Stati generali a bergamo

Il rapporto del libro con la scuola digitale del domani

La pandemia ha trasformato il modo di fare didattica e ha cambiato la concezione del principale strumento di apprendimento: il libro. Attorno al tema del libro e del “modo” digitale si sono sviluppate le riflessioni degli ospiti degli Stati Generali della Scuola, durante la prima sessione di sabato

Bergamo. La pandemia ha trasformato il modo di fare didattica e ha cambiato la concezione del principale strumento di apprendimento: il libro. Attorno al tema del libro e del “modo” digitale si sono sviluppate le riflessioni degli ospiti degli Stati Generali della Scuola, durante la prima sessione di sabato.

L’esperienza del Covid ha portato una rivoluzione nell’insegnamento. Un processo repentino ma positivo, ha sottolineato il professor Roberto Maragliano: “Abbiamo dovuto affrontare un’esperienza forzata, alla quale la scuola non era preparata ma per cui in poche settimane si è data da fare. La scuola è stata lei stessa bambina, e senza insegnamenti ha imparato”.

Gli insegnanti hanno imparato, in primo luogo servendosi delle risorse telematiche come il libro digitale. “Oggi abbiamo l’esigenza di pensare la scuola all’interno di una società digitale in cui il libro diventerà una variabile interna al sistema di rete”. Questo, fa notare Maragliano, porta a riflettere su quale dovrà essere la funzione dei volumi nella scuola del domani. “Come interagiamo con il libro non è un problema teorico, ma pratico. È un problema di introduzione del rumore all’interno del silenzio, dove il libro è il luogo del silenzio, della concentrazione”.

Il rumore viene invece dalle voci esterne al libro, e in modo particolare dalla rete, come conferma Lorella Carimali, docente di matematica e fisica, scrittrice e presidente di (R)evolution e GTPAmbassador: “Oggi non abbiamo più bisogno della fonte di contenuti, com’erano ai miei tempi i docenti, perché possiamo trovare tutto in rete. Quello che in rete non troviamo è il collegamento fra i contenuti, lo sviluppo del pensiero complesso. Questo deve fare la scuola, deve dare strumenti per costruire un approccio critico alla cultura”. Il libro assume in questa prospettiva un ruolo chiave secondo Carimali. “In una società che continua a separare, a cominciare dai corpi, che in classe si univano, fino alla separazione fra il sapere, il saper fare e il pensare, il libro ha una valenza centrale perché unisce tutte queste dimensioni. Ma serve un’alleanza tra la scuola e gli editori per un nuovo ripensamento del contenuto del libro”.

E gli editori, da parte loro, sono corsi in aiuto in un momento che era di emergenza anche per la scuola. Roberto Devalle, direttore generale Publishing De Agostini Scuola Spa, ha portato in sala la sua esperienza. “Come editori abbiamo cercato di fare il nostro mestiere, che è stare accanto alla scuola. Abbiamo cercato di alleviare le difficoltà facendo formazione ai docenti, dando loro la possibilità di condividere contenuti gratuiti rischiando, perché per noi non sono mai contenuti gratuiti”. Gli istituti con docenti e presidi già capaci, dice, ne hanno tratto un modo migliore di lavorare. Ma in generale i risultati sono stati positivi per tutti. “Le scuole hanno fatto tesoro di questa nuova esperienza dalla quale, lo possiamo dire, ormai non si torna più indietro. Hanno imparato a usare bene il registro elettronico, a condividere contenuti, a far lavorare i ragazzi a casa col pc e ad utilizzare la lim in classe. Se penso a cinque anni fa abbiamo fatto passi da gigante”.

Ma per quanto il progresso tecnologico sia evidente, ci sono questioni di base che la scuola non può aggirare secondo Angelo Bardini, Ambassador Indire, membro del Forum del libro. “A monte di tutto c’è il problema della comprensione del testo. Si possono fare tutti i libri del mondo, ma se non si lavora su queste difficoltà non serve a nulla”. Bardini mette in evidenza i dati. “Al sud si legge meno che al nord, le donne leggono più degli uomini. Nelle zone fragili del Paese il 60 percento dei giovani non legge neanche un libro all’anno e solo il 5 percento delle famiglie italiane ha in casa più di 100 libri”. L’unica soluzione è lavorare sulla capacità di lettura e comprensione scritta. “Il luogo di maggior democrazia è la biblioteca scolastica. E guarda caso le biblioteche civiche mancano proprio dove ci vorrebbero. Non a Milano, dove ogni quartiere ne ha una. Non le abbiamo sulle Alpi, nei paesini degli Appennini, nelle isole e nelle periferie”.

Pur con l’avvento del digitale però, che può e deve fungere da risorsa integrata, il libro non è in nessun modo in discussione nel suo essere strumento cardine dell’istruzione. “Ci stiamo concentrando troppo sul digitale come strumento in sé senza chiederci cosa apporti in più – conclude Lorella Carimali -. Da insegnante quello che mi interessa è il contenuto, e il libro, per me, rimane centrale nella didattica”.

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