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Storia delle epidemie - 33

Cos’è e a cosa serve la “sorveglianza” scattata dopo l’influenza di Hong Kong

L'influenza di Hong Kong è stata un importante catalizzatore per lo sviluppo della sorveglianza epidemica concepita come uno "stato di prontezza continua" in previsione di future minacce di malattie.

Nonostante i suoi dati relativamente bassi di morbilità e mortalità, l’influenza di Hong Kong è stata un importante catalizzatore per lo sviluppo della sorveglianza epidemica concepita come uno “stato di prontezza continua” in previsione di future minacce di malattie. Il termine “sorveglianza” che significa l’atto di vegliare o sorvegliare una persona (e più tardi un luogo), ha guadagnato popolarità a cavallo tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo. Sebbene la raccolta, la gestione e l’analisi dei dati sanitari abbiano una lunga storia, è stato solo verso la metà del XX secolo che la parola “sorveglianza” è stata ampiamente utilizzata in epidemiologia e salute pubblica.

Nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, Andrew Langmuir, capo epidemiologo presso il National Communicable Disease Center (NCDC) degli Stati Uniti ad Atlanta, il precursore di quello che oggi è noto come Centers for Disease Control and Prevention (CDC), è stato determinante nello sviluppo della sorveglianza delle malattie negli Stati Uniti.

Durante gli anni ’50 e ’60, Langmuir ha contribuito ad ampliare il focus della sorveglianza per comprendere sia l’individuazione della malattia negli individui che il monitoraggio della malattia in una popolazione. Così la definì un autorevole articolo pubblicato nel 1963: “Sorveglianza, quando applicata a una malattia, significa vigilanza continua sulla distribuzione e sulle tendenze dell’incidenza attraverso la raccolta, il consolidamento e la valutazione sistematici dei rapporti di morbilità e mortalità e altri dati rilevanti. Intrinseco nel concetto è la diffusione regolare dei dati e delle interpretazioni di base a tutti coloro che hanno contribuito e a tutti gli altri che hanno bisogno di sapere”.

Le preoccupazioni per l’influenza di Hong Kong, in parte alimentate dall’esperienza relativa alla pandemia del 1918-1919, hanno permesso questa nuova concezione della sorveglianza, che è stata progressivamente istituzionalizzata. Mentre il più specifico termine “sorveglianza epidemiologica” ha guadagnato popolarità negli anni ’60, suggerendo che i due termini non erano sinonimi: l’ambito della sorveglianza era più ampio di quello dell’epidemiologia.

Dopo la sua fondazione nel 1948, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) aveva istituito un Centro mondiale sull’influenza presso il National Institute for Medical Research di Londra e nel 1952 ha lanciato un Global Influenza Surveillance Network (GISN) che ha riunito diversi laboratori internazionali. In un rapporto sulla “Sorveglianza nazionale e globale delle malattie trasmissibili” preparato per la ventunesima Assemblea mondiale della sanità nel 1968, la sorveglianza era definita come “la raccolta sistematica e l’uso di informazioni epidemiologiche per la pianificazione, l’attuazione e la valutazione del controllo delle malattie”. Mentre la sorveglianza come forma di “vigilanza continua” era stata precedentemente distinta dal controllo delle malattie, ora intesa come la raccolta di informazioni utilizzabili.

Questa reinterpretazione della sorveglianza è stata anche ispirata dai progressi della virologia, tra cui la scoperta di coronavirus umani negli anni Sessanta e, dopo la pandemia influenzale asiatica del 1957, dalla ricerca sulle origini dell’influenza pandemica. Il virus dell’influenza era stato isolato negli esseri umani all’inizio degli anni Trenta e presto seguì lo sviluppo di vaccini antinfluenzali sperimentali, con la produzione di vaccini inattivati negli anni Quaranta e successivamente vaccini vivi attenuati con il miglioramento delle tecniche di coltura dei tessuti. A metà degli anni ’60, il microbiologo Robert Webster e il biochimico Graeme Laver svilupparono un vaccino della subunità influenzale in Australia e alla fine del decennio il primo vaccino fu distribuito negli Stati Uniti.

Come detto, gli anni Sessanta furono anche testimoni di cambiamenti nella produzione e gestione dei vaccini: i primi vaccini antinfluenzali furono autorizzati anche in Europa dopo che il Comitato consultivo per le pratiche di immunizzazione del Servizio sanitario pubblico statunitense (PHS) raccomandò “l’immunizzazione annuale degli anziani e dei malati cronici”. Nel 1967, il Comitato per la standardizzazione biologica formulò le “raccomandazioni dell’OMS per la produzione e il controllo di qualità dei vaccini antinfluenzali inattivati”.

Questi cambiamenti istituzionali hanno coinciso con i cambiamenti geopolitici. Nell’ottobre 1949, il Partito Comunista Cinese sotto la guida di Mao prese il potere e proclamò la fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Le relazioni USA-RPC divennero tese dopo che Mao lanciò la Rivoluzione Culturale per riaffermare la sua autorità ed eliminare dalla società cinese elementi “borghesi” recalcitranti. In seguito, il conflitto nella penisola di Corea, iniziato nel 1950, determinò una delle fasi più acute della Guerra Fredda e la paura della guerra biologica o nucleare, furono fattori importanti per l’istituzione da parte di Langmuir dell’Epidemic Intelligence Service (EIS) nel 1951. Pochi anni dopo anche la Central Intelligence Agency (CIA), avviò un programma di formazione per epidemiologi sul campo o “investigatori di malattie”. La geopolitica ha quindi coinciso con un equivalente riorientamento nella cura della salute globale.

La virologia moderna e le relative preoccupazioni ambientali hanno confermato e contribuito a perpetuare una visione della Cina come il punto zero (per prendere in prestito un’analogia nucleare della Guerra Fredda) delle pandemie virali. Negli anni Sessanta e Settanta la Cina meridionale, in particolare, era sempre più percepita all’interno delle istituzioni sanitarie globali come un punto di stress in cui fattori ambientali convergenti, tra cui la rapida urbanizzazione e l’intensificazione delle pratiche agricole, creavano nuove vulnerabilità. Nel contempo, l’India era stata identificata dalle potenze imperiali occidentali come l’epicentro globale delle malattie infettive, tra cui il colera, la peste, la dengue e la malaria. Il subcontinente aveva, ovviamente, sopportato il peso demografico della pandemia del 1918-1919. Ma dalla metà del ventesimo secolo una crescente preoccupazione per le malattie virali, compresa l’influenza, ha portato a una rifocalizzazione della sorveglianza globale e della ricerca virologica. Si potrebbe quindi sostenere che l’India abbia iniziato a cedere il suo status di epicentro delle pandemie globali.

Nella storia della salute e in gran parte della letteratura scientifica, c’è la percezione degli anni Cinquanta e Sessanta come un periodo in cui “c’erano pochi sviluppi degni di nota in termini di scienza medica o globalizzazione”. Al contrario, come suggerito qui sopra, l’influenza di Hong Kong fu una delle prime pandemie in cui sono state sistematicamente dispiegate le moderne tecniche virologiche e ha rivelato i progressi compiuti nel decennio successivo alla pandemia influenzale asiatica del 1957, sottolineando l’importanza nel monitoraggio.

La formazione di un’infrastruttura di sorveglianza globale dell’influenza negli anni Cinquanta è avvenuta in tandem con la ricerca che ha indicato la stretta relazione tra virus umani e virus aviari. Le risposte all’influenza di Hong Kong devono essere viste in relazione ai crescenti sforzi negli anni Sessanta per sviluppare istituzioni per la previsione e la pianificazione a lungo termine, nonché i progressi nella sorveglianza e prevenzione delle malattie infettive e nello sviluppo di vaccini. Dalla fine degli anni Quaranta, la minaccia della poliomielite scatenò il panico negli Stati Uniti, ma verso la metà degli anni Cinquanta Jonas Salk aveva sviluppato un vaccino contro il virus inattivato, seguito all’inizio degli anni Sessanta dal vaccino orale di Albert Sabin. Durante la pandemia influenzale asiatica del 1957, il programma di sorveglianza della poliomielite era servito da modello di risposta, con attività incentrate sui primi embrioni di raccolta di dati e della valutazione sulle malattie epidemiche, nonché la diffusione di informazioni alle agenzie sanitarie e al pubblico in generale.

Sebbene la pandemia del 1968 non abbia innescato un diffuso panico pubblico, è servita da catalizzatore per lo sviluppo di una nuova capacità di sorveglianza virale. Come ha notato l’epidemiologo ceco Karel Raška nel 1966, la sorveglianza ha coinvolto “lo studio epidemiologico di una malattia come processo dinamico che coinvolge l’ecologia dell’agente infettivo, l’ospite, i serbatoi e i vettori, nonché i complessi meccanismi coinvolti nella diffusione dell’infezione e misura in cui si verifica questa diffusione”.

Almeno questo era l’ideale, ma in realtà questa sorveglianza multiforme era “ostacolata da vari problemi pratici e difficoltà”. Questi includevano l’assenza di servizi epidemiologici e sanitari congiunti, laboratori microbiologici e studi di ecologia, nonché la mancanza di interdisciplinarità. Il sistema globale di sorveglianza dell’influenza tornerà ad essere testato negli anni Novanta con l’emergere dell’influenza altamente patogena H5N1, che ha attraversato la barriera delle specie per la prima volta a Hong Kong nel 1997, infettando diciotto persone e uccidendone sei.

Oggi, a più di un anno dall’inizio dell’epidemia di COVID-19, le origini di SARS-CoV-2 rimangono controverse. Il virus ha avuto origine in un laboratorio cinese o in un mercato? In che misura le pratiche culturali cinesi sono implicate nell’emergere di COVID-19? E i pipistrelli delle caverne nel sud della Cina sono il serbatoio naturale del coronavirus? A più di mezzo secolo dall’influenza di Hong Kong, molte delle stesse domande vengono ancora poste in un clima di tensioni tra Stati Uniti e Cina. Le origini animali delle infezioni virali umane sono di nuovo al centro della scena, così come lo status della Cina come epicentro virale del mondo. Nonostante gli enormi progressi in genetica, immunologia e virologia, l’implementazione di un approccio integrato alla gestione dell’emergenza e della trasmissione della malattia rimane sfuggente. Di nuovo.

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