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Salute

L'intervista

Tiroidite di Hashimoto, l’esperto: “Cos’è e come si cura”

Ne parliamo con il dottor Marcello Filopanti, endocrinologo del Policlinico San Marco e di Smart Clinic all’interno del centro commerciale “Le Due Torri” e di “Oriocenter”

“‘Dottore, ho la tiroide, quella giapponese’. È capitato a molti endocrinologi di sentire questa frase in ambulatorio. Si potrebbe sorridere se non ci fosse nelle parole della paziente la preoccupazione per una malattia dal nome così esotico e che riguarda un organo ritenuto così importante. Altre volte le pazienti hanno già una lunga storia clinica, ma restano in apprensione per il livello di questi fastidiosi anticorpi anti tiroide, che rimangono sempre alti, con i loro asterischi che spiccano sui referti delle analisi. Spesso la paziente esprime tutti i suoi timori per la terapia ormonale che dovrà iniziare, soprattutto se in è gravidanza o se ne sta programmando una. Stiamo parlando della tiroidite di Hashimoto, una delle malattie più frequenti nella popolazione, tanto che ne è affetta circa una persona su venti, con una spiccata prevalenza per il sesso femminile (circa 9 casi su 10)”. Chi parla è il dottor Marcello Filopanti, endocrinologo del Policlinico San Marco e di Smart Clinic all’interno del centro commerciale “Le Due Torri” e di “Oriocenter”. Lo abbiamo incontrato per conoscere un po’ più da vicino la tiroidite di Hashimoto, malattia autoimmune descritta per la prima volta nel 1912 dal medico giapponese Hakaru Hashimoto (da cui il nome) che inizialmente la chiamò struma lymphomatosal.

Dottor Filopanti, che cos’è la tiroidite di Hashimoto?

La tiroidite di Hashimoto è un’infiammazione cronica della tiroide, piccola ghiandola a forma di farfalla posta nella parte anteriore del collo, e provocata dal sistema immunitario stesso della persona. Si tratta quindi di una malattia autoimmune, in cui il sistema immunitario reagisce in modo anomalo attaccando e distruggendo i tessuti sani del nostro organismo (in questo caso la ghiandola tiroidea) riconoscendoli come estranei per errore.
Si presenta frequentemente insieme ad altre malattie autoimmuni, ad esempio vitiligine, artrite reumatoide, celiachia e lupus, e come spesso accade con questo genere di patologie, è presente anche una forte familiarità. Non è raro infatti che a soffrirne siano anche i genitori, i nonni e i fratelli. Un altro fattore che favorisce la malattia è la carenza di iodio, un elemento indispensabile per il buon funzionamento della tiroide. Nelle aree geografiche con ridotto apporto di iodio, infatti,questo genere di tiroidite risulta più frequente. Paradossalmente però, anche l’eccesso favorisce la malattia, come nel caso di elevato consumo di alghe o l’assunzione di farmaci come l’Amiodarone (un anti aritmico). La tiroidite di Hashimoto è particolarmente frequente infine nelle persone con sindrome di Down e nelle donne giovani, soprattutto con comparsa di stanchezza, calo del tono dell’umore e stipsi.

In che modo la malattia trasforma la tiroide e quali sono gli effetti sul suo funzionamento?

Il tessuto tiroideo è fatto di piccoli sacchetti (follicoli) che contengono colloide, una sostanza dall’aspetto simile alla colla dalla quale le cellule tiroidee ricavano gli ormoni tiroidei veri e propri, ovvero il T4 e, in misura minore, il T3. Al microscopio questo tessuto è simile all’acciottolato delle vie delle nostre città medievali: vario e armonico. In caso di tiroidite, invece, si notano molti linfociti (globuli bianchi), piccole cellule tutte identiche e disposte in blocchi compatti, che si infiltrano fra i follicoli tiroidei distruggendoli e rovinando struttura e funzione della ghiandola. L’insorgenza della patologia, nelle fasi iniziali, non comporta un malfunzionamento della tiroide. In genere, infatti, i valori del TSH risultano nella norma. È solo quando la ghiandola è nettamente danneggiata dall’infiammazione che gli ormoni tiroidei liberi, T4 e T3, iniziano a ridursi. Ed è a questo punto che la storia della tiroidite si intreccia con quella dell’ipotiroidismo, malattia in cui appunto la ghiandola tiroidea produce un’insufficiente quantità di ormoni.

Come si diagnostica questa patologia?

Capita spesso che il primo riscontro di malattia avvenga negli ambulatori dei medici di base o da specialisti che hanno in cura soprattutto pazienti donne, come i ginecologi, o trattano patologie autoimmuni, come reumatologi e allergologi. Sempre più comune inoltre è la diagnosi di tiroidite a seguito dell’esecuzione di pacchetti clinici di check-up generale. Dall’endocrinologo, specialista nel trattamento delle patologie a carico della tiroide, si arriva di solito per la valutazione clinica e la diagnosi definitiva. La tiroidite di Hashimoto può essere diagnosticata ambulatorialmente dallo specialista che, per prima cosa, esegue l’esame del collo. Nella maggior parte dei casi, in caso di malattia, la tiroide appare di dimensioni aumentate, con una consistenza disomogenea e irregolare al tatto. In seguito, se non ancora eseguite, lo specialista potrà richiedere di effettuare delle analisi per verificare, nello specifico, il TSH, ovvero l’ormone che indica la funzionalità tiroidea. Inoltre, vengono misurati i valori degli anticorpi anti tireoglobulina (AbTG) e anti tireoperossidasi (AbTPO), i cosiddetti anticorpi “anti-tiroide” prodotti in modo anomalo dal sistema immunitario e responsabili dell’insorgenza della patologia. Ai fini della diagnosi, può essere richiesta anche l’ecografia tiroidea che, in genere mostra, una ghiandola infiammata e molto vascolarizzata. La presenza invece di noduli tiroidei veri e propri, non deve essere collegata invece a una tiroidite.

Cosa sono esattamente gli anticorpi “anti tiroide”?

Gli anticorpi anti tireoglobulina (AbTG) e anti tireoperossidasi(AbTPO) sono due valori che, in caso di tiroidite, risultano spesso decine di volte superiori al limite massimo di normalità e sono spesso fonte di preoccupazione.La scoperta di questi due indicatori risale al 1956 da parte di un gruppo di ricerca che pubblicò i risultati nel 1962 sulla prestigiosa rivista medica Lancet. In calce all’articolo scientifico c’era un ritratto del dottor Hakaru Hashimoto, il primo a descrivere la tiroidite. Fu un omaggio postumo, perché Hashimoto morì di febbre tifoide nel 1934, a cinquantadue anni. Da quella pubblicazione in poi si diffuse il termine tiroidite di Hashimoto.

Come si può curare?

Un vero e proprio trattamento specifico per la tiroide di Hashimoto, ad oggi, non esiste.Poiché in buona parte dei casi però la malattia sfocia in un ipotiroidismo, la terapia prevede l’assunzione di ormone tiroideo (Levotiroxina) che, spesso, va preso per sempre. Se assunto nelle dosi adeguate, valutate in base alle necessità del singolo, però non ha effetti collaterali, perché del tutto analogo a quello naturale. Utile per tenere sotto controllo l’andamento della patologia è poi il monitoraggio terapeutico, che generalmente andrebbe effettuato annualmente. Particolare attenzione va posta infine sulle donne che soffrono di tiroidite e vorrebbero diventare mamme, perché spesso intimorite dal fatto di non riuscire ad affrontare la gravidanza e che la malattia possa compromettere la salute del bambino.

È quindi possibile affrontare una gravidanza se si è affetti da questa patologia?

È opportuno punto dire che questa malattia non costituisce di per sé una controindicazione alla gravidanza. Molte pazienti alla diagnosi di tiroidite infatti mostrano una funzione tiroidea normale o minimamente alterata e, se asintomatiche, non necessitano in genere di terapia. Indispensabile però è che le donne alla ricerca di un figlio si sottopongano a un regolare monitoraggio, perché il quadro può evolvere in ipotiroidismo nel corso del tempo. Inoltre, affinché la gravidanza possa procedere senza rischi, è opportuno che le analisi di funzione tiroidea siano normali, sia in corso di terapia ormonale sia senza. Nel corso della gravidanza, è fondamentale poi che i controlli diventino più frequenti, soprattutto nel primo trimestre, quando l’embrione non ha ancora sviluppato la propria tiroide.Fondamentale è infine rassicurare le donne con tiroidite di Hashimoto che sono alla ricerca di un bambino riguardo alla possibilità che la loro malattia possa danneggiare anche la tiroide del nascituro. Con controlli periodici prima e durante la gravidanza e un’adeguata terapia, è possibile infatti limitare i rischi d’insorgenza di queste complicanze.

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