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Il sociologo

Il commercio post Covid, De Rita: “Le associazioni facciano rappresentanza recuperando il rapporto con la realtà sociale”

Il sociologo e presidente del Censis all'Ascom Confesercenti Bergamo afferma: "La sfida per le associazioni e i loro leader sarà riuscire a identificare i protagonisti della ripresa post-pandemica, fare fronte comune e interpretare i fenomeni che caratterizzano il mercato attuale"

Bergamo. “La rappresentanza è un mestiere difficile”: inizia così il suo intervento Giuseppe De Rita, sociologo nonché presidente e fondatore del Censis, il principale istituto di ricerca sociale del Paese, in occasione della lezione sul tema dei corpi intermedi tenuta nella sede di Ascom Confcommercio Bergamo nella mattinata di lunedì 22 novembre, alla presenza del presidente dell’Associazione Esercenti e Commercianti della Provincia di Bergamo (Ascom) Giovanni Zambonelli e del direttore Oscar Fusini. La lezione del professore era inserita in un percorso di alta formazione rivolto alla dirigenza Ascom.

Secondo Fusini, il professore, classe 1932, “offre una visione che pochi come lui possono dare sui cambiamenti della società, della politica e della rappresentanza da calare nella nostra associazione”, che, come altre associazioni di categoria, si trova davanti ad un dilemma esistenziale: capire la propria identità e il proprio ruolo in una società in continuo cambiamento come quella attuale, che, in particolare, si è trovata al centro di due fenomeni. Da una parte, dopo un periodo difficile come la pandemia di Covid-19, si è assistito a un’inversione di tendenza nel commercio: se prima la parola d’ordine era internazionalizzazione, oggi, per De Rita, l’Italia è testimone di una “contrazione”, un ritorno al raggio corto, privilegiando il mercato locale. Dall’altra, secondo il sociologo, negli ultimi dieci anni la politica della “disintermediazione” (che può anche essere riscontrata in ambito commerciale) ha mostrato la tendenza a favorire un tipo di rappresentanza che privilegia il rapporto diretto tra classe dirigente e singolo cittadino, che misura l’operato della politica tramite la rapida soddisfazione delle proprie esigenze (per esempio tramite il recente utilizzo dei cosiddetti bonus), che, allargando la visione all’ambito economico, comporta anche una scarsa visione per la costruzione a lungo termine. Si ottiene così “una società che attende l’intervento pubblico, che chiede la trasformazione, non la fa”.

Dopo anni di crescita e affermazione del “Made in Italy” a livello internazionale grazie soprattutto a quattro settori (enogastronomia, moda e arredamento, industria dei macchinari e turismo), il lockdown ha portato a una crisi: il mito della produzione “just in time” e le filiere sempre più lunghe non si sono adattate ai tempi di produzione e logistica imposti dalla pandemia, portando gli imprenditori a rivolgersi al mercato interno. Secondo il professore, però, globalizzazione e focus sul mercato locale non devono necessariamente essere tendenze opposte ma, anzi, “è fatale che le due cose non si combinino”: una sinergia positiva testimoniata dall’attuale combinazione di potenziamento della medicina territoriale e ricerca estera per lo sviluppo dei vaccini, che ha permesso di risolvere (almeno in parte) l’emergenza sanitaria, o dal fatto che anche le grandi piattaforme di distribuzione come Amazon non escludano collaborazioni con i piccoli negozi.

Al contempo, però, occorre prestare attenzione al peso di queste grandi “piattaforme” online (che si parli di retail o democrazia diretta), come le definisce De Rita, che danno al singolo cittadino l’illusione dell’immediatezza e di un rapporto diretto con chi gli deve fornire un servizio ma che, in realtà, togliendogli un “intermediario umano”, lo privano a tutti gli effetti anche della rappresentanza. Ed è qui, allora, che le associazioni di categoria devono intervenire, rinnovando il loro ruolo di intermediari, attraverso il recupero del rapporto con le persone e una riaffermazione del proprio peso politico, minato proprio da queste dinamiche.

Serve loro, quindi, una leadership capace, dotata di senso politico, che non abbia paura di prendersi responsabilità e che faccia rappresentanza “col sudore della fronte, la rabbia e la faccia tosta”. In barba a quei fenomeni che, ad oggi, per De Rita, vedono il cittadino più solo perché vittima di due problemi, ossia “caduta di merito e competenza e caduta della prossimità”: da una parte la continua diffidenza verso esperti e delegati che vedono vacillare la propria autorità istituzionale, dall’altra la rottura della relazione causata anche dalla cultura grillina del “vaffa”, che ha fatto perdere importanza all’associazionismo e al confronto, facendo leva sulla perdita di fiducia dei cittadini verso la classe dirigente.

La sfida per le associazioni e i loro leader sarà riuscire a identificare i protagonisti della ripresa post-pandemica, fare fronte comune e interpretare i fenomeni che caratterizzano il mercato attuale: per esempio, il passaggio da una cultura d’élite (tipica del “vecchio” Made in Italy basato su prodotti di alto livello) a “cultura del ribasso” (ossia una riduzione della qualità dei consumi). Una tendenza di cui, per il professore, è difficile capire la durata e se si tratti di un fenomeno congiunturale o di una diversa sensibilità dei consumatori verso temi attuali come la protezione ambientale, che alterano inevitabilmente le abitudini negli acquisti.

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