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Cinema

La recensione

“Hellbound”: l’inferno prende forma tra le strade della Corea del Sud

Dopo il successo di Squid Game, Netflix lancia un'altra serie sudcoreana pronta a invadere i piccoli schermi di mezzo mondo con una trama dagli intrecci tetri e catastrofici

Titolo originale: Hellbound
Creato da: Yeon Sang-ho e Choi Gyu-seok
Durata: 6 episodi da 50’ circa
Genere: Thriller
Interpreti: Yoo Ah-in, Kim Hyun-joo, Park Jeong-min, Won Jin-a, Yang Ik-june
Programmazione: Netflix
Valutazione IMDB: 6.7/10

Dopo anni di dissolutezza, cultura della prevaricazione del prossimo e perdita dei valori morali, la società sudcoreana si trova alla prova dei conti.

Se esiste un Dio lassù è probabile infatti che provi molto rancore nei confronti degli abitanti della penisola e ben presto questi se ne accorgeranno.

Spaventosi esseri ultraterreni stanno assassinando crudelmente i cittadini di molte città della zona e lo schema al limite dell’esoterico è sempre lo stesso: a pochi giorni dall’attacco, il malcapitato ha una visione in cui gli viene comunicato che è condannato a bruciare tra le fiamme dell’Inferno, aggiungendo poi l’ora e la data precisa in cui avverrà il suo trapasso.

Quando arriva il momento creature simili a grossi gorilla si palesano per le strade con un solo obiettivo: carbonizzare la preda per poi strappargli l’anima.

Il grande caos creatosi attorno all’evento permette al gruppo parareligioso “La Nuova Verità” di accrescere molto la sua influenza presso le persone comuni, destando tuttavia qualche sospetto in un detective in cerca di redenzione.

Serie sudcoreana del 2021 ideata da Yeon Sang-ho (già noto in occidente per “Train to Busan”) e tratta dal fumetto quasi omonimo “Hell”, “Hellbound” è una nuovo prodotto di Netflix che, mostrando le brutali incoerenze di un’intera società, delinea una storia avvincente in cui esoterismo, etica e religione vengono amalgamati in salsa thriller – horror.
Portando sul piccolo schermo una serie di carneficine compiute da esseri di un’altra dimensione ai danni di coloro che (apparentemente) hanno violato le leggi imposte loro da Dio, il regista sudcoreano crea un piccolo gioiello di denuncia sociale, al pari di quanto fatto dal pluripremiato “Parasite” e dal più recente “Squid Game”.

Hellbound

In un mondo in cui uomini arrabbiati ed assetati di vendetta hanno totalmente perso la fiducia nei confronti di un sistema basato su un’idea di giurisprudenza che permette al condannato di redimersi (dopo un certo periodo di limitazione delle sue libertà), “Hellbound” tesse le trame di una storia in cui il credo religioso più disperato, con tanto di regole, premi e condanne, diventa l’ultima speranza di coloro che sono stati lasciati indietro dalla società.

Il perdono o il sincero pentimento sono emozioni del tutto sconosciute agli occhi dell’uomo moderno e mai come prima d’ora la moralità più bigotta prende le concrete forme di esseri fatti di puro male in cerca di vittime da immolare, all’interno di un’atmosfera capace di lasciare con il fiato sospeso per decine di minuti senza soluzione di continuità.

Si può ancora parlare di libero arbitrio se ad un’azione può corrispondere l’intervento diretto di un dio non più caritatevole? È lecito fondare un credo circuendo persone mosse dalla disillusione e dall’odio? Quanto si è disposti a perdere in questa vita in favore di un’ipotetica realtà ultraterrena?

Per tutto lo svolgimento della cupa trama tali quesiti, e molti altri ancora, non troveranno una risposta ben delineata, lasciando così molto spazio alla sensibilità dello spettatore e alle sue convinzioni spirituali.

Tanto divisivo ed inquietante quanto traballante in certi punti della trama, la storia manca però di quel coraggio che le permetterebbe di fare il vero salto di qualità per arrivare nell’olimpo delle serie orientali più famose della piattaforma di Netflix e se a questo si unisce una CGI dei personaggi che a più riprese non convince a pieno, diventa ben chiaro come “Hellbound” venga pesantemente azzoppato da limiti che potevano essere superati con qualche controllo in più.

Dimenticando qualche pezzo di trama per strada, la serie si salva in corner potendo contare su un’ottima idea di fondo e su un gruppo di attori ben amalgamati e caratterizzati in modo coerente e mai sopra le righe, raccontando così una storia interessante e meritevole di essere sviscerata.

Battuta migliore: “Abbiamo dimenticato la vergogna, il rimorso, il pentimento e la redenzione e Dio ha trovato un modo per mostrarci com’è l’Inferno”.

 

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