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Il processo

Omicidio di Dalmine, “Il cadavere di Colleoni irriconoscibile e la rapina inscenata”

Le testimonianze dei carabinieri che il 2 gennaio si recarono al ristorante Il Carroccio e di due passanti: "Abbiamo sentito qualcuno in cortile che gridava aiuto"

“C’era un corpo esanime a terra, con sopra un ragazzo che cercava di rianimarlo. Poco più un là un altro giovane rincuorato da una donna, entrambi disperati, in lacrime e con conati di vomito”. Nella sua deposizione dinanzi alla Corte d’Assise presieduta dal giudice Giovanni Petillo, giovedì il maresciallo capo Giuseppe Mineo ha descritto così la scena che si è trovato di fronte lo scorso due gennaio nel cortile del ristorante Il Carroccio a Brembo di Dalmine, dove Francesco Colleoni avrebbe colpito alla testa con una pietra suo papà Franco, 68 anni, fino a ucciderlo.

Il ragazzo che piangeva era proprio lui, Francesco, cuoco 34enne, in carcere da quel giorno con l’accusa di omicidio volontario aggravato dal rapporto di parentela. Agli inquirenti raccontò di un acceso diverbio per motivi di gestione del ristorante, ma spiegò di non ricordare di aver colpito a morte il papà, acceso sostenitore leghista e in passato ai vertici della sezione bergamasca.

“Siamo arrivati in via Sertorio alle 12.20, cinque minuti dopo la chiamata dalla centrale di Treviglio, a loro volta contattati dal personale sanitario – il racconto del maresciallo della stazione di Dalmine, incalzato dalle domande del pm Emanuele Marchisio – . Nevicava e faceva freddo. In strada c’era una donna che si sbracciava. Era Tiziana Ferrari, ex moglie della vittima. Così abbiamo capito che il luogo era quello, il ristorante. Poi è entrata e l’abbiamo seguita. In cortile lei piangeva e cercava di rincuorare un ragazzo, l’imputato, a sua volta disperato e con conati di vomito”.

“C’era una persona a terra e guardando il volto abbiamo capito che era ormai morto – prosegue il carabiniere, con l’imputato che ascolta senza batter ciglio – . Quello che cercava di rianimarlo era l’altro figlio, Federico. Era l’unico che parlava, mentre gli altri due erano sotto choc e hanno avuto bisogno dell’intervento medico. Il personale del 118 ci ha detto che la vittima era stata colpita al capo con un corpo contundente e che non risultavano altre lesioni”.

Il portafoglio del 68enne non è stato mai ritrovato, mentre da un sopralluogo emersero altri particolari: “All’interno della struttura abbiamo visto che in cantina la luce era accesa e la cassaforte era aperta con la chiave inserita. Nell’appartamento di Franco Colleoni, molto ampio, era a soqquadro solo la camera da letto. Nel cortile in cui trovammo il corpo, c’erano due piccoli lampioni rotti. E anche un tavolo, con un bastone accanto. Sul retro c’erano due cani in un giardino recintato”.

Poi la ricostruzione torna indietro di qualche giorno: “Il 28 dicembre 2020 alle 13 arrivò in caserma una chiamata da Colleoni. Diceva che stava litigando col figlio ed era stato aggredito. La pattuglia di Osio Sotto arrivò sul posto un’ora dopo ma non trovò nessuno”.

Giovanni Sciusco, luogotenente del nucleo investivo di Bergamo, iniziò a lavorare al caso poche ore dopo l’omicidio: “L’ipotesi iniziale era quella di una rapina. Ma sul capo c’erano lesioni gravissime, da accanimento. Era irriconoscibile, come se fosse stato sbattuto con violenza contro il bordo in cemento del giardino”, il suo racconto mentre mostra ai presenti le foto del cadavere.

Poi il carabiniere torna sulla situazione trovata in casa: “I cassetti erano aperti, ma sembrava una messa in scena. Anche in camera, con la cassaforte aperta ma con le chiavi dentro e senza che fosse stato asportato qualcosa. Da lì abbiamo scartato la pista della rapina, anche perchè il ristorante era chiuso da tempo per le restrizioni Covid e non cerano molti soldi da rubare”.

Un’affermazione, quest’ultima, che non è andata giù a Enrico Cortesi, avvocato dell’imputato: “Da cosa lo deduce questo? Perché escluderlo? E la madre e il fratello li avete attenzionati?” “No – la risposta del carabiniere – , in ogni caso in base alla mia lunga esperienza non mi sembrava proprio una rapina”.

Poi Sciusco torna sull’imputato: “In caserma abbiamo notato che aveva un’ecchimosi sotto lo zigomo e la mano destra gonfia. Sotto le unghie aveva il dna del padre. La sera siamo tornati nella casa e con il luminol abbiamo rilevato macchie di sangue nella zona del lavandino”.

In aula ha parlato anche una coppia, che quel 2 gennaio stava passeggiando con il cane: “Abbiamo sentito delle urla dal cortile, qualcuno gridò due volte aiuto. Poi udimmo dei colpi sordi, come di legno contro legno”.

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