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Processo Ubi, a rischio prescrizione la presunta illecita influenza per l’assemblea

La sentenza numero 140 della Corte Costituzionale del 6 luglio scorso ha ridefinito i calcoli per i casi di rinvio dovuti al Covid

Bergamo. Uno dei due capi d’accusa dell’inchiesta Ubi rischia di andare in prescrizione. La sentenza numero 140 della Corte Costituzionale del 6 luglio scorso ha infatti ridefinito i calcoli per i casi di rinvio dovuti al Covid, anticipando i termini per il capo f, quello relativo alla presunta illecita influenza per l’assemblea del 20 aprile 2013.

Difficile stabilire la data precisa, ma secondo i calcoli di alcuni degli avvocati dei 31 imputati (30 più la Banca stessa), il tribunale dovrebbe prendere atto dell’avvenuta prescrizione già a inizio settembre. Quindi in anticipo rispetto alla sentenza prevista, secondo il calendario e salvo nuovi slittamenti, venerdì 24 settembre.

Prima del verdetto della Corte presieduta dal giudice Stefano Storto, sono in programma altre due udienze. Martedì 7 settembre ci sarà la replica del pm Paolo Mandurino (che ha preferito non commentare la vicenda) e una settimana più tardi con le controrepliche delle difese. Ma il pronunciamento della Corte Costituzionale rischia di stravolgere tutti i piani.

Al centro dell’inchiesta della procura di Bergamo (avviata dal pm Fabio Pelosi e dal compianto procuratore Walter Mapelli), ci sono Giovanni Bazoli, tra gli artefici insieme a Emilio Zanetti, della fusione tra la BPU Banca – Banche Popolari Unite e Banca Lombarda e Piemontese, all’origine della quale secondo l’accusa ci furono da una parte un ostacolo alle autorità di vigilanza (Banca d’Italia e Consob) e dall’altra l’influenza illecita sulle decisioni dell’assemblea.

All’interno di Ubi sarebbe stata creata una “cabina di regia” che, sempre secondo l’impianto accusatorio, prima decideva le nomine della banca e delle sue partecipate, e poi riusciva a influenzare le scelte dell’assemblea “con atti simulati e fraudolenti”.

In questo clima Zanetti, all’epoca dei fatti presidente di Bpu, e Bazoli, legato all’anima bresciana della Banca Lombarda, fondendo le due banche (una popolare e l’altra di capitali) diedero vita a Ubi. Ma per i magistrati la regia bergamasco-bresciana era frutto di un’intesa tenuta nascosta a Banca d’Italia e Consob.

Come aveva esposto nella sua requisitoria, per il pm Mandurino si verificarono una serie di manovre in vista di quell’assemblea del 20 aprile 2013, con “un meccanismo di raccolta di deleghe in bianco per spianare la strada alla lista uno, quella Andrea Moltrasio sulle altre”: la 2 guidata da Andrea Resti e la 3 di Giorgio Jannone, che con i suoi esposti fece partire le indagini. Secondo l’ipotesi accusatoria, “senza quel sistema avrebbe vinto la lista 2 e quindi l’asse Bergamo-Brescia avrebbe perso il controllo di Ubi”.

Nelle sue richieste di condanna il magistrato aveva proposto un totale di ventisei condanne che vanno da un massimo di 6 anni e 8 mesi per Bazoli a un minimo di 1 anno e 2 mesi, oltre a cinque assoluzioni, tra cui la Banca. Ma sul verdetto del giudice ora potrebbe abbattersi la scure della prescrizione.

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