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Il racconto

“Io, il virus preso al mare, la paura e quel vaccino mai fatto: ma è l’unico modo di ripartire”

Matteo Bonfanti, giornalista e direttore del settimanale Bergamo&Sport, ha tenuto sui social una sorta di diario della malattia: dall'isolamento alla preoccupazione per il figlio 15enne, a sua volta contagiato e isolato in ospedale: "Avevo e ho ancora dubbi, ma appena potrò mi vaccinerò. Non voglio più trovarmi in questa situazione"

Bergamo. Il Covid si è presentato alla sua porta una sera d’estate, entrando senza bussare. “Non ci volevo credere, che ero nella mia settimana di ferie dopo un anno di lavoro. Ero al ristorante in centro, coi sardoncini da mangiare e la musica intorno, felice di rivedere visi tutti interi, senza mascherine che io non le sopporto perché non so mentire”.

Matteo Bonfanti nel raccontare le cose ha uno stile tutto suo. Quarantaquattro anni, è il direttore di Bergamo&Sport, il settimanale di riferimento per chi vive il mondo sportivo dilettantistico provinciale. Sul sito del giornale, cura anche un blog dove condivide le sue esperienze e i suoi pensieri. Non sempre lineari, “ma mi hanno insegnato che un buon giornalista non ha sempre la verità in tasca. Anzi – dice – spesso è pieno di dubbi e domande”. Vero.

Nemmeno il virus gli ha impedito di dedicarsi alla scrittura, a quei racconti che – anche quando non hai ben chiaro di cosa stia parlando – ti viene voglia di leggere dall’inizio alla fine, per quel piglio un po’ scanzonato e autoironico che – diciamolo – non guasta in un mondo dove si prendono tutti maledettamente sul serio.

Fedele al suo stile, ha raccontato l’esperienza della malattia, incrociata un sabato d’agosto mentre se ne stava spensierato al mare, a Cattolica, con le persone che più gli vogliono bene. “Mi è saltata addosso: prima alle braccia, poi è andata giù, alle gambe e alla schiena, quindi di nuovo su, alla gola, perdendoci la voce, forte quanto l’acqua salata della Riviera. Mi chiamava e facevo finta di niente, per allontanarla ancora un pochino. Poi non ce l’ho fatta più”.

Un’esperienza che non ha mancato di condividere sui social, in una sorta di diario di bordo dove annotare pensieri, paure, paranoie, speranze, preghiere: dai giorni di isolamento (un vero calvario per un tipo come lui) alla grande preoccupazione per la salute del figlio 15enne, a sua volta contagiato e isolato in ospedale. Entrambi – ha ammesso – non avevano fatto il vaccino.

“Non azzardarti a uscire”, gli ha detto un vicino. “Del resto che vuoi che siano dieci giorni in una vita. Neppure te ne accorgi, un attimo e sono già finiti”. “Ma non è vero – osserva Bonfanti – perché è la vecchia storia della teoria della relatività, quella che ci spiega che dieci giorni a fare l’amore con la propria bella passano al volo, giusto in una decina di minuti. Starsene da soli in casa – invece – a fare su e giù tra le piastrelle, divano, sala, balcone, sala, divano, paiono dieci anni, con la speranza che i domiciliari siano sul punto di concludersi e che finalmente l’indomani si possa riprendere il proprio posto in ufficio”. “Bisogna fare il vaccino anche per questo – riflette oggi -: per evitare l’isolamento in un piccolo appartamento in centro, con le imposte chiuse per non fare entrare i quaranta gradi che scaldano il porfido delle strade, o nella camera di un ospedale, soli e tristi, guardati male, da appestati privi di senno”. Ma anche per senso e dovere civico, non manca di sottolineare: “Soprattutto verso chi è più fragile di noi”.

Che poi, tra gli “ultrà pro-vaccino” o “anti-vaccino” – come li chiama lui – c’è una categoria di mezzo, spesso trascurata nella narrazione popolare della pandemia. Quella degli indecisi, degli insicuri, un po’ ansiosi e ipocondriaci. Quelli che per convincersi non hanno bisogno del trattato di scienza, ma a volte di una parola di incoraggiamento e una pacca sulla spalla in più. “Succede sempre al momento della prenotazione della puntura che dovrei fare. Mi salgono dubbi di tutti i tipi. Improvvisamente il cielo sopra la redazione diventa uguale a quello di Berlino, grigio e minaccioso, e buonanotte ai suonatori. E questa cosa, quella di pensare, mi fotte ogni volta da quando ho sei anni. ‘Buttati, Matti’ diceva mia mamma a Zadina di Cesenatico, alla piattaforma dei Bagni 36, nel mio mese al mare. ‘Forza, popino, senza paura…’ e io fermo, mani e piedi bloccati, con le vertigini e i brividini lungo la schiena, ore e ore a decidere se fare o non fare sto tuffo”.

Il virus un po’ lo ha cambiato. Forse. “Non sono uno scienziato e nemmeno un virologo. Da cittadino, dico che non è facile orientarsi nella babele di informazioni spesso contrastanti che circolano tutti i giorni. Da giornalista, preferisco raccontare i miei dubbi, l’esatto contrario di molti celebri colleghi che percorrono sempre e solo una strada. Ad ogni modo, penso davvero che il vaccino sia l’unica via possibile per tornare alla vita e ripartire” precisa Bonfanti, che ha visto il calcio e lo sport provinciale fermarsi mesi e mesi, con non poche ripercussioni anche sul suo giornale.

“Avendo fatto il Covid non potrò vaccinarmi subito, ma appena possibile lo farò perché non voglio più trovarmi in questa situazione: isolato, a temere per chi mi sta vicino”. E chissà che quel giorno la mente non sia più sgombra e il cielo un po’ più azzurro sopra Berlino, come in quella finale dei Mondiali del 2006. Da bravo giornalista sportivo, Matteo apprezzerà.

 

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