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Palazzago

Il vigneto di famiglia rinasce con Linda e Luca: e ora c’è il Barbisù, il primo vino fotogallery

Linda Taiocchi e Luca Nava, giovane coppia, in due anni e in piena pandemia hanno ripulito e fatto rinascere la tenuta di proprietà della famiglia di Luca sin dalla fine dell’Ottocento ma abbandonata alla morte dello zio Carmelo

Palazzago. È stato un rifugio, un collante, una rinascita. Tra i filari hanno trovato una boccata d’aria e una serenità mancante mentre la pandemia li confinava in casa,  ma soprattutto mentre entrambi i loro padri erano ricoverati in ospedale, in condizioni critiche, a causa del Covid. Per Linda Taiocchi e Luca Nava, ridare vita a un vigneto è stato questo e molto di più. Linda, 34 anni, e Luca, 35 anni, marito e moglie di Brembate di Sopra, hanno infatti riportato alla luce il vigneto abbandonato della famiglia Nava e ora, dopo quasi due anni di duro lavoro, è pronto Barbisù: il loro primo vino.

“È una soddisfazione enorme. Anche se il lavoro non è ancora terminato perché siamo a tre quarti, è il frutto della prima fetta di vigneto. Nessuno si aspettava di trovare niente”.

Non c’erano attese perché il vigneto era pressoché dimenticato e scomparso. Di proprietà della famiglia di Luca sin dalla fine dell’Ottocento, la tenuta – circa 6000 metri quadri in via Secchia, nella parte alta di Palazzago – è rimasta soggetta all’incuria del tempo per sette anni da quando Carmelo, lo zio di Luca e il principale ad occuparsene in famiglia, è venuto a mancare.

Finché un giorno, nel febbraio 2019, non viene magicamente riscoperto. Luca porta la moglie – all’epoca fidanzata – a vedere l’appezzamento, che fino ad allora aveva solamente sentito nominare. “Quando l’ho visto, facendomi strada tra i rovi, me ne sono innamorata subito – spiega Linda -. Il bosco limitrofo se n’era appropriato, ma era un posto incantevole, con una vista bellissima”.

Linda inizia a pensare che sia il caso di rimetterci mano. “In fondo era una comproprietà tra fratelli e sistemarlo era qualcosa che comunque andava fatto”.

Il marito non è entusiasta: “Da piccolo – racconta lei scherzando – Luca veniva preso per i capelli per dare una mano nella vigna. Non era un appassionato”. La passione della moglie invece è troppo forte e lo travolge.

barbisù vigneto palazzago

 

I due iniziano a fantasticare sul vigneto. Decidono così di prenderne in mano la gestione e a poco a poco iniziano a ripulirlo nelle ore del tempo libero fino a quando, tra la primavera e l’estate del 2020, si ritrovano a passare tra i filari tutte le ore di luce che restano dopo il rientro a casa dal lavoro la sera e i fine settimana non lasciano spazio ad altra attività. “L’operaio conosce la domenica meglio del prete” è il motto di Luca, e il segno di quanto il loro lavoro sia instancabile.

Nel settembre la prima vendemmia e quest’anno la ricompensa delle loro fatiche: 1000 bottiglie di rosso per la precisione. “All’interno del vigneto ci sono diverse tipologie di uva, qualche piccola pianta di Moscato, ma soprattutto Merlot e Cabernet”. Barbisù, il nome che hanno scelto di dargli, è una dedica allo zio Carmelo e ai folti baffi che lo contraddistinguevano.

Per Linda e Luca dedicarsi alla cura della vite è stata una cura anche per loro stessi. Lo definiscono un vero e proprio ritorno alla natura. “Ne sentiamo la necessità. Per me poi, che da 15 anni lavoro nel mondo dei numeri e dell’economia, andare il weekend nel vigneto a fare una cosa manuale sembra di rinascere. Elimina lo stress”. Finance manager in un’azienda farmaceutica lei e operaio metalmeccanico lui, l’attività tra i filari è diventata per i due una scelta di vita, tanto che il progetto è proprio quello di dedicarsi soltanto a quello. “Io ho aperto la partita iva come agricoltore. Mi piacerebbe lavorare a tempo parziale, o lasciare del tutto il mio lavoro”.

Anche perché, durante la pandemia, lavorare nel vigneto li ha salvati. “Ci siamo resi conto del bisogno di tornare nella natura. Avere questo posto è stata una benedizione, anche rimanendo in paese, ti sembrava di vivere in un altro mondo. Potevi cancellare l’incubo che c’era fuori”. L’impegno con la vite ha imposto qualche sacrificio alle loro di vite: “Eravamo appassionati di montagna, ora non ce la ricordiamo neanche più”. Ora però hanno una nuova passione in comune che, sostiene Linda, li ha rafforzati come coppia.

E deve averli rafforzati anche fisicamente. Se il lavoro del viticoltore è di per sé faticoso, per Linda e Luca la difficoltà è doppia. Il loro infatti è un vigneto “eroico”, così definito per la sua peculiarità: una pendenza del 45-50% che rende tutto estremamente duro, complicato non solo dalla presenza di pali e di fili di ferro sotto i rovi, ma anche dalla condizione forzata di lavorare in maniera del tutto manuale, senza l’ausilio di mezzi meccanici.

L’unico aiuto sono le loro braccia e quelle del papà di Luca, che dà loro una mano. Questo però li costringe anche a produrre un vino più naturale. “Non abbiamo ancora la certificazione, ma stiamo seguendo la filosofia del biologico. Non vogliamo essere invadenti, stiamo cercando un compromesso tra la tradizione e la modernità e finché riusciamo non useremo macchinari”. Il loro vino ne rispecchia la fatica, ma anche le personalità dei due. “Artigianalità, semplicità, familiarità, ritorno alle origini, alle cose di valore. Come siamo noi, persone semplici che fuggono da lavori normali”.

Chi li guarda da fuori infine rimane meravigliato dal fascino della loro attività. “Gli anziani – conclude Linda – sono stupiti nel vedere due giovani che lavorano la vite. E anche le persone che vengono a trovarci, i nostri amici, rimangono estasiati e ci chiedono ‘Possiamo stare qui a guardarvi?’”.

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