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Il processo

Omicidio Colleoni, la cognata e i dipendenti: “Franco era violento e collerico”

L'amico storico della vittima: "Una volta si è arrabbiato talmente tanto con il figlio Federico che l'ho rincorso per bloccarlo, altrimenti gli avrebbe dato un sacco di botte"

Bergamo. “A Natale ci hanno chiamati di notte perché la mamma aveva subito una grande violenza. Erano terrorizzati, Francesco all’epoca aveva quattro anni. Li abbiamo accompagnati al pronto soccorso e i bambini non volevano più tornare a casa. Li abbiamo tenuti per tutte le vacanze”.

Franco Colleoni viene descritto come un uomo violento e irascibile dalla cognata, da un amico storico e dai dipendenti del ristorante Il Carroccio di Dalmine, durante l’udienza di mercoledì nell’ambito del processo a carico di Francesco Colleoni, accusato di aver ucciso il padre lo scorso 2 gennaio.

La deposizione di Laura Ferrari, sorella della moglie di Colleoni, è toccante: “La mattina dopo Franco è venuto a reclamare i figli ma loro non volevano andare”.

La donna dice di non aver mai visto Colleoni alzare le mani su sua sorella o su Francesco, anche se sospettava delle violenze domestiche che avvenivano in casa. Una volta l’ha visto picchiare Federico.

E non è stata la sola. In un altro episodio, riportato in aula da Antonio Glielmi, amico della vittima da 52 anni, Colleoni si è arrabbiato talmente tanto con il figlio, all’epoca 12enne “che ho dovuto rincorrerlo e bloccarlo altrimenti gli avrebbe dato un sacco di botte. Con gli altri era una persona molto disponibile, sempre sorridente, mentre con la sua famiglia era duro”.

Il ristoratore un paio di anni fa aveva espresso la volontà di lasciare l’attività al figlio Francesco “ma quando lui gliel’ha chiesto – continua Glielmi -, Franco gli ha risposto che gliel’avrebbe ceduta per 700mila euro”.

Anche con i dipendenti del Carroccio Colleoni era collerico. “Alzava spesso la voce, si arrabbiava per cose futili”, racconta Maria Giulia Ghisleni, cameriera al ristorante dalminese da 22 anni.

“Aveva degli scatti di rabbia, insultava e quello che aveva in mano volava – ha detto Sara Martinelli, dipendente del Carroccio da 10 anni -. Una volta sono uscita a portare fuori un sacco della spazzatura e non mi sono accorta che gocciolava, lui mi ha rincorsa in giardino e si è messo ad insultarmi. Un’altra volta è inciampato in alcune cassette, si è arrabbiato molto e me le ha lanciate addosso. Insultava tutti, anche i cuochi, incuteva terrore. Non importa quello che facevi, per lui valevi sempre zero”.

Durante l’udienza sono stati sentiti anche due periti della difesa. Andrea Piccinini dell’Istituto di Medicina Legale di Milano ha effettuato degli accertamenti genetici sulla macchiolina di sangue della vittima trovata sulla felpa del figlio Francesco e sul materiale sotto le unghie di Colleoni, con dna misto del padre e del figlio imputato del suo omicidio. “È impossibile definire come si sono depositate queste tracce ematiche né determinare l’epoca”.

Il collega Alberto Blandino è stato incaricato dalla difesa, retta dagli avvocati Enrico Cortesi e Andrea Filipponi, di esaminare le tracce di sangue sul muretto e attorno alla testa della vittima. “Il capo è una parte del corpo molto irrorata – ha spiegato – e nel caso di ferite il sangue tende a schizzare e a fuoriuscire in modo copioso. Era logico quindi aspettarsi molti più schizzi, capaci di imbrattare anche le persone a lui vicine nel momento in cui è stato colpito”.

Il prossimo 15 dicembre le conclusioni del pubblico ministero Emanuele Marchisio e quelle della difesa. È possibile che il Tribunale si ritiri lo stesso giorno in camera di consiglio ed emetta la sua sentenza.

 

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