• Abbonati
La lettera

I medici di base replicano a Moratti: “Noi in prima linea, ma chi è abituato a tagliare nastri non se ne accorge”

"Le sue esternazioni ci provocano stupore, preoccupazione e tanta amarezza: le porte dei nostri studi sono aperte per accoglierla e farle toccare con mano, senza tanti proclami ma con i fatti, il quotidiano impegno del nostro lavoro"

In una lettera aperta Paola Pedrini, segretario generale lombardo della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale, replica alle dichiarazioni della vicepresidente e assessore al welfare di Regione Lombardia Letizia Moratti che aveva criticato l’apporto dei medici di base all’interno del sistema sanitario regionale.

“Le esternazioni di questi giorni dell’Assessore alla Salute pro tempore di Regione Lombardia Letizia Moratti (sostanzialmente viene sostenuta la scarsa efficacia della rete dei medici di famiglia nel sistema sanitario regionale) ci provocano stupore, preoccupazione e tanta amarezza.

Stupore, in quanto credevamo che il lavoro svolto in condizioni drammatiche dai medici di famiglia lombardi, a partire da quel maledetto marzo 2020, fosse stato e fosse apprezzato.

La stragrande maggioranza dei medici di famiglia lombardi, dopo un primo momento di paralisi, di fronte a un attacco violento come quello della prima ondata COVID-19, dopo aver lasciato sul campo decine e decine di colleghi, morti per curare i loro pazienti, morti in un numero in proporzione enormemente superiore a quello di qualsiasi altra categoria di medici e di operatori sanitari, lasciati completamente soli a cercare di procurarsi quelle mascherine (nel territorio mancavano, ma nelle strutture sanitarie c’erano) che a loro, medici di famiglia, era ‘vietato d’autorità’ comprare, dopo tutto questo, si sono riorganizzati, da soli, con il supporto di gruppi spontaneamente creati, della nostra Federazione nazionale (FIMMG) grazie al contributo volontario di migliaia di cittadini e associazioni italiane, con l’intervento delle loro cooperative, con il sacrificio personale di una continua disponibilità telefonica.

In questo periodo i medici di famiglia lombardi hanno attivato con le loro cooperative piattaforme di telemonitoraggio domiciliare, hanno supplito le strutture sanitarie, impegnate purtroppo nell’emergenza e costrette a ridurre drasticamente le normali attività specialistiche, nella gestione dei malati cronici.

E, alla fine, hanno vaccinato loro, i medici di famiglia della nostra regione, milioni di cittadini lombardi, a domicilio, negli hub delle loro cooperative e anche negli hub delle Asst, dove non è stato loro concesso di organizzarsi autonomamente. Certo, di queste cose, chi è soprattutto impegnato a tagliare i nastri non ha tempo di accorgersi: sembra che l’importante non sia la cura delle persone, che, se si lamentano molto poco dei loro medici di famiglia, un po’ di più si lamentano delle strutture del SSR.

La cura per noi medici di famiglia non è solo visita e prescrizione, è rapporto di fiducia, empatia, vicinanza alle persone, disponibilità per tutti, soprattutto per i più deboli e per i più fragili. Questo non si impara nei palazzi e nelle tecnostrutture della politica.

Certo, siamo profondamente convinti che il sistema delle cure primarie vada rivisto, ma ci spaventa il fatto che chi vuole metterci mano non lo conosca, non consideri nemmeno i dati e i numeri e creda di risolvere, con una ricetta (pubblico impiego? dipendenza da accreditati?), problemi complessi che andrebbero analizzati e condivisi, non affrontati con decisioni frutto di vecchie impostazioni ideologiche, che dimostrano solo scarsa conoscenza e incapacità di affrontare i problemi.

Amarezza dunque, ma non l’amarezza per il nostro futuro professionale, per il disconoscimento del nostro lavoro, no, l’amarezza per i nostri pazienti, il cui futuro, con queste premesse, è ben più preoccupante.

Ma, sebbene l’argomento della riorganizzazione delle cure primarie non si possa trattare in un lettera, qualche domanda al nostro Assessore ci sentiamo in dovere di farla:

1) Se il lavoro dei medici di famiglia è così comodo, per quale motivo, in una fascia pensionabile che va dai 62 ai 70 anni pochissimi aspettano, a prezzo di importanti penalizzazioni, di raggiungere il limite dei 70 anni per andarsene?

2) Se il lavoro del medico di famiglia è così comodo, per quale motivo in Lombardia non si sono coperti tutti i posti disponibili al corso di formazione specifica in medicina generale e i neolaureati preferiscono orientarsi verso le specialità ospedaliere?

3) Per quale motivo la Regione non finanzia a questi “antipatici e lazzaroni” liberi professionisti una segretaria e un infermiere che affianchino ciascun medico e invece assume a iosa infermieri di famiglia allocati nei distretti, come si dice, ad ‘intercettare i bisogni’? L’Assessore spesso si lamenta che i medici di famiglia non forniscono un servizio ‘omogeneo’.

Ebbene, per quale motivo le Regioni hanno costruito un accordo collettivo nazionale che parte da una base minima e per arrivare a una retribuzione decente offre incentivi opzionali e contingentati per aumenti orari e misure organizzative?

I medici di famiglia, sono sul campo per tutta la giornata e nei paesi (e la nostra regione è fatta da molti paesi) e nei quartieri delle città della nostra Regione vanno in giro con la loro automobile, la loro bicicletta, la loro faccia: così non va bene?

Li sostituiamo con dipendenti che, dopo le otto ore di turno, staccano e vanno a casa: ne servirebbero almeno il 30-40% in più, per ferie, malattia, 104, INAIL, formazione, gravidanza, ecc…

Non sappiamo caro Assessore se veramente sia a conoscenza dei sistemi sanitari europei, dove i medici hanno più assistiti, ma nessuno lavora da solo. Tutti hanno una segretaria, personale sanitario, strumentazione diagnostica adeguatamente finanziati.

Abbiamo l’impressione che il suo sistema di riferimento sia quello portoghese: noi preferiremmo quello tedesco, francese o del Regno Unito, dove non si parla di dipendenza, ma di professione. Comunque noi ci siamo e continueremo ad esserci, medici di famiglia, della persona, scelti dal cittadino cui deve essere permessa la libertà di scelta.

Le porte dei nostri studi sono aperte per accoglierla e farle toccare con mano, senza tanti proclami ma con i fatti, il quotidiano impegno del nostro lavoro”.

Paola Pedrini Segretario generale FIMMG Lombardia

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI