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Letto per voi

L’agente Betulla lascia l’incarico con Brunetta dopo l’intervista mentre era al santuario di Caravaggio

Renato Farina poi smentisce alcune frasi riportate dal giornalista

Vi proponiamo l’articolo pubblicato domenica 8 agosto sul Corriere della Sera, a firma di Fabrizio Roncone, in cui viene raccontata l’intervista all’agente segreto Betulla, all’anagrafe Renato Farina. Roncone racconta che quando ha chiamato Farina quest’ultimo si trovava al santuario di Santa Maria del Fonte a Caravaggio.

Farina ha poi smentito alcune delle frasi che Roncone gli ha attribuito: “L’intervista è odiosamente fasulla” ha scritto in una lettera inviata al direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana.

Ecco l’articolo di Fabrizio Roncone.

Questo è il tormentato sabato pomeriggio dell’agente segreto Betulla (da civile: Renato Farina, di anni 66), che – dopo due giorni di polemiche roventi – si è dimesso da consigliere per la comunicazione istituzionale del ministro Renato Brunetta. Il racconto comincia alle 16,45. Con una telefonata. Betulla era del ramo, certi trucchetti dovrebbe conoscerli. E invece ci casca. Legge sul display del telefonino «Numero Privato», e risponde.

«Ah! Mhmm Sei tu. Sono a messa, sto pregando. Ho visto un numero sconosciuto e ho risposto pensando fosse il presidente Draghi. Possiamo sentirci tra un po’?» (voce soffiata, curiale). Betulla è di parola, almeno stavolta. Richiama cinque minuti dopo. Dice di essere appena uscito dal santuario di Santa Maria del Fonte, a Caravaggio, nella pianura bergamasca. Ansima. «Sono ore un po’ complicate». Non un po’: molto. Il suo curriculum è tornato di attualità.

Un personaggione: ciellino, prima al Sabato e poi all’Indipendente e al Giornale , tipologia di giornalista ossequioso, nel 2004 è arruolato da Pio Pompa nei ranghi del Sismi diretto da Niccolò Pollari. Inizia una nuova carriera. Buia. Chicche sparse: riserva un trattamento di scherno per gli ostaggi italiani rapiti in Iraq – Simona Pari e Simona Torretta («le vispe terese»), Giuliana Sgrena («rapita dai suoi amici terroristi»), Enzo Baldoni («un pirlacchione» da «vacanze intelligenti»); poi, nel maggio del 2006, tre anni dopo il sequestro a Milano di un imam dalla vita bizzarra, Abu Omar, Farina – qualificandosi come giornalista – va al palazzo di Giustizia di Milano e incontra i magistrati Armando Spataro e Ferdinando Pomarici che, sul rapimento organizzato dalla Cia, conoscono già moltissimi dettagli.

Fingendo di intervistarli, gli racconta un po’ di balle. E, soprattutto, prova a coinvolgere il pm Stefano Dambruoso (sperando così di spostare la competenza dell’indagine a Brescia). Poi esce e, invece di telefonare al suo direttore, chiama Pio Pompa: «È stata durissima, ma ce l’ho fatta». Invece sono loro che l’hanno fatta a lui: la sua visita era attesa, sotto le scrivanie dei giudici, due microspie. Farina, che lavoro fai? Ma lui, niente. Continua e scrive il falso contro Romano Prodi, assicurando che, sul caso Omar, quando era premier fosse d’accordo con gli Usa e i nostri Servizi. Al processo patteggia una condanna a sei mesi per favoreggiamento. Però al Sismi sanno essere riconoscenti: così gli rimediano due biglietti di tribuna per Italia-Ghana, ai mondiali di Germania; lui ringrazia sulla prima pagina di Libero , in codice non troppo cifrato: «Ho usato amici che la sanno lunga. Fatta! Grazie a Pio e a Dio» (intanto, tra dimissioni e reintegri, è tornato a far parte dell’Ordine dei giornalisti).

Ora bisogna immaginarselo che cammina sotto il sole a picco. Verso il parcheggio del santuario. Al cellulare. «Sai che io di te mi ricordo un sacco di cose? Per esempio, nel 2014 scrivesti un articolo su Berlusconi e…».

Sono io che faccio le domande. Lei, se vuole, risponde: come nasce la sua collaborazione al ministero della Pubblica amministrazione?

«Mi dai del lei? Siamo colleghi, dovremmo darci del tu».

Decido io a quali colleghi dare del tu.

«Come vuole. Allora: io e Renato collaboriamo da quando ero vicedirettore di Libero e insieme lanciammo una collana di libri che ha venduto milioni di copie…».

Mi sfugge il nome della collana.

«Eh, ora sfugge pure a me. Sono un po’ teso».

Brunetta.

«Mi stima, lo stimo. Intesa intellettuale forte. Siamo stati insieme nel Pdl, io come deputato. Con lui, da tempo, esercito l’arte del ghostwriter , gli scrivo testi e discorsi».

Quale sarà il suo compito al ministero?

«Renato mi chiederà dei pareri: che espressioni usare in pubblico, su cosa insistere…».

Quanto guadagnerà?

«18 mila euro lordi. All’anno, non al mese».

Lei non teme, con il suo passato, di mettere in difficoltà il presidente Mario Draghi?

«L’ho detto a Renato: se dovessi essere un problema, mi tiro indietro. Certo non m’ aspettavo subito tanta cattiveria Chiaro che vogliono indebolirlo, minare il lavoro grandioso che ha fin qui svolto».

Questa telefonata dura 16 minuti e 15 secondi. Alle 17,44, però, Betulla richiama. Stavolta è risoluto.

«Volevo comunicarti che ho sbagliato a parlare con te: un errore che un consigliere per la comunicazione non può e non deve fare. Mi sono confrontato, poco fa, con Brunetta. Mi dimetto». Fino a sera, poi, un rosario di WhatsApp in cui l’ex agente segreto Betulla chiedeva di poter rileggere i suoi virgolettati (se ci pensate, una bella faccia tosta).

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