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Storia delle epidemie - 36

L’influenza aviaria: dagli uccelli all’uomo, anche nei mesi scorsi

Nelle epidemie recenti, a partire dal 2003, è stata documentata la capacità di questo virus di contagiare direttamente anche gli esseri umani, causando forme acute di influenza che in molti casi hanno portato a morte.

Da quando l’epidemia di Coronavirus è scoppiata, parole come zoonosi, spillover e mutazione sono entrate irrimediabilmente nel nostro vocabolario quotidiano. Ma ora che riusciamo (forse) a vedere la luce in fondo al tunnel non dobbiamo dimenticarle e, soprattutto, trascurare tutto ciò che questa pandemia ci ha insegnato: siamo un tutt’uno con gli altri esseri viventi e gli eventi che accadono all’altro capo del mondo hanno un impatto anche sulle nostre vite. Perciò, ora che abbiamo visto le conseguenze devastanti che una pandemia può avere sulla nostra esistenza, dobbiamo impegnarci a evitarne di nuove, perché questa eventualità è concreta.

Da molti anni uno dei virus che più preoccupa gli esperti è l’influenza aviaria, una malattia degli uccelli che può essere a bassa o ad alta patogenicità. Come spiega l’Istituto Superiore di Sanità, sono almeno quindici i sottotipi di virus influenzali che infettano gli uccelli di cui siamo a conoscenza, ma finora tutte le epidemie di influenza altamente patogenica sono state causate da virus di tipo A dei sottotipi H5 e H7.

Le anatre selvatiche sono riserve naturali dei diversi ceppi di virus dell’aviaria e possono infettare animali negli allevamenti come polli e tacchini. Le condizioni di sovraffollamento in cui questi animali sono costretti a vivere e le loro caratteristiche genetiche li portano a essere particolarmente vulnerabili a questa malattia, e soprattutto rendono la diffusione e la mutazione del virus difficili da contrastare.

Identificata per la prima volta in Italia più di un secolo fa e diffusa in tutto il mondo, l’influenza aviaria è in grado di contagiare pressoché tutte le specie di uccelli, anche se con manifestazioni molto diverse, da quelle più leggere fino alle forme altamente patogeniche e contagiose che generano epidemie acute. Se causata da una forma altamente patogenica, la malattia insorge in modo improvviso, seguita da una morte rapida quasi nel 100% dei casi. La paura di una nuova pandemia, originata da un passaggio del virus aviario all’uomo, ha messo in moto una serie di misure straordinarie di prevenzione in tutto il mondo.

Nei Paesi asiatici, un ruolo preminente alla diffusione del virus è stato identificato nella vendita di pollame vivo ai mercati. Inoltre, i virus si possono trasmettere da azienda ad azienda tramite i mezzi meccanici, gli attrezzi e strumenti contaminati, le macchine, i mangimi, le gabbie, o perfino gli indumenti degli operatori.

I virus di bassa patogenicità possono, dopo aver circolato anche per brevi periodi in una popolazione di pollame, mutare in virus altamente patogenici. Per esempio, secondo quanto riportato dall’Oms, nel corso dell’epidemia del 1983-1984 negli Stati Uniti, il virus H5N2 inizialmente causò bassa mortalità ma divenne poi, nei sei mesi successivi, altamente patogenico, con una mortalità vicina al 90%. Per controllare l’epidemia, in quel caso, fu necessario abbattere più di 17 milioni di uccelli, per un costo totale di quasi 65 milioni di dollari.

Tutti i virus influenzali di tipo A sono noti per l’instabilità genetica, in quanto sono soggetti a numerose mutazioni durante la replicazione del Dna e sono privi di meccanismi di correzione. Il fenomeno, definito di “deriva genetica”, genera cambiamenti nella composizione antigenica di questi virus. Una delle attività principali della sorveglianza influenzale è quindi quella dedicata al monitoraggio di questi cambiamenti, condizione di base per la scelta di una appropriata composizione vaccinale.

Inoltre, i virus di tipo A possono andare incontro a riassortimenti del proprio materiale genetico, secondo un processo definito di “shift genetico”, che fa sì che vengano prodotti nuovi sottotipi virali diversi da quelli parentali, e capaci quindi di indurre la malattia anche in soggetti che siano stati preventivamente vaccinati contro i ceppi parentali.

Dall’inizio della epidemia nelle zone del Sud-est asiatico, che ha preso il via nel corso del 2003, l’Oms ha lanciato un allarme a tutte le istituzioni internazionali a cooperare per attuare piani e azioni preventive per ridurre il rischio di passaggio all’uomo del virus aviario. Condizione essenziale perché virus che normalmente sono ospitati da animali diventino patogenici per l’uomo è che nel processo di riassortimento acquisiscano geni provenienti da virus umani, che li rendano quindi facilmente trasmissibili da persona a persona. I casi di influenza aviaria su uomo registrati nel corso del 2003 e 2004 sono invece casi di trasferimento diretto da pollame infetto a persone.

Dei 15 sottotipi di virus aviari, H5N1 circolante dal 1997, è stato identificato come il più preoccupante proprio per la sua capacità di mutare rapidamente e di acquisire geni da virus che infettano altre specie animali. Gli uccelli che sopravvivono a H5N1 lo rilasciano per un periodo di almeno 10 giorni.

Dall’inizio del 2003, H5N1 ha effettuato una serie di salti di specie, acquisendo la capacità di contagiare anche gatti e topi, trasformandosi quindi in un problema di salute pubblica ben più preoccupante. La capacità del virus di infettare i maiali è nota da tempo, e quindi la promiscuità di esseri umani, maiali e pollame è notoriamente considerata un fattore di rischio elevato.

Nelle epidemie recenti, a partire dal 2003, è stata documentata la capacità di questo virus di contagiare direttamente anche gli esseri umani, causando forme acute di influenza che in molti casi hanno portato a morte. Il rischio principale, che fa temere l’avvento di una nuova pandemia dopo l’attuale e le tre che si sono verificate nel corso del XX secolo (1918, 1957, 1968), è che la compresenza del virus aviario con quello dell’influenza umana, in una persona infettata da entrambi, faciliti la ricombinazione di H5N1 e lo renda capace di trasmettersi nella popolazione umana.

Anche durante la pandemia di Coronavirus si sono verificati casi: tra maggio e agosto 2020 sette focolai di virus di influenza aviaria altamente patogeni (HPAI) del sottotipo H5N8 vengono registrati in Europa orientale, sei in Ungheria e uno in Bulgaria. Data l’esperienza degli anni precedenti, a settembre l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare segnala la possibile diffusione nell’Europa meridionale e occidentale.

Tra ottobre e novembre 2020 vengono documentati contagi di H5N8 nella popolazione di uccelli, sia selvatici che tenuti in cattività negli allevamenti, in Belgio,

Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Svezia, Regno Unito, Croazia e Corsica. Tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 il virus colpisce duramente il Giappone, che si trova di fronte alla peggiore epidemia di aviaria della storia nazionale ed è costretto ad abbattere 3 milioni di polli infetti. Non va meglio alle anatre allevate per la produzione di foie gras in Francia, che vengono decimate. Sempre a gennaio il virus viene rinvenuto in nove stati dell’India e a Nuova Delhi viene ordinato di chiudere il mercato di Ghazipur, il suo più grande mercato all’ingrosso di pollame, lo zoo, i parchi con laghi e le riserve naturali.

A febbraio e a giugno di quest’anno accade qualcosa di molto preoccupante: vengono annunciati, per la prima volta, contagi nell’essere umano dei ceppi H5N8 e l’H10N3. Nel primo caso si tratta di sette lavoratori entrati a contatto con animali infetti in un allevamento in Russia. Nel secondo il paziente è un uomo che vive nella città di Zhenjiang della provincia cinese orientale del Jiangsu. Sono i primi casi noti di questo genere.

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