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L’intervista

Green pass al lavoro, Scaglia: “Non obblighi, ma va premiato chi protegge sé e gli altri”

Il presidente di Confindustria Bergamo: “Stiamo costruendo proposte per la salute di tutti, basta sostenere che ragioniamo solo in termini economici”

“Qui sembra che quando parla Confindustria intervenga solamente per i propri interessi. Noi parliamo per tutto il Paese”. “Lo scorso anno abbiamo chiuso tutto a metà ottobre: vogliamo fare la stessa fine?”. Vaccini e green pass: “Proteggendo gli altri si protegge se stessi e proteggendo se stessi si proteggono gli altri. È un gioco di squadra che coinvolge tutti”.

Stefano Scaglia, presidente di Confindustria Bergamo, ha le idee chiare, anzi chiarissime sul green pass.

“Mi lasci fare qualche premessa – risponde quando gli chiediamo della proposta emersa dalla Confindustria nazionale sull’obbligo del certificato verde per i lavoratori – Primo: questa polemica green pass sì, green pass no sui luoghi di lavoro nasce da una mail interna di Confindustria. Quindi non esprime un pensiero articolato. Il linguaggio di una mail è sintetico e non considera tutti i dettagli che una discussione di questo tipo richiede”.

E puntualizza: “La mail fa il punto sulla proposta normativa su cui Confindustria è al lavoro con governo e istituzioni nel confronto per aggiornare il protocollo per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Nel testo si legge che ‘l’esibizione di un certificato verde valido dovrebbe rientrare tra gli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede su cui poggia il rapporto di lavoro. In diretta conseguenza di ciò, il datore, ove possibile, potrebbe attribuire al lavoratore mansioni diverse da quelle normalmente esercitate, erogando la relativa retribuzione; qualora ciò non fosse possibile, il datore dovrebbe poter non ammettere il soggetto al lavoro, con sospensione della retribuzione in caso di allontanamento dell’azienda’”.

Poi sottolinea: “C’è un’altra premessa: credo che tutti condividano che per il terzo anno consecutivo non si possa affrontare un inverno di decessi, di ospedalizzazioni, di chiusure, di casse integrazioni con tutti i problemi sociali ed economici che questo comporta. Quindi occorre responsabilmente che tutti quanti si interroghino su come fare, evitando posizioni ideologiche e preconcette. Dobbiamo essere responsabili e ragionare su che cosa può essere fatto per evitare, per prima cosa, che si ammalino le persone e poi per scongiurare chiusure che provocherebbero altri danni economici. Per questo credo che da parte di tutti serva discutere e proporre evitando ideologie”.

Generico marzo 2021
Stefano Scaglia, presidente di Confindustria Bergamo

Premesse fatte. Alcuni sindacati sostengono che pensiate a questa soluzione perché se le persone si ammalassero di Covid sul posto di lavoro i costi ricadrebbero sulle aziende. Che cosa risponde?

È un ragionamento che non sta in piedi. Se le persone si ammalano, per prima cosa ci sono problemi per le persone. C’è un costo per le persone, c’è un costo per gli affetti, c’è un costo per i decessi, c’è un costo per le famiglie, c’è un costo per le vittime, c’è un costo per la sanità pubblica, c’è un costo per le ospedalizzazioni… Chi pensa che sia solamente un problema delle aziende è un irresponsabile. Non si posso dimenticare le vittime che abbiamo avuto. Partiamo da un dato di fatto: le conseguenze del Covid non sono state solamente le chiusure dei luoghi di lavoro, ma ben altre. E non possiamo dimenticarlo. A chi formula questa accusa, che pensiamo solamente ai costi dell’economia, rispondo che non si può giocare con la salute delle persone.

Poi aggiunge: “Partiamo da un dato di fatto: l’unica differenza che c’è tra il prossimo autunno e il precedente è che ora abbiamo i vaccini. Ricordiamoci che l’estate scorsa è stata come questa, con un basso livelli di contagi, ma ora tutti sanno che c’è una recrudescenza del virus in autunno. Però stavolta c’è una grossa differenza: abbiamo il vaccino. È questo l’unico modo per evitare un inverno come quello dell’anno scorso, che non mi pare abbia provocato solamente problemi economici, ma moltissimi problemi sanitari. Quindi è necessario dare la possibilità a tutti coloro che lo desiderano di potersi vaccinare. Una volta che questo è fatto, penso per settembre, ottobre, quando sarà pressoché terminata la campagna vaccinale, se vanno avanti i ritmi attuali, a quel punto è chiaro che sarà necessario e giusto distinguere coloro che sono protetti da coloro che non lo sono. È puro buonsenso. Chi sostiene che non è così, si faccia avanti e presenti una proposta alternativa”.

Presidente, nella sua azienda tutti i dipendenti sono vaccinati? Ha una percentuale?

No, non ancora. Non ho una stima precisa. Anche perché le vaccinazioni sono ancora in corso.

I sindacati contestano a Confindustria di non aver aperto un tavolo su questo tema…

Credo che queste siano tutte discussioni che devono essere fatte in maniera coordinata più a livello centrale che a livello territoriale. Certo noi siamo sempre stati apripista a livello territoriale, già nel 2020 abbiamo adottato una serie di misure per affrontare le aperture in sicurezza.

Applicare il green pass al lavoro è una soluzione? 

Penso sia difficilmente praticabile non concedere l’ingresso ai luoghi di lavoro a coloro che non hanno il green pass. D’altro canto è sicuramente utile ragionare su che cosa si può fare per differenziare le misure di protezione tra coloro che invece sono vaccinati.

E cosa si può fare, in concreto?

Penso alla sistemazione degli accessi ai locali, ai servizi, alle mense, rivedere l’organizzazione degli uffici in modo che chi è vaccinato ne possa usufruire tranquillamente. Ricordo che finora, fino a prima del vaccino intendo, le aziende hanno riorganizzato i loro spazi. L’unica protezione che avevamo erano le distanze, le mascherine… proprio perché non c’erano i vaccini. Tutto questo ha generato inefficienze e disagi in tanti casi per le persone. Nel momento in cui le persone sono vaccinate, credo sia giusto riconoscere loro la possibilità di tornare a una vita normale, rispetto a coloro che liberamente hanno scelto di non proteggersi.

Avete seguito la linea dura del presidente francese Macron?

No. Abbiamo guardato il calendario: settembre è dopodomani. Il nostro è un atteggiamento di responsabilità. O se ne parla ora e si interviene con un programma o non possiamo sempre affrontare solamente l’emergenza. L’anno scorso le chiusure sono tornate a metà ottobre.

Il Governo Draghi ora sta intervenendo con una certa decisione.

È un tema che va affrontato. Penso anche alla scuola e sono convinto che ne stiano parlando. Non si può pensare per esempio a un altro anno scolastico a distanza con i risultati disastrosi come hanno dimostrato poi le prove Invalsi. Come si parla di riapertura delle scuole si deve parlare di riapertura delle attività economiche. Ma giusto affrontare il tema della ricezione, degli alberghi, dei ristoranti, del mondo della cultura con teatri e musei. Qui sembra che quando parla Confindustria parli solamente per i propri interessi. Noi parliamo per tutto il Paese e per tutte le attività economiche.

Peraltro se in Italia, in Europa si contiene il contagio, c’è un terzo mondo in cui il virus sta esplodendo. Lei cosa dice al riguardo?

È il discorso di prima: proteggendo gli altri si protegge se stessi e proteggendo se stessi si proteggono gli altri: è un gioco di squadra che coinvolge tutti. Per arginare questa pandemia mondiale tutti quanti vanno tutelati. Non vedo perché solo i Paesi ricchi lo debbano essere e si escludano le aree povere. Lo sforzo degli Stati più sviluppati sia quello di aiutare quelli meno avanzati per proteggere giustamente le loro popolazioni.

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