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Leggendario Boss: ecco lo Springsteen targato No Nukes 1979

Bruce allora era la risposta a un bisogno di libertà, era il rappresentante più sincero ed autorevole di un’intera generazione e bruciando le tappe stava divenendo mito

Artista: Bruce Springsteen & the E Street band

Titolo: The Legendary 1979 No Nukes Concerts

Voto:  ****1/2

Dopo più di 40 anni esce, finalmente, la registrazione dei concerti che Bruce Springsteen e la E Street Band tennero il 21 e il 22 settembre del 1979 al Madison Square Garden in occasione di una manifestazione del MUSE (Musician United for Safe Energy), di cui facevano parte, tra gli altri Jackson Browne, Graham Nash e Bonnie Raitt, organizzata per sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi del nucleare e sull’opportunità di utilizzo di energie alternative.

Venne, per l’occasione, organizzato un festival a cui parteciparono artisti di diversa estrazione tra cui Jackson Browne, Jesse Colin Young, Gil Scott Heron, Carly Simon, Nicolette Larson, Bonnie Raitt, The Doobie Brothers, Tom Petty e i suoi Heartbreakers, Ry Cooder, i Poco e, appunto , il Boss; il tutto fu documentato da un film e un disco intitolati “No Nukes” dove ciascuno dei partecipanti trovò spazio con due/tre brani.

Il disco rappresentò una testimonianza fedele dell’atmosfera di quei giorni e tra le migliori performance ricordo quelle dei Doobie Brothers, di Ry Cooder e del Boss stesso con una scatenata Devil with the Blue Dress medley (un cavallo di battaglia degli spettacoli dal vivo dei quegli anni ) ed una divertita Stay durante la quale Bruce divise il palco con Jackson Browne e Tom Petty.

A quei tempi Bruce Springsteen aveva già pubblicato “Darkness on the Edge of Town” e si accingeva a tornare sul mercato con “The River”. Da poco si era chiusa una parentesi dolorosa della sua vita, conseguente alle beghe legali con la casa discografica, allo stress conseguente al successo di Born To Run, e alla fine della storia con la sua girl friend dell’epoca, Lynn Goldsmith, che Bruce mandò platealmente a quel paese dal palco di uno dei due concerti registrati su questo disco.

A quei tempi poi Bruce non era ancora il palestrato di Born in the USA , anzi aveva un fisico mingherlino, e piuttosto che canotte che evidenziavano i bicipiti preferiva vestire camice di flanella a quadri grandi. Tuttavia, è questo, probabilmente, il momento di massima ispirazione come sarà confermato dall’uscita imminente di The river, disco che soprattutto nel brano omonimo, segnerà un cambiamento del modo di raccontare di Bruce, più narrativo, scenografico che gli permetterà più tardi di comporre capolavori come The Ghost of Tom Joad, Nebraska.

Dal vivo Springsteen e la sua band erano, a quei tempi, già leggenda: l’eco dei concerti, benché la diffusione dei video fosse enormemente più difficoltosa di oggi, aveva raggiunto ogni dove e d anche in Italia dopo un’anteprima a Mr fantasy di Carlo Massarini, il filmato di Rosalita iniziava a girare nel circuito delle tv locali, spiazzando e affascinando una platea di amanti del rock che diveniva sempre più ampia.

A quei tempi il rock ‘n’roll, era una sorta di religione tra i giovani, i dischi del genere erano quelli che si piazzavano ai vertici delle classifiche di ogni paese (in tutte le varie declinazioni del genere) e probabilmente Springsteen era la risposta a un bisogno di libertà, era il rappresentante più sincero ed autorevole di un’intera generazione e bruciando le tappe stava divenendo mito.

Musicalmente era un po’ quello che mancava da tempo. Smorzati gli echi dei grandi concerti all’aperto, della psichedelia, attutito l’impatto dei grandi gruppi di fine anni Sessanta e dei primi anni settanta, Bruce ebbe oltre che innegabili meriti, anche la fortuna di arrivare in un momento di riflusso, in attesa che il punk facesse il suo ingresso in scena.

Ai tempi la E street band contava sei elementi e probabilmente viveva il massimo del suo fulgore come testimoniato dai numerosi bootleg alcuni dei quali considerati ancor oggi leggendari.

Il disco in questione (doppio CD o triplo vinile + DVD) contiene la sintesi dei due concerti, della durata ognuno di circa un’ora e mezza e quindi ben inferiore rispetto ai tempi normali di un concerto del boss anche se i brani presenti sono ben rappresentativi di quello che Bruce era in grado di proporre dal palco

Il concerto parte alla grande con Prove it all night ed è subito festa con il suono inconfondibile del piano del “professore” e il ritmo impartito Max Weinberg; tempo di riprendersi ed ecco partire il (secondo ) più bell’attacco di un brano rock, ovvero Badlands in una versione più cattiva del solito con le parole del ritornello ben scandite e declamate da una voce che è più sporca del solito. Il solo di chitarra doppiato da quello del sax di Clarence Clemons accompagnano i fans verso il ritornello che dal vivo viene scandito puntualmente dal pubblico prima dell’esplosione finale.

No nukes Bruce Springsteen

 

Introdotta dalla presentazione di Bruce stesso, tocca ora ad un classico dei concerti ossia Promise Land, un brano dalla melodia limpida e dal ritmo sostenuto, appena sporcato dal ritornello dove il cantato diventa più rancoroso. Uno dei tanti capolavori della produzione di Bruce che fanno parte di quei brani che dal vivo non mancano mai e che in questa dimensione acquisiscono ancor più qualità

Ma è tempo di tirare un po’ il fiato. Il pubblico non lo sa ma sta per partire uno dei capolavori assoluti di Bruce, un brano che darà il titolo all’album di imminente uscita ossia The River, annunciata magnificamente dal suon dell’armonica e dalla voce, finalmente rilassata di Bruce. In sala il silenzio è totale, vi è solo il risuonare di una delle più belle melodie del Boss, ulteriormente impreziosita dal lavoro al piano del “professore” che irradia note distinguibilissime grazie anche ad un missaggio perfetto.

Il ritmo torna a salire con l’attacco di Sherry darling, altro cavallo di battaglia live, nel quale il clima festoso trova logico confluire in un ritornello che quando entra nelle orecchie non le abbandona più; e dove le note di Roy Bittan sottolineano lo sviluppo del brano con gusto sublime.

Cambia ancora l’atmosfera, e sono le note riconoscibilissime dell’armonica a dirci che è arrivato il momento di Thunder Road , uno dei brani più significativi e quindi amati dai fans che in ogni concerto attendono il “la” di Bruce per cantare la strofa che introduce il cambio di ritmo. Monumentale nell’occasione l’apporto continuo in sottofondo di Big man.

A proposito di Big man è il momento di Jungleland , tratta da Born To Run.

Sono 40 anni che “i rangers si sono riuniti l’altra notte a d Harlem” ma nonostante tutto questo tempo, la canzone mantiene tutto il suo fascino e il solo di Clarence, “quel solo” che ha fatto la storia della musica rock, ti spacca ancora il cuore tanto è bello, lirico. Anche qui come poi avverrà nei 40 anni successivi il siparietto del pubblico che grida all’unisono “Down in Jungleland”.

Ormai il teatro è un calderone e quindi cosa di meglio se non una Rosalita in versione “short” ma non per questo meno efficace e per non farci mancare nulla , ecco arrivare l’attacco più famoso della storia , ossia quello di Born To Run, che avrà fatto certo saltare sulla sedia tutti i presenti e che ancor oggi ad un sessantenne come me, abituato alla scrivania, provoca turbamento.

Cambia il ritmo, il rock ‘n’roll lascia il posto ad un brano mid tempo , che non fa parte del repertorio del nostro, ragion per la quale vengono chiamati a cantare tutti insieme sul palco Jackson Browne e Tom Petty Stay (insieme a Rosemary Butler), una divertente canzone che cerca di catturare e descrivere l’atmosfera dei concerti e dei momenti successivi, già pubblicata su disco Running on Empty di “Fratellino Jackson”. La versione del disco è più movimentata, l’atmosfera felice piuttosto che malinconica come nell’l’originale.

Il gran finale è affidato ad alcuni classici di quei tempi: il Detroit Medley è una sarabanda musicale che permette al boss di andare a rispolverare vecchi classici come Good Golly Miss Molly, CC rider, Jenny Jenny.

L’atmosfera è festosa, il ritmo serrato, il divertimento assicurato.

Il finale del brano è un continuo gioco di rimandi tra i musicisti, cambi di ritmo, dialoghi di Bruce con il pubblico che servono a surriscaldare l’ambiente.

Segue Quarter to Three, un classico di Gary U.S Bond, un campione del soul, cui Springsteen era molto legato e a cui produrrà qualche anno dopo il disco del ritorno sulle scene .

La versione è letteralmente torrida, il ritmo è serrato , Max Weinberg picchia come un dannato e Springsteen recita il proprio atto di fede (“sono un prigioniero del rock’n’roll), parodiando James Brown, e scatenando , come ovvio, il tripudio del pubblico; il tutto mentre Big Man nelle “retrovie del suono” suda le classiche “quattro camicie” per garantire il proprio supporto necessario a rendere la versione del brano eccellente.

Il finale del concerto è affidato a Rave On, un classico del rock ’n’ roll anni ’50 di Buddy Holly, certamente uno degli eroi giovanili del boss. La versione è ben diversa dall’originale, direi irriconoscibile, perché Bruce la adatta al suono caratteristico della band facendo diventare il brano uno sfrenato rock ‘n’roll.

E così termina uno dei più bei live che farà la gioia di tutti i suoi fan, soprattutto di quelli più attempati che ritroveranno nei solchi del disco i suoni a cui sono più legati, quelli più famigliari, quelli per cui il Boss è diventato un mito.

Perché seppur è vero che la carriera artistica di Bruce sta declinando in modo più che dignitoso (a differenza di quella di tanti altri artisti coevi) è pur vero che la maggior parte del suo pubblico lo ama per quello che è stato e meno per quello che musicalmente è, anche se è innegabile che ancor oggi dal vivo, Springsteen  sia in grado di offrire un grandissimo spettacolo.

Tutti felici quindi? Direi di si , salvo forse Roy Bittan che non si sa perché sia stato escluso dalla copertina del disco, anche se Bruce di ciò ha fatto ammenda pubblica.

È tutto, mentre si parla di due date nel 2022 a Ferrara e a Milano: speriamo bene perché  manca ai suoi tantissimi fan italiani.

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