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Salute

L'intervista

Fibrillazione atriale, l’esperto “Ecco come curare il cuore in gola”

Tante e diverse sono le cause del problema e per ciascuna serve una terapia specifica: ne parliamo con il dottor Paolo Peci, responsabile dell’unità di cardiologia e unità coronarica del Policlinico San Pietro di Ponte San Pietro

È la più comune delle aritmie del cuore ed è responsabile di un notevole numero di accessi in pronto soccorso. Interessa l’1-2% della popolazione ovvero più di 1 italiano su 100, in particolare uomini sopra gli 80 anni. È la fibrillazione atriale, condizione spesso sottovalutata, nonostante possa favorire ictus, trombosi e infarti. Abbiamo chiesto al dottor Paolo Peci – responsabile dell’unità di cardiologia e unità coronarica del Policlinico San Pietro di Ponte San Pietro – come riconoscerla, diagnosticarla e, soprattutto, come curarla.

Dottor Peci, innanzitutto che cosa è la fibrillazione atriale?

Si definisce fibrillazione atriale un battito cardiaco irregolare e spesso accelerato che si origina nelle camere cardiache superiori, i cosiddetti atri, impedendo loro di funzionare correttamente. In tali circostanze, gli atri non sono più in grado di espellere tutto il sangue, che rimarrà in parte all’interno delle camere con il rischio di formazione di coaguli.

Quali sono i sintomi con cui si manifesta?

In genere palpitazioni, ossia sensazioni di cuore in gola, battito cardiaco irregolare o anomalo o tuffo al cuore, debolezza, difficoltà respiratorie, dolore al torace. In alcuni casi però può essere del tutto asintomatica.

Come si diagnostica?

La diagnosi può rivelarsi difficile in quanto la fibrillazione atriale è un evento imprevedibile e i sintomi non sono sempre evidenti. Strumento necessario per la diagnosi è l’ECG (elettrocardiogramma). Fatta la diagnosi è importante eseguire un ecocardio colordoppler per verificare la presenza di eventuali cardiopatie strutturali.

Quali sono le cause e i fattori di rischio?

Le cause di fibrillazione atriale sono molteplici e includono difetti delle valvole cardiache; difetti cardiaci congeniti; enfisema o altre pneumopatie; esposizione a sostanze stimolanti, quali ad esempio farmaci, caffeina, tabacco, o consumo di alcol; insufficienza cardiaca; cardiopatia ischemica; ipertensione; ipertiroidismo o altri squilibri metabolici; un precedente intervento di cardiochirurgia; malattia del nodo del seno (quando il pacemaker naturale del cuore smette di funzionare correttamente), apnea notturna, stress dovuto a polmonite, intervento chirurgico o altra malattia; infezioni virali. Oltre alle cause appena citate, il fattore di rischio più importante per le aritmie è l’età, che evidentemente non si può cambiare. I disturbi del ritmo cardiaco possono essere inoltre favoriti da alcool e fumo (entrambi stimolanti che fanno battere più rapidamente il cuore), sovrappeso e obesità.

Ma è possibile curarla?

Ci sono diverse soluzioni che possono aiutare a risolvere il problema. Nel soggetto sano in realtà il ripristino del ritmo sinusale (cardioversione) avviene spontaneamente nel 60% dei casi circa, nelle prime 12-24 ore dopo l’episodio acuto. Se ciò non avviene, il medico sceglierà tra due strategie terapeutiche: il controllo del ritmo o il controllo della frequenza. Nel primo caso si cerca di far ripristinare il ritmo cardiaco normale. A questo scopo si interviene con la cosiddetta cardioversione elettrica, attraverso la procedura di defibrillazione. Si tratta di un intervento molto rapido che in genere non richiede il ricovero (sono sufficienti alcune ore) e risolve più del 90% dei casi di fibrillazione atriale. L’altro tipo dì cardioversione è farmacologica e si basa sulla somministrazione di medicinali anti-aritmici. In alternativa ai farmaci c’è l’ablazione, un intervento con il quale si vanno a distruggere le zone del cuore dove nasce e si sostiene l’aritmia. La procedura è quasi sempre transcatetere (con catetere inserito dalla vena femorale) ed è efficace in circa il 70% dei casi quando effettuata in centri qualificati. Il controllo della frequenza, invece, si può ottenere con farmaci che evitano al cuore di battere troppo veloce. A questa terapia viene affiancata quella anticoagulante, utile a evitare la formazione di trombi, cioè i coaguli di sangue che nel peggiore dei casi sono responsabili degli ictus cerebrali. È molto importante ricordare che da pochi anni sono stati approvati dei nuovi farmaci anticoagulanti (NAO), che non necessitano più dei controlli ematologici, cioè il prelievo del sangue periodico dell’INR (l’indice di scoagulazione del sangue). Sono sicuri ed efficaci almeno quanto gli anticoagulanti tradizionali e sono prescrivibili solo da alcune tipologie di specialisti, tramite SSN, esclusivamente previa compilazione del Piano Terapeutico.

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