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Analisi di un trionfo

Dalla delusione di Rio all’oro di Tokyo: il lungo inseguimento verso l’Olimpo di Simone Consonni e compagni

La rimonta-capolavoro compiuta all’Izu Velodrome e il 3’42”032 firmato in terra nipponica è soltanto l’apice di un percorso compiuto da chi non ha mai smesso di credere in questo sport e di chi ha la consapevolezza che anche soli tre minuti possono cambiare una vita.

Tre minuti possono valere un’intera carriera, anni di sacrifici e di grandi speranze.

Se ne sono resi conto Simone Consonni, Filippo Ganna, Francesco Lamon e Jonathan Milan che, 53 anni dopo il bronzo di Città del Messico 1968, hanno riportato l’Italia su un podio olimpico nell’inseguimento a squadre.

E al traguardo olimpico gli azzurri hanno deciso di aggiunto un carico: spingersi dove nessuno era mai riuscito ad arrivare conquistando la medaglia firmando in contemporanea all’oro il nuovo record del mondo.

Seguendo le orme di Adler Capelli, Cristiano Citton, Andrea Collinelli e Mauro Trentini, gli alfieri del ciclismo su pista tricolore hanno deciso di inseguire quel limite apparentemente invalicabile e di chiudere in bellezza un percorso iniziato a Rio de Janeiro nel 2016.

Chissà quante volte i giovani fuoriclasse hanno rivisto e ripassato le immagini di quel magico quartetto e hanno sognato di emularli, ma il ripescaggio all’ultimo minuto e il rientro affrettato dalle vacanze allora li ha costretti a rinviare l’agognato momento di altri cinque anni.

Battere il 4’00”958 che vent’anni prima era valso il primato iridato a Collinelli e compagni ha soltanto rafforzato la consapevolezza di Filippo Ganna e dei suoi colleghi che hanno iniziato a macinare ore su ore all’interno del velodromo di Montichiari trovando quell’intesa che soltanto le squadre vincenti possono avere.

Senza lasciare nessun dettaglio al caso, dalla lunghezza del manubrio sino alla posizione in sella di ciascun corridore: una precisione che ha consentito ai fuoriclasse tricolori di iniziare un processo di miglioramento che li ha portati a salire sui podi di tutto il mondo, da Hong Kong a Apeldoorn passando per Londra e Berlino.

Un tour internazionale lungo cinque anni condito da ostacoli logistici da superare (non ultimo l’impossibilità di allenarsi all’interno dell’unico impianto al coperto presente nel Bel Paese complice alcuni problemi normativi), ma anche dalla comparsa del Coronavirus che ha ribaltato i piani in vista di Tokyo 2020.

A tutto ciò vanno aggiunte le fatiche accumulate durante l’intensa attività su strada che non ha mai impedito loro di rispondere presente alle chiamate infrasettimanali del commissario tecnico e di mixare così le qualità che ogni componente sa offrire.

Dal ritmo dettato in partenza del veneziano Lamon (specialista del chilometro da fermo) alla tenuta sulla distanza del brembatese Consonni, ogni aspetto si è dimostrato fondamentale per poter lanciare al meglio il motore del verbanese Ganna a cui si è aggiunto negli ultimi ventiquattro mesi la freschezza dell’udinese Milan.

Le migliaia di chilometri percorsi sul parquet bresciano e le centinaia di cambi testati nel tempo hanno consentito di imparare a memoria le mosse da compiere in gara e cementare in maniera indissolubile la coesione del “trenino”, elemento che ha permesso ai quattro amici di avvicinare progressivamente la Danimarca e superarla nel momento decisivo.

La rimonta-capolavoro compiuta all’Izu Velodrome e il 3’42”032 firmato in terra nipponica è quindi soltanto l’apice di un percorso compiuto da chi non ha mai smesso di credere in questo sport e di chi ha la consapevolezza che anche soli tre minuti possono cambiare una vita.

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