati?

Sembra che l’esecuzione delle tre dosi di vaccino anti-Covid sia efficace contro la variante Omicron e per questo viene sempre raccomandato di effettuare la vaccinazione. Per capire l’entità e la durata di questa protezione bisognerà osservare i prossimi sviluppi ma nel frattempo sicuramente è fondamentale vaccinarsi per proteggersi e per contrastare la circolazione del virus. Colgo l’occasione, infine, per segnalare un ultimo aggiornamento.

Quale?

Uno studio non ancora pubblicato ha riscontrato che la variante Omicron ha in sé un pezzo di materiale genetico di un altro virus che causa il raffreddore. Questo suggerirebbe che possa avere una maggior trasmissibilità ma potrebbe cercare di adattarsi per convivere con noi. Ma è troppo presto per dirlo e per tirare conclusioni definitive riguardo alla pericolosità o meno della variante Omicron.

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