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Il caso

L’ex Oms Ranieri Guerra nel suo libro: “Atalanta-Valencia folle, il virus circolava già”. E attacca Gori

Bergamo trova ampio spazio in 'Controstoria della pandemia', scritto dall'ex direttore vicario dell'Organizzazione Mondiale della Sanità

Trentaseimila tifosi sugli spalti tra abbracci, canti, urla, selfie di gruppo, birre in comune e metro piene. Il tutto senza mascherine o distanziamento sociale da rispettare. Quell’Atalanta-Valencia del 19 febbraio 2020 continua a far parlare di sè.

L’ultimo a tirare in ballo quella che è stata definita la “partita zero” (o ancora la “bomba biologica” che ha accelerato la diffusione del Covid in provincia di Bergamo) è l’ex direttore vicario dell’Oms Ranieri Guerra, nel suo libro ‘Controstoria della pandemia’. Lo stesso Ranieri Guerra finito nel mirino della Procura nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione dell’emergenza sanitaria. La vicenda è quella delle presunte pressioni su alcuni ricercatori per far eliminare dal sito dell’Organizzazione, a metà maggio 2020, lo studio che definiva “improvvisata e caotica” la gestione della pandemia da parte dell’Italia, sottolineando il mancato aggiornamento del Piano pandemico, fermo al 2006.

Alcuni passaggi del libro di Ranieri Guerra sono stati riportati dall’Agi. “Per quanto oggi ci possa apparire assurdo, folle, inconcepibile e così ci appare perché lo è senza ombra di dubbio – si legge – nei giorni che precedettero la notte di coppa non venne in mente a nessuna autorità locale, istituzione politica o sportiva, che far entrare e tenere attaccati l’uno all’altro sui seggiolini per 90 minuti 36mila tifosi, gran parte dei quali arrivati in massa da un’altra città e destinati a tornarvi subito dopo, fosse una pessima idea con il virus già in circolazione nel Paese”.

Una frase, quest’ultima, che si presta a diverse interpretazioni. Perché se è vero che i primi due casi italiani sono stati confermati il 30 gennaio a Roma, è altrettanto vero che al 19 febbraio non risultava nessun caso “ufficiale” in Lombardia, dove venne rilevato un focolaio soltanto il 21 febbraio a Codogno. A Bergamo, invece, il primo caso venne reso pubblico il giorno 23. Inoltre, all’epoca, i casi sospetti, oltre ad avere sintomi, dovevano avere anche “una storia di viaggi nella città di Wuhan (e nella provincia di Hubei), Cina, nei 14 giorni precedenti l’insorgenza della sintomatologia” oppure aver “visitato o lavorato in un mercato di animali vivi a Wuhan e/o nella provincia di Hubei, Cina”. Solo oggi, a distanza di mesi e mesi, grazie al lavoro della Procura, sappiamo ad esempio che il Covid si annidava nei corridoi dell’ospedale di Alzano Lombardo almeno 12 giorni prima di quella domenica 23 febbraio. E che i primi contagi – secondo gli accertamenti dei consulenti nominati dalla magistratura – risalirebbero almeno all’11 febbraio.

“Il fatto che ancora non si potesse immaginare l’impatto che avrebbe avuto il Covid-19 sull’area bergamasca – sostiene però Guerra – non è un’attenuante perché c’erano già alcuni fattori di cui tenere conto, in primo luogo le caratteristiche demografiche dell’area, contraddistinta da un’elevata età media e quindi da un quadro iniziale di maggiore vulnerabilità che avrebbe dovuto imporre di evitare almeno i grandi assembramenti e le occasioni di contagio di massa”.

Ancora Guerra, infine, scrive di non capire perché “gli amministratori locali invece di preoccuparsi per una minaccia alla salute pubblica hanno consentito tutto questo tre settimane dopo la dichiarazione dello stato di emergenza”. In particolare se la prende con “il sindaco di Milano e quello di Bergamo” che “erano in tribuna, mentre in Emilia Romagna altri amministratori avevano avuto il coraggio di prendere decisioni ben diverse in autonomia”.

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