Clara Grassi, mamma di Susanna, ragazza con sindrome di down, di Costa Volpino, prova a esprimere un pensiero un po’ fuori dal coro in tema di Paralimpiandi, o meglio il desiderio, per diversamente abili (e non solo), che non li si debba per forza ritenere di valore solo se e quando vincono.
Eccolo.
Una cosa che non riesco a non dire sulle Paralimpiadi. Leggo ovunque frasi come per esempio questa: “L’importanza del punto di vista. Che un fatto sia un dramma o un’opportunità dipende da noi. Non dal fatto”.
“Dopo l’incidente, ho scoperto la mia persona, perché prima forse non mi conoscevo nemmeno io. E non sapevo di avere tutta la forza che alla fine ho avuto”.
Ok, gli atleti paralimpici sono esempi brillanti, possono sicuramente ispirare qualcuno a farsi forza, sicuramente non lo metto in dubbio… però non è che tutte le persone disabili dalla nascita o per un incidente devono essere sempre felici e performanti, con il coltello tra i denti o dimostrare qualcosa a qualcuno.
Devono vivere sereni.
Come del resto tutti gli altri.
A me questa storia che non si concede di dire a una persona qualsiasi “sto male…”
“Sono depressa/o…”
“Non ce la faccio…”
“Non mi sento capace…”
“Mi sento una cacca…”
Inizia a starmi stretta.
Non siamo tutti super eroi e ormai quasi nessuno è capace di ascoltare e accogliere la fatica degli altri.
Certo la mentalità social ci vorrebbe sempre sul pezzo, mai in crisi. Sempre fighi, sempre positivi.
Le favole vanno bene, però fino a un certo punto.
Non è obbligatorio essere eroi.
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