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Arte

L'intervista

Mario Benedetti: “Difficile accettare i prodotti artistici virtuali del lockdown”

Mario Benedetti è un’istituzione nel mondo dell’arte grafica. Maestro per lunghi anni di “Tecniche dell’incisione” all’Accademia di Belle Arti di Brera, cresciuto sulle rive del Po, ha sempre viaggiato e vissuto all’estero, tra le Americhe e l’Europa del Nord e dell’Est. Ha scelto però Bergamo come città d’adozione

Mario Benedetti è un’istituzione nel mondo dell’arte grafica. Maestro per lunghi anni di “Tecniche dell’incisione” all’Accademia di Belle Arti di Brera, cresciuto sulle rive del Po, ha sempre viaggiato e vissuto all’estero, tra le Americhe e l’Europa del Nord e dell’Est. Ha scelto però Bergamo come città d’adozione, dove per decenni ha avuto lo studio in un interno di via Pignolo. Adesso opera in un laboratorio in via Carnovali. Scultura, pittura, grafica, collage, fotografia, installazioni, performance d’ambiente…. Benedetti ha praticato se non tutti quasi gli ambiti delle arti visive, concentrandosi con impegno nell’ultimo quarto di secolo sull’attività incisoria. Le tecniche calcografiche per loro natura richiedono pazienza, concentrazione, raccoglimento al limite dell’isolamento: per questo il lockdown dovuto alla pandemia ha forse inciso di meno sul fare e pensare artistico di questo virtuoso dell’incisione.

Ne parliamo con lui, che rivolge volentieri l’attenzione ai risvolti anche sociali dei fenomeni culturali.

Come ha inciso sul suo lavoro la reclusione forzata dell’ultimo anno?

Ciò che più mi ha colpito nei lunghi mesi di pandemia è stata l’aria rarefatta e sospesa, direi inquietante che abbiamo respirato. La “quarantena” (per non utilizzare sempre il termine inglese globalizzato lockdown, da tutti accettato), ha evidenziato situazioni e comportamenti allarmanti ai quali ci stavamo abituando, come le nuove disuguaglianze, l’egocentrismo, la povertà. Anche se abbiamo assistito a grandi sacrifici dei singoli e dei gruppi che erano scesi in campo per combattere questo male. Personalmente, ho avuto il privilegio di vivere la segregazione quasi con gli stessi ritmi della normalità per quanto riguarda il mio lavoro. Pur rendendomi conto che la realtà conteneva molte ombre, conflitti, problemi e tensioni, le ho vissute, comunque, senza pathos.

Come ha vissuto invece il “farsi virtuale” della realtà in queste stagioni?

C’è stata la voglia trattenuta della frequentazione abituale delle persone, degli amici, dei luoghi di appartenenza. Per mia natura non ho potuto accettare comunicazioni “virtuali”, in quanto ho bisogno della presenza fisica nel rapporto con le persone. Normalmente non utilizzo mezzi digitali, non mi ci riconosco e li ho rifiutati da quando sono diventati ancora più invadenti e invasivi. Per temperamento artistico sono portato a manipolare la materia, amo lavorare a rilievo, amo gli spessori e il senso tattile della realtà.

Parlando di materiali, a quale si affiderebbe per interpretare questo periodo di pandemia con una singola opera?

Proprio nel periodo del primo isolamento 2020 ho pensato a una installazione in cui alcune mie opere eseguite con il piombo suggeriscono un rapporto con la natura: come era, come è e come non dovrebbe diventare. Per la verità, una prima idea di progetto era degli anni Novanta ma non era stata realizzata. In quel periodo iniziai a plasmare i primi piombi-sculture che avrebbero dovuto essere, secondo l’idea iniziale, proposti come elementi di una installazione-ambientazione: questo era diventato e continua tuttora ad essere un ininterrotto work in progress.

Quali sono stati secondo lei i cambiamenti più significativi nel mondo dell’arte in questi due anni?

È vero che i radicali e veloci cambiamenti e progressi tecnologici digitali che stanno allargando gli orizzonti della società contemporanea accelerano lo sviluppo in un vasto territorio delle attività umane, generalmente a vantaggio individuale. Ma questo fatto non va nel senso di un umanesimo equo, anzi accentua sempre di più le differenze tra i gruppi sociali abbienti e quelli svantaggiati. Per quanto mi riguarda, sono situazioni che non possono essere vissute sempre con serenità. Purtroppo, questo rischia di essere un ritornello generazionale che non si risolve, dato che il volere e il potere del sistema in cui viviamo considera e ritiene il profitto come l’unico scopo da raggiungere. Tutto ciò coinvolge in pieno, che ci piaccia o no, anche il mondo dell’arte, che si allontana dall’oggetto plasmato dall’homo faber ed è sempre più soggetto a una logica sfuggente, che personalmente non so più come definire secondo parametri a me congeniali.

Mario benedetti

Ci fa qualche esempio?

Personalmente, il mio esistere e resistere sono stati di attese e speranze, ma in forma assai fatalista. Ho la sensazione che tante cose nelle arti visive siano state travolte. I prodotti virtualmente messi in scena di molti artisti, come pure le nostre visualizzazioni degli stessi sullo schermo di un computer, o peggio di un cellulare, mi rendono incapace di accettarli. Non riesco nemmeno ad emozionarmi e concentrarmi per capire il messaggio che trasmettono. Di conseguenza, temo che l’arte in queste nuove forme corra il rischio di non stabilire alcun contatto tra chi mette in rete la propria opera e chi la guarda, a meno che non sia abituato solo a questo modo di concepire e guardare l’opera d’arte. Non intendo dare giudizi, tanto meno esempi di opere di artisti che più delle volte utilizzano e “creano” questi nuovi linguaggi espansi.

Gli artisti sono i più coinvolti in questa vicenda, perché non sono tutelati in nessun modo. Cosa si potrebbe fare di più e meglio per sostenere il mondo dell’arte oggi?

Gli artisti in questa triste vicenda non sono più coinvolti di altri, ma lo sono in modo diverso e con meno tutela. Credo che la situazione sia degenerata per motivi soprattutto burocratici e politici. Vari interessi accentrati dal mercato impediscono al potere politico-economico di gestire in modo efficiente e trasparente l’attività dipendente dall’arte. Suppongo che per sostenere l’arte non sia sufficiente e determinante l’apporto del solo mercato. La televisione e i media in genere hanno reso tutto minoritario. Ci si chiede spesso cosa possa apportare l’arte alla società, e cosa sia come esperienza. È fondamentale arrivare a strutturare una visione e una discussione senza cedere alla spettacolarità e alla ricerca del consenso. Secondo me è evidente che l’istituzione deve coinvolgere in modo diverso gli operatori nell’arte, che il più delle volte non trovano seguito ai loro progetti, in quanto hanno molte difficoltà nel comunicare.

Ha una proposta?

Con questi presupposti sarebbe necessario dar vita a riunioni periodiche che accomunano, in presenza, artisti, ricercatori e responsabili degli assessorati alla cultura, per esaminare vari progetti, e per procedere poi all’eventuale realizzazione di ciò che viene proposto. Tutto deve essere espresso in termini accessibili, articolati in interventi individuali dei partecipanti agli incontri, così da permettere anche il confronto di punti di vista differenziati.In questo, credo ci siano degli ostacoli e dei limiti oggettivi che, comunque, si possono attraversare e superare. Secondo me bisogna riflettere sulla disperata situazione causata dalla pandemia, aiutando anche gli artisti con le loro idee, visioni, e prospettive in ambito sociale.

E quale contributo, viceversa, potrebbe dare il mondo dell’arte alla crisi ora in atto?

Credo che non esista una sola crisi in atto, quella della pandemia. Le crisi nascono non solo in seguito agli stravolgimenti sociali, culturali, pandemici o di qualsiasi altra forma dello scambio generazionale, ma anche dall’innata tendenza dell’uomo ad espandere la propria egemonia a scapito del prossimo. Per quanto riguarda il contributo che il mondo dell’arte potrebbe dare per neutralizzare la crisi, dipende soprattutto dal livello culturale del singolo e della società in genere. Purtroppo, le interferenze a volte assillanti dei media confondono e interferiscono nelle scelte e soprattutto nella formazione del gusto. Quando questa, che tu chiami “crisi in atto”, diventerà un passato, forse potremo fare analisi più giuste, e definire meglio dei fenomeni che al momento sono inafferrabili. È una questione molto complessa, che ha a che fare con le responsabilità individuali, con la coscienza collettiva e con il Tempo.

A che cosa sta lavorando attualmente?

Come per tutta la vita ho fatto, continuo a fare quello che so fare: dipingo, disegno, incido, scolpisco. E poi, spero di realizzare una mostra in un museo svizzero, che più volte è stata rimandata a causa della pandemia.

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