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La domanda di tanti

Covid, perché Bergamo è stata così colpita? “Possibile predisposizione genetica”

È in corso uno studio finalizzato ad approfondire il rapporto tra Covid e genetica: lo annuncia e ne parla la ricercatrice Ariela Benigni dell’Istituto Mario Negri

Come mai il Coronavirus ha colpito così drammaticamente la provincia di Bergamo rispetto al resto dell’Italia? E perchè alcune persone hanno contratto la malattia in forma più grave di altre? La genetica potrebbe aver avuto un ruolo?

Sono tanti gli interrogativi irrisolti relativi all’epidemia da SARS-CoV e l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri (Irccs) sta conducendo uno studio finalizzato a chiarire questi aspetti e trovare risposte. Per saperne di più abbiamo intervistato la dottoressa Ariela Benigni, segretario scientifico e coordinatore delle ricerche delle sedi di Bergamo e Ranica di questo ente.

Com’è nato questo studio?

Ci siamo chiesti come mai la provincia di Bergamo sia stata così drammaticamente colpita dal Coronavirus rispetto alle altre zona d’Italia. Poi ci siamo posti un altro interrogativo: in molte famiglie c’è chi si è ammalato gravemente mentre altri componenti hanno contratto il Covid in forma lieve e altri ancora non si sono affatto infettati nonostante tutti siano stati esposti al virus. Considerando questi aspetti, ci siamo domandati se possano esserci risposte a livello genetico e abbiamo ideato lo studio “Origin”, che si focalizza sul territorio bergamasco.

Ci spieghi

Abbiamo cominciato concentrandoci sulle zone più colpite dalla pandemia da Covid-19, cioè la Valseriana, quindi Nembro, Albino e Alzano Lombardo, per poi estenderci a tutta la provincia di Bergamo. L’obiettivo è capire se ci sia una predisposizione genetica, cioè una maggior suscettibilità nella popolazione a contrarre il Coronavirus. L’ipotesi è che potremmo essere predisposti perchè dai nostri antenati abbiamo ereditato geni che ci rendano più predisposti alla malattia.

E come si svolge lo studio?

A ottobre dell’anno scorso abbiamo raccolto le adesioni su base volontaria, coinvolgendo persone maggiorenni tenendo come riferimento il territorio della provincia di Bergamo. Abbiamo ricevuto quasi 10.000 questionari con tutti i dati, li abbiamo rivisti e abbiamo selezionato i soggetti di cui faremo l’analisi genetica. Li stiamo richiamando a Villa Camozzi, finora ne abbiamo richiamati 723, dove risponderanno a domande di approfondimento e verrà effettuato un prelievo di sangue. Questa fase, che è in corso di svolgimento, terminerà verso la fine di settembre e in autunno i campioni di DNA verranno analizzati. Pensiamo di avere i risultati nella prossima primavera.

Che tipo di analisi viene effettuata?

Osserviamo tutti i geni che sono stati descritti in letteratura come associati alla malattia e vedremo se, le alterazioni descritte a carico di questi geni sono presenti anche nella nostra popolazione. Inoltre osserveremo alcuni tratti di DNA che derivano dal nostro antenato, l’uomo di Neanderthal, considerando che nel nostro genoma ci sono tratti che derivano da lui. Sappiamo che il Covid-19 è un’esagerata risposta del sistema immunitario, che entra in contatto con qualcosa che non ha mai visto, lo aggredisce e quando questa attività è esagerata si sviluppa la malattia. L’Homo neanderthalensis viveva nel nord Europa ed era più aggressivo perché aveva la necessità di difendersi dagli altri uomini o dagli animali, quindi ha sviluppato geni iperattivi.

 

covid benigni

 

Quante persone vengono coinvolte nella ricerca?

Abbiamo previsto il coinvolgimento di 1.200 soggetti suddivisi in tre gruppi composti da 400 persone ciascuno: il primo raccoglie chi ha contratto la malattia in forma severa, il secondo in forma lieve e il terzo chi non si è infettato. I tre gruppi di soggetti hanno caratteristiche di età, sesso e malattie associate assolutamente uguali a loro, in questo modo non possono intervenire fattori confondenti e arriveremo a risposte chiare dall’analisi del DNA. Dalla valutazione capiremo perché alcuni individui siano più suscettibili ad ammalarsi rispetto ad altri. Inoltre, avendo a disposizione i dati relativi ai farmaci che hanno assunto e al decorso, potremo sapere quale sia il trattamento più utile per i soggetti che hanno un’iperattività del sistema immune.

Si potrà arrivare a nuove terapie?

Si potranno ricavare informazioni utili per individuare trattamenti in grado di smorzare questa risposta immune. Questo studio consentirà di osservare la presenza di geni protettivi: l’ipotesi è che nelle persone che hanno avuto la malattia in forma severa troveremo geni più espressi che aumentano la suscettibilità e geni protettivi meno espressi. Lo scopo delle terapie che ne potranno scaturire sarà aumentare questi ultimi.

Una delle chiavi per affrontare il Coronavirus, dunque, è la genetica?

È possibile, i risultati ci diranno se è davvero così. Noi ipotizziamo che i geni abbiano un ruolo importante: non si capisce come mai in una famiglia persone esposte allo stesso agente virale abbiano risposte diverse. Potrebbe essere che la chiave per affrontare il Coronavirus sia proprio qui.

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