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Il processo

Omicidio Colleoni, il figlio al giudice: “Litigavamo spesso, ma non l’ho ucciso io”

Giovedì in aula Francesco Colleoni ha cambiato la sua versione dei fatti: "Anche quella mattina abbiamo discusso ma poi sono risalito in casa e solo dopo ho trovato il cadavere in cortile"

Bergamo. Il giorno dell’omicidio di suo padre aveva detto ai carabinieri di aver litigato con lui per la gestione del ristorante, di essere stato spintonato e di aver reagito ma da lì in poi di avere un vuoto. Giovedì in aula Francesco Colleoni ha cambiato la sua versione dei fatti spiegando che quella mattina ha sì avuto una discussione con Franco per dei paletti caduti in giardino, ma poi di essere salito in casa e aver scoperto il cadavere solo più tardi, insieme alla mamma.

Il delitto lo scorso 2 gennaio. Quel giorno, un freddo sabato mattina d’inverno, nel cortile del ristorante di famiglia Il Carroccio a Brembo di Dalmine, Francesco avrebbe colpito alla testa suo papà, 68 anni, con una pietra fino a ucciderlo.

Il 34enne, in carcere da quel giorno con l’accusa di omicidio volontario aggravato dal rapporto di parentela, giovedì si è sottoposto all’esame dei suoi avvocati Enrico Cortesi e Andrea Filipponi e ha modificato la sua ricostruzione su quanto accaduto.

“Quella mattina mi sono alzato presto come sempre, verso le 6. Ho fatto la doccia e sono sceso a far colazione con mamma – le parole dell’imputato di fronte alla Corte d’Assise presieduta dal giudice Giovanni Petillo – . Poi sono uscito a giocare con i nostri cani ed è arrivato mio papà. Gli ho detto che dovevamo sistemare il ristorante perchè di lì a pochi giorni avremmo riaperto. L’attività era sua ma io ero capocuoco e ci tenevo molto. Lui però mi ignorava come faceva spesso. Poi si è voltato e ha visto dei paletti in cemento che erano caduti in giardino. Si è arrabbiato con me accusandomi di averli rotti e abbiamo discusso”.

Qui il 34enne modifica quanto aveva dichiarato: “Abbiamo concluso mandandoci a quel paese, come sempre. Sono risalito in casa mia a fare dei mestieri e mi sono lavato. Mamma mi ha chiamato due volte al telefono, ma non l’ho sentito perchè lo tenevo sempre silenzioso. Allora è venuta su e mi ha urlato che era successo qualcosa. Siamo scesi insieme, ma le ho detto di starmi dietro. Una volta arrivati in cortile e abbiamo trovato il cadavere di papà”.

“Mi sono voltato verso il ristorante – ha aggiunto l’imputato – e ho notato che la porta era aperta. Strano, di solito era chiusa. Poi dalle finestre ho visto che sul tavolo delle colazioni era tutto scombussolato. Allora ho detto a mamma che qualcosa non andava. Non ricordo altro di quel giorno”.

Ma di fronte a questa inattesa ricostruzione intervengono prima il giudice Petillo: “Lei quella sera non ha dato questa versione ai carabinieri e in più ora è molto più lucido nel ricordare ma solo fino a certo punto, che strano…”, e poi il pm Emanuele Marchisio: “In realtà disse che suo padre l’aveva toccata con la mano e lei l’aveva spinto, poi le era scoppiata la vena. E quelle lesioni alle mani e al viso che aveva? Inoltre, intercettato in caserma, si scusò con sua madre e le disse che non si era mai sentito così libero in vent’anni perchè non ce la faceva più”.

Dopo aver replicato in modo confusionario ai dubbi dell’accusa, il figlio parla proprio del rapporto col papà: “Trattavamo solo argomenti di lavoro. Non gli raccontavo mai nulla della mia vita. Avevo una morosa norvegese ma a lui lo tenevo nascosto, sapendo che non gradiva le persone non italiane. Aveva litigato anche con mio fratello per la sua fidanzata di origini straniere”.

Pure i dipendenti del ristorante, sentiti in aula, hanno confermato gli screzi tra i due: “Erano incompatibili tra di loro. Nell’ultimo anno, in particolare, litigavano spesso. Forse anche perchè Franco aveva deciso di licenziarlo. Nelle ultime settimane prima di morire sembrava che avesse paura di suo figlio. Aveva iniziato a chiudersi in casa come non aveva mai fatto prima”.

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