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La storia

Gianmarco, 24 anni, da Bergamo alle baraccopoli di Nairobi “tra bimbi poverissimi che sniffano colla” fotogallery

Studente di medicina, ha collaborato da volontario con l'associazione Action For Children In Conflict: dalle visite in ospedale ai centri di recupero che salvano i più piccoli dal degrado e gli danno un'istruzione

Bergamo. Bambini che si drogano sniffando una colla da calzolai, che vivono ammassati in baraccopoli di rifiuti, tra acqua stagnante e degrado, che fin da piccoli sono stati abituati a delinquere in vere e proprie gang perchè non avevano altra scelta: scene e racconti dagli “slum” di Nairobi, in Kenya, neanche lontanamente immaginabili se non li hai vissuti in prima persona.

Gianmarco Valsania è un giovane di 24 anni, residente a Bergamo, che quella realtà l’ha toccata con mano per un mese, dal 7 novembre all’8 dicembre, nell’ambito di un’esperienza di volontariato con l’associazione locale AFCIC, Action For Children In Conflict, che dal 2004 sostiene progetti volti alla prevenzione, sostegno e riabilitazione di bambini e ragazzi di strada che vivono quotidianamente situazioni di elevata marginalità sociale. 

Studente al quarto anno di medicina alla Statale di Milano, Gianmarco dopo aver appreso della possibilità da alcuni conoscenti è partito senza pensarci due volte, insieme a una compagna di corso e a un ragazzo che aveva da poco concluso il proprio percorso di studi.

Destinazione Thika, a nord della capitale keniota, dove ad attenderlo c’era John Muiruri, il fondatore dell’associazione AFCIC: “Conosce benissimo la realtà degli slum perchè ci è nato – spiega Gianmarco – Si è fatto da solo, ha studiato ed è diventato avvocato: ora ha deciso di fondare l’associazione per aiutare quelli come lui. Da una conoscenza con una donna italiana, poi, è nato questo legame che finora ha portato in Africa una quindicina di studenti e ne ha altri 400 in lista d’attesa”.

Da studente di medicina, il 24enne bergamasco ha potuto sfruttare l’opportunità svolgendo attività da un lato a scopo umanitario e dall’altro a scopo scientifico: “Ho potuto visitare alcuni ospedali della zona, dove frequentavo soprattutto i reparti di ginecologia: ho avuto a che fare soprattuto coi parti e i diversi problemi legati ad essi, dai cesarei alle nascite premature, ma anche a visite e trattamenti pre-natali. L’esperienza è davvero unica e la parte umanitaria la consiglio a qualunque studente, anche non di medicina, perchè solo andando sul posto si possono comprendere certe cose”.

Fuori dall’ospedale, la giornata di Gianmarco si svolgeva soprattutto nella baraccopoli: “L’associazione ha dei volontari che si occupano ogni giorno di andare negli slum a cercare letteralmente i bambini che sono stati persi, vivono da soli, fanno parte di gang, sono orfani o stanno per strada tentando di guadagnare qualcosa – racconta – La zona è nota per i problemi di droga in età infantile, con bimbi di cinque anni che per 16 centesimi si procurano dai calzolai delle bottigliette di plastica che hanno un residuo di colla sul fondo: passano la giornata a sniffarla, per non sentire la fame, la sete o il sonno. I bambini che l’associazione riesce a intercettare li porta nei cosiddetti temporary rescue center, centri specializzati dove i bambini stanno circa 6 mesi e vengono seguiti, alimentati, vestiti e curati se hanno bisogno. Sono seguiti anche a livello psicologico, per comprenderne il background e fare la scelta migliore una volta terminato il recupero: se è sicuro tornano dai genitori, altrimenti vengono accompagnati in un percorso di studi che li porta a conseguire un titolo. Questa è stata sia la parte più arricchente che quella più impressionante del mese passato in Africa: fatichi a realizzare che ciò che ti sta raccontando un bambino, arrivando all’assurdo, sia tutto reale”.

Un mese nelle baraccopoli del Kenya

Nel centro dove Gianmarco ha trascorso il suo periodo di volontariato c’erano circa una trentina di ragazzini ma, ricorda, il turnover era continuo: “Un’altra attività fondamentale che l’associazione porta avanti è il cosiddetto ‘Feeding program’: viene fatto in collaborazione con le scuole dove gli studenti hanno l’unico problema della povertà, senza situazioni limite. Spesso, però, preferiscono non andarci a scuola perchè non hanno cibo e preferiscono investirlo per procacciarlo insieme alla famiglia. Così l’associazione, ogni giorno, dona circa 500 pasti alla St. Patrick School, invogliando la frequenza e aiutando indirettamente anche i genitori”.

Un mese nelle baraccopoli del Kenya

Un mese intenso che, scampato il pericolo di un blocco dei voli dovuto al diffondersi della variante Omicron, Gianmarco ha ripercorso velocemente una volta rientrato in Italia: “Ciò che mi resterà per sempre sono le condizioni delle baraccopoli, nelle quali puoi entrare solamente accompagnato perchè da solo rischieresti di non uscirne vivo, di essere rapito o rapinato. Non esistono strada, si cammina sull’immondizia e a fianco di rivoli d’acqua grigiastra e puzzolente. Ho visto famiglie di 8 persone vivere in una scatola di 5 metri quadrati, con un solo materasso sul quale dormivano a turno. E sicuramente mi resterà nel cuore l’esperienza nel temporary rescue center, in particolare per i racconti strazianti che abbiamo ascoltato dai bambini o dalle loro maestre. Storie che ti trovi a gestire senza alcuna preparazione, semplicemente perchè non si può essere preparati ad ascoltare situazioni che nella nostra vita quotidiana non possono mai esistere”.

E per il giovane studente bergamasco, il mal d’Africa è già realtà: “Probabilmente ci ritornerò – ammette – Nel dramma che vivono queste persone, poter dare una mano in questo modo è un qualcosa di unico”.

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