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Il caso

Tavernola, cittadini, cementificio e rischio frana: chi ha il diritto di restare?

La signora Consoli, già fatta sgomberare dalla sua casa a febbraio, venerdì scorso ha sentito di nuovo le pareti tremare e ha subito chiamato gli uffici dell'Italsacci. La risposta ricevuta l'ha fatta ancor più arrabbiare

Tavernola. Felix Consoli è una signora di 59 anni che vive in località Squadre di Vigolo. Nel febbraio scorso, nel momento dell’accelerazione più preoccupante della frana di Tavernola, è stata fatta sgomberare dalla sua casa: “Sembrava venisse giù tutto – racconta -. Ci hanno detto di caricare le cose in macchina e di andare via da lì. Non sapevano nemmeno dirci quando saremmo rientrati”.

La sua dunque è una delle sette famiglie che nove mesi fa avevano dovuto lasciare le proprie abitazioni, tra loro una signora anziana con patologie.

Potete immaginare quindi la sua reazione quando, venerdì scorso, ha sentito la sua casa tremare dopo la ripresa dei lavori del cementificio di Tavernola. Ha immediatamente chiamato gli uffici. Gli ha risposto Simone Cantiani, direttore dell’Italsacci. E la conversazione l’ha fatta decisamente uscire dai gangheri: “Signora, io starei tranquilla”. “Allora mi mettete nero su bianco che la sottoscritta può dormire tranquilla e che se succede qualcosa vi prendete la responsabilità”. “Quello che posso fare è mettere nero su bianco che abbiamo tutte le autorizzazioni”.

Felix vive a Vigolo da sempre e casa sua sta proprio lì, 600 metri sopra la miniera Ca’ Bianca di Parzanica. La mattina di venerdì 26 novembre ha vissuto qualcosa che va oltre l’ordinario. “Sono andata a fare una passeggiata con il cane come faccio sempre e sono passata da Parzanica. Ho sentito le esplosioni, ho capito che avevano ripreso a sparare. Come ho messo piede in casa ho sentito tremare tutto”.

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Eppure, nonostante le due vibrazioni (la prima alle 10.30 e la seconda alle 10.40) non ha realizzato immediatamente che la causa fosse l’attività del cementificio – una scena così anomala da risultare difficile da credere probabilmente -, ma quando ha messo insieme i tasselli non ci ha più visto. E così ha deciso di prendere in mano il telefono e chiamare il direttore del cementificio. “È da venerdì che ho una rabbia addosso che non riesco a spiegare – ci dice -, vorrei capire come fanno queste persone a fare ciò che vogliono”.

Questo è quello che prova chi vive fra Tavernola, Parzanica e Vigolo: sgomento, per una condizione di vita che non può definirsi tranquilla affatto. “Abitiamo in un posto splendido dove tutto è andato a farsi friggere per un cementificio, quello scempio che si vede dal lago. Abbiamo una strada che fa pietà e non sappiamo di che morte dobbiamo morire”.

La signora Consoli si fa portavoce di quella che ormai va oltre le lamentele e le semplici denunce. “Già la montagna è così, basta, lasciatela in pace. Avete portato via tutto quello che c’era”.

A chi vive da quelle parti le cause della frana non sembrano da discutere. “Se la casa mi trema vuol dire che qualcosa fate muovere”. E le hanno anche suggerito che, forse quello che aveva percepito era uno spostamento d’aria: “Mi sono sentita presa in giro”.

La convivenza tra residenti e attività del cementificio non sembra più poter trovare un equilibrio, e allora la questione diventa: chi ha il diritto di rimanere? Chi è arrivato prima? È nato prima l’uomo o la mina?

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