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L’intervista

Carmela Remigio al Sociale è Medea: “Canterò per tutte le donne”

In Medea in Corinto “lei soffre per il tradimento. Cosa c’è di più attuale in questa sofferenza? Raccontiamo Medea con le armi del presente, ossia un teatro vicino a noi e immediato”

Nel 2001 debuttava per la prima volta al Teatro Donizetti in “Maria Stuarda”. Oggi, vent’anni dopo, lo stesso teatro è diventato anche la sua famiglia. Carmela Remigio, soprano, vincitrice nel 2016, del prestigioso “Premio Franco Abbiati della critica musicale italiana”, è ormai di casa al Donizetti Opera, il festival internazionale dedicato al più grande compositore bergamasco.

Quest’anno, stasera, sabato, torna in città per omaggiare Giovanni Simone Mayr, maestro di Gaetano Donizetti, nei panni di Medea, uno dei personaggi più celebri della mitologia greca. Un mito, ma ancor prima una donna, fatta di luci e ombra, capace di amare, incapace di perdonare.

Scoperta a diciotto anni da Luciano Pavarotti, Carmela viene poco dopo scelta da Claudio Abbado come Donna Anna nel suo attesissimo “Don Giovanni“. Da allora la stampa internazionale l’ha ribattezzata Madame Mozart: ha cantato infatti tutti i ruoli principali mozartiani in tutti il mondo e con i più grandi direttori e registi.

Da Mozart, a Donizetti, a Mayr. Negli ultimi anni il legame con Bergamo e la soprano si è intensificato sempre di più. Nel 2019, da artista in residenza del festival, ha vestito i panni di Lucrezia Borgia. È stata anche Amelia ne “Il castello di Kenilworth”, Antonina in “Belisario”, Elisabetta in “Roberto Devereux” e Anna Bolena. “Le donne donizettiane non sono mai superficiali – racconta Carmela – hanno nel cuore una gran quantità di sentimenti a tinte forti”.

“Per interpretare questi personaggi – prosegue la cantante – occorre una profondo scavo interiore: Donizetti conosceva bene l’animo femminile”.

Carmela, ci racconti il personaggio che interpreta. Chi è Medea?

Medea è il mito che conosciamo, quello raccontato da Euripide e poi da Pierre Corneille, da cui si è ispirato Felice Romani per il libretto dell’opera di Mayr. In “Medea in Corinto” è una donna con un fuoco interiore grandissimo. Se devo essere sincera, parlare di lei è difficilissimo. Portare in scena un personaggio del genere lascia un segno indelebile: da diverse settimane sento dentro.

Medea è una donna indubbiamente unica, ma ci sono degli elementi che la accomunano alle altre?

Come è purtroppo a tante donne, Medea è stata tradita e abbandonata dall’uomo con ha costruito una famiglia. I suoi figli avrebbero dovuto rappresenta la conseguenza e il futuro dell’amore tra lei e Giasone proprio amore. Tale promessa viene tradita, ma Medea è una donna che non perdona. Noi in scena raccontiamo la storia di una donna di oggi che vive il sentimento di abbandono come un unico. La logora il sospetto che il marito possa averla tradita, magari con la vicina di casa, una donna più giovane, più ricca. Una donna che agli occhi di Giasone risulta attraente. Il rapporto tra di loro finirà, lei si allontanerà e porterà con sé i figli.

In “Medea in Corinto” rivediamo una storia più che attuale.

Esatto. Lei soffre per il tradimento. Cosa c’è di più attuale in questa sofferenza? Raccontiamo Medea con le armi del presente, ossia un teatro vicino a noi e immediato. Ed è stupefacente riuscire a recuperare queste tematiche, così attuali, dagli antichi. Non solo, i greci vivevano il teatro in modo catartico, per liberarsi dalle paure e gioire delle cose belle. Ancora oggi il teatro e tutta l’arte dal vivo mantengono questa funzione vitale.

Questa produzione dà voce ai figli, che nella tragedia originaria non compaiono mai. Perché?

I litigi dei genitori ammazzano i figli interiormente. I figli subiscono e assorbono un contesto familiare negativo fatto di silenzi, incomprensioni e litigi. Una parte di loro muore in queste dinamiche di sofferenza. I figli sanno, comprendono e soffrono: per questo viene data voce al loro punto di vista.

Nel corso della sua carriera ha vestito i panni di donne con “la D maiuscola”. Avverte mai un senso di responsabilità nel dare voce a questi personaggi?

L’avverto tutte le volte che apro uno spartito. Da quando faccio questo mestiere mi hanno sempre spinta a riflettere oltre la vocalità e la vocalità per mettere insieme il personaggio da portare in scena. Io nasco strumentista: amo usare la voce per descrivere i sentimenti comuni dell’essere umano che poi vengono enfatizzati nell’opera. La volontà è sempre quella di andare sul palcoscenico e far vivere alle donne – perché noi donne parliamo soprattutto alle donne – la storia di altre, che sia Lucrezia Borgia, Ecuba o Elisabetta. Ogni personaggio femminile porta con sé un bagaglio enorme, l’artista deve saperlo veicolare e raccontare al pubblico.

Il suo legame con il Donizetti Opera è ormai di lunga data. Lei è stata Amelia ne “Il castello di Kenilworth”, Antonina in “Belisario”, Elisabetta in “Roberto Devereux”, Anna Bolena, Lucrezia Borgia e Maria Stuarda. Cosa le hanno lasciato questi personaggi?

Le donne donizettiane – come Medea di Mayr – hanno dentro una quantità di sentimenti a tinte forti che non possono lasciarti indifferente. Per ognuna di loro ho dovuto fare un lungo lavoro di ricerca e scavo interiore. Donizetti ti porta a descrivere psicologicamente i personaggi con la musica. La produzione di Donizetti è un belcanto molto spigoloso, non è fluido, come quello belliniano e rossiniano. Il suo linguaggio non è mai superficiale. Così sono i personaggi delle sue opere, con mille sfaccettature e altrettanti strati per arrivare al cuore, proprio come tutti noi. Ma mi permetto di dire che, da questo punto di vista, Donizetti possedeva una profonda conoscenza dell’animo femminile.

E per quanto riguarda il maestro di Donizetti, Giovanni Simone Mayr?

La prima ad interpretare Medea al teatro San Carlo di Napoli nel 1813 fu Isabella Colbran, una grande prima donna. Chi scriveva per lei doveva piegarsi alle sue esigenze. Infatti, la scrittura di Giovanni Simone Mayr prevede una chiarissima aderenza allo stile mozartiano per poi spingersi poi verso quella che divertirà la scrittura rossiniana. C’è questo meraviglioso che rispecchia l’anima mittle europea di Mayr e che poi si ritrova in Donizetti. Ecco perché Donizetti non era mai scontato nel raccontare le donne: egli respirò tutta la cultura tedesca sinfonica e operistica. Allo stesso modo Mayr è stato un grande compositore, forse ingiustamente messo da parte.

Che futuro vede per il Donizetti Opera Festival?

Ciò che mi lega al Festival, come a Francesco Micheli e a tutto il team, è di fare qualcosa per Gaetano Donizetti, riscattarlo. L’unione tra la preparazione di Riccardo Frizza, che ha il belcanto nel cuore e nelle vene, e la visione di Francesco Micheli fanno ben sperare per il futuro del festival. Tutti, dal comitato scientifico agli artisti, stanno facendo l’impossibile affinché il nome di Gaetano Donizetti arrivi in tutto il mondo.

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