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Lo sguardo di beppe

Quel confuso concetto di libertà

Che dire di quei cittadini ai quali, democraticamente, non viene vietato il diritto di manifestare il loro dissenso dalle decisioni governative, che lo fanno creando assembramenti e spesso senza indossare le mascherine?

È mia personale opinione che il concetto di libertà non sia identificabile in quegli assembramenti nei quali si urla quel sacro nome per rivendicare un diritto che alcune minoranze vorrebbero imporre alla maggioranza dei cittadini, con conseguenze che potrebbero essere gravi. Alcuni scenari che nei giorni scorsi si sono visti e che, ahimè, probabilmente continueremo a vedere anche nell’immediato futuro, lasciano intendere quanto il concetto di LIBERTÀ espresso da truppe rumorose di no vax, no mask, no greenpass e chissà di quanti altri sostenitori del no-nonsocosa sia per lo meno confuso.

Questi cittadini ai quali democraticamente non viene vietato il diritto di manifestare il loro dissenso dalle decisioni governative, creeranno assembramenti e la maggioranza dei partecipanti non indosserà la mascherina, come si è rilevato da fotografie delle recenti manifestazioni. Il dato relativo all’occupazione delle rianimazioni negli ospedali dove il 90% dei ricoverati è parte di coloro che ancora non si sono vaccinati e che sottovalutano il rischio di contagio non usando le mascherine, sembra comunque non far desistere i più riottosi sostenitori di questi gruppi. Rivendicare la libertà di non vaccinarsi, trattandosi di un problema di salute pubblica, sembra stridere proprio con il concetto che la salute dei cittadini debba essere messa al primo posto da qualsiasi paese civile.

E tra i sostenitori di questi gruppi c’è chi urla la propria convinta idea riassunta in uno slogan che contiene alcuni strani concetti sui quali sarebbe utile soffermarsi: meglio morire da liberi che da schiavi. È probabile che costoro non abbiano idea di che cosa è la schiavitù.

È proprio grazie alla libertà conquistata a costo di grandi sacrifici e alla democrazia che contraddistingue il governo della nostra nazione che costoro possono scendere in piazza. Manifestare è un sacrosanto diritto se contenuto nei limiti dell’esercizio democratico del raffronto di idee diverse. Ma se un’idea suggerisce azioni che confliggono con la cura della pubblica salute che ogni governo democratico deve perseguire, allora il concetto del diritto a manifestare inizia a evidenziare le sue crepe.

Qualche sparuta minoranza sostiene ancora che il virus covid 19 non esiste, che è un’invenzione dei governi plutocratici per propinare un vaccino che Dio solo sa cosa contiene. E l’elenco delle porcherie iniettate con il vaccino va dal microchip a materiali siderali utili ad addomesticare le persone, al fine di renderle docili ed ubbidienti al volere di questa “spectre” che vede coalizzati capitalisti e governi di parecchie parti del mondo. Peccato che dall’elenco di queste potenze siano esclusi quei governi che di dittatura se ne intendono per averla applicata da anni e per averla di fatto ripristinata non appena la temuta democrazia si è affacciata alla finestra di “palazzo libertà”, messo sotto sequestro in tante parti del mondo.

Tutto questo confuso guazzabuglio di idee che nella maggioranza dei casi, nulla hanno di scientifico, non fa altro che alimentare ricoveri e decessi e quindi dolore e spese sanitarie che potrebbero essere rivolte alla ricerca di rimedi sempre più efficaci per debellare questa infezione e altre malattie delle quali si continua a morire.

Nei giorni scorsi, transitando vicino alla manifestazione di un gruppo no-greenpass, mi capitò di ascoltare un’oratrice (si può dire?) dichiarare che la medicina naturale, coltivata dai popoli fin dalle epoche più lontane, sarebbe sufficiente a debellare il virus, mentre i moderni rimedi somministrati servirebbero solo a cancellarne i sintomi e quindi non permetterebbero di arrivare alla radice della malattia di cui la persona è affetta.

Se ne sentono a bizzeffe di stonature simili a quella citata perché, anche in questa pandemia, abbiamo constatato che ogni questione, quand’anche comporti il rischio di morte, diventa oggetto di tifoserie che senza i necessari presupposti scientifici vogliono disconoscere gli effetti del covid 19 che ha devastato la nostra terra e che ha causato lacrime e dolore in migliaia di famiglie.

Eppure, nonostante i risultati acquisiti dalla scienza, alcune minoranze non accettano l’evidenza dei fatti, dei numeri e delle strategie adottate per salvare le vite della gente e l’economia della nazione, elementi non facili da coniugare in simili situazioni. Sì, perché oltre la vita, è necessario salvare anche l’economia senza la quale si innesca un’altra pestilenza che crea danni seri alla comunità: la disoccupazione, la mancanza di lavoro. Senza lavoro non si può vivere.

Le notizie di questi giorni, ahimè, ci fanno riflettere anche su di un altro dato sconfortante: le morti sul lavoro. Ad oggi, 500 persone hanno perso la vita sul posto di lavoro. E questo è un dato gravissimo sul quale riflettere per far sì che ci si attivi per rendere il posto di lavoro sempre più sicuro. Stride il concetto di morte con quello di lavoro; non si può perdere la vita per guadagnare il pane e non si può nemmeno perdere la vita per restare aggrappati ad idee che i dati, quelli veri, hanno fatto rilevare come infondate e dannose alla salute di tutti i cittadini, anche di chi non le condivide, perché deve convivere con coloro che potenzialmente aiutano il covid a creare resistenze e a restare ancora per lungo tempo fra noi.

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