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Musica

Gli anni d’oro del rock

“Déjà Vu”, disco magico del 1970: C.S.N. & Y. col tocco di Jony Mitchell

Un LP caratterizzato da un’alternanza di stili (folk, country, blues, psichedelia, rock) che cattura l’ascoltatore

Dopo “Moondance” di Van Morrison prosegue il nostro viaggio rock nel 1970 con il secondo dei cinque capitoli dedicati a cinque Lp che hanno fatto la storia del rock.

Marzo 1970 – Déjà Vu (Crosby, Stills, Nash & Young)

Maggio 1969, Ahmet Ertegun, boss della Atlantic records, decide di calare il Poker. Vuole che il trio Crosby, Stills, Nash abbia un quarto elemento che dia maggior lustro alla band. Così, dopo lunghe ricerche, il discografico propone che ad unirsi al gruppo sia nienteppodimeno che: Neil Young.

Il problema è che tutti sanno quanto sia bizzarro il personaggio. Stills, in particolare, proprio per le infinite liti con Neil, ha deciso di chiudere l’avventura con i Buffalo Springfield.

Ma quando parla Ertegun, i consigli, sono ordini o quasi; tant’è che il canadese dalla lunghe basette viene ingaggiato e alla ragione sociale (C.S.N.) si aggiunge “& Y”.

Poche prove e debuttano al Fillmore di N.Y. per poi passare alla storia con il concerto di Woodstock.

La scelta di Young si dimostra azzeccatissima, porta quel pizzico di estro, di magia, di attitudine rock che renderà l’album composto a quattro mani (Déjà Vu appunto) uno dei dischi più amati di sempre, con oltre 8 milioni di copie vendute e che troverete in ogni lista di dischi da avere a tutti i costi.

È un LP caratterizzato da un’alternanza di stili (folk, country, blues, psichedelia, rock) che cattura l’ascoltatore. Un album unico per mille motivi: ai quattro eccellenti sodali si aggiungono Dallas Taylor alla batteria e al basso, ottimi turnisti tanto da comparire sulla copertina del disco sia in foto che in lettere. In due brani Jerry Garcia compare alla slide guitar e John Sebastian all’armonica. Molte le ore dedicate alla registrazione per ottenere quel suono così caldo.

La scrittura è appassionata e racconta delle vita degli autori: Nash si è lasciato con Joni Mitchell, così come Stills con Judy Collins, il matrimonio di Young con la siciliana Susan Acevedo è in rotta di collisione e David Crosby è distrutto per la morte della compagna Christine Hinton, in seguito ad un incidente stradale. Questi stati d’animo traspaiono sia nei testi che nella musica.

Carry on” è il primo brano; una cavalcata alla chitarra di Stills, accompagnato dalle armonie vocali dei compagni di viaggio e da un basso martellante. Poi coro a cappella e improvviso cambio di ritmo e bellissimo assolo di chitarra ad alternarsi con canto. Ottimo inizio.

Segue “Teach your children” di Nash, dal sapore country. Una piacevolissima ballata come solo l’inglese sa scrivere. Impreziosisce l’incedere morbido della canzone la slide guitar in sottofondo di Jerry Garcia.

Con il terzo pezzo “Almost cut my hair” ad opera di Crosby si entra in un altro mondo musicale, molto più solenne. Un blues malinconico che vede protagonisti la voce straziante dell’autore e le chitarre; tagliente la ritmica, acida la solista. Capolavoro.

Helpless” è invece un brano di Young come si coglie già dall’incipit strascicato di violino e piano. Una confessione in forma di ballata che racconta la voglia fuga dal paese di origine (Ontario). Ma è anche un luogo dell’anima; l’autore vorrebbe fuggire da se stesso. Ma, come disse qualcuno: “Da te stesso non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx”. Toccante.

Quinta canzone, a chiudere il lato A del LP è la splendida “Woodstock”, scritta da Joni Mitchell. Narra dell’atmosfera che si respirava al più grande raduno hippy nell’estate dell’amore del 1969. “Ovunque c’erano canzoni e festa. E ho sognato che i bombardieri si trasformassero in farfalle”. La musica che accompagna queste parole è un rock pulsante; organo, chitarra psichedelica e batteria in evidenza; impasti vocali straordinari. Molto molto power flower.

Déjà vu” che apre il lato B non poteva essere che composta da Crosby: ha un’impronta jazzistica; una base iniziale di chitarre acustiche a cui si unisce un florilegio di voci. Poi la voce del solo autore e un accompagnamento di chitarra, basso e armonica (John Sebastian) di grande impatto. Un brano in cui l’empatia tra i musicisti si tocca con mano.

Our House” è un quadretto familiare di Nash. Ricordo dei bei tempi in cui Joni Mitchell era la padrona di casa. Atmosfera incantevole punteggiata da un piano molto Beatlesiano e voci, solista e coro commoventi. Davvero bello.

4 + 20” è pura poesia in musica. Vede il solo Stills alla scrittura e alle chitarre; una arpeggiata sostiene il brano, l’altra di contorno abbellisce il tutto.

Segue “Country girl” di Young. Ha un arrangiamento in controtendenza rispetto al resto dell’album. Molto ricco: tastiere, piano, organo, quasi un Wall of sound di Spectoriana memoria. Anticipa l’atmosfera che caratterizzerà “Harvest”, capolavoro solista del canadese.

Si chiude con “Everybody I love you” di Young e Stills, un rock molto tirato che profuma di Summer of love, l’estate del sogno hippy.

Un disco che va sentito all’infinito; e ogni volta lo si apprezza ancora di più; ci regala nuove gemme. E’ un album con così tante sfaccettature che va ascoltato con attenzione, magari con le cuffie per assaporarne meglio l’alternanza delle chitarre e le splendide armonie vocali. Ne è uscito recentemente un box in 4 cd con una messe di brani non pubblicati; roba per completisti. Se siete invece ancora sani di mente, non come il sottoscritto, dovete a breve dotarvi dell’originale in cd o vinile poco importa.
10 pallini su dieci.

CROSBY, STILLS, NASH & YOUNG ​sono un supergruppo, cioè una band i cui membri avevano già avuto una carriera importante in precedenza . In particolare David Crosby per aver fatto parte dei Byrds, Stephen Stills unitamente a Neil Young dei Buffalo Springfield, Graham Nash, unico inglese, degli Hollies.

L’esordio discografico come Crosby, Stills, Nash (senza Young) risale al 1969 ed è un clamoroso successo di pubblico e critica. L’anno successivo pubblicano “Deja Vu” con Young, un vero capolavoro, cui fa seguito il doppio “4 way street”, bellissimo album live composto da un disco acustico e uno elettrico.

Da allora tournèe, dischi a profusione sia singolarmente che come duo (Crosby & Nash) e reunion, soprattutto come trio (Crosby, Stills, Nash). La loro musica è uno splendido combo di folk, rock, blues e anche jazz sempre in evoluzione.

Mai banale, per palati fini; in evidenza l’impasto a due, tre, quattro voci che non ha eguali e le chitarre caratterizzate da un suono unico. Joni Mitchell è l’artefice di tale magia, avendo loro impartito l’utilizzo delle accordature aperte. Ancora oggi sulla breccia i terribili vecchietti, quasi ottuagenari, realizzano ancora album di valore e suonano, compatibilmente coi tempi che corrono, ove li chiamano. Chapeau.

Bibliografia:
​“Il dizionario pop rock”, E. Gentile e A. Tonti, Zanichelli ed., 2015
​“Enciclopedia del rock”,vol. 3, aavv, Arcana ed., 2005

Anche nel ’70 tanti i dischi che, mio malgrado, mi è toccato escludere: l’esordio di James Taylor (“ Sweet baby James”); l’omonimo LP di Elton John; “John Barleycorn must die” (Traffic); “Fun house” (The Stooges); “Morrison hotel” (Doors); “Trespass” (Genesis); “All things must pass” (George Harrison) ; “Benefit” (Jethro Tull); “Mad dogs…” (Joe Cocker); “Cosmo’s factory” e “Pendulum” (Creedence Clearwater Revival); “Lola…” (The Kinks); “Workingman’s dead” (Grateful Dead); “A question of balance” (Moody Blues); “Twelve dreams of dr. Sardonicus” (Spirit); “Bridge over trouble water” (Simon & Garfunkel); Led Zeppelin III (Led Zeppelin).

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