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L'intervista

Paolo Rossi: “La pandemia non mi ha fermato, ho portato il teatro dove c’era più bisogno”

Venerdì 9 luglio, l’attore salirà sul palco del Lazzaretto di Bergamo, ospite della Fondazione Teatro Donizetti, con “L’Operaccia del Pane o Libertà”. Non sarà solo, con lui ci saranno i Virtuosi del Carso, musicisti compagni di viaggio da oltre vent’anni.

“Se la montagna non viene a Maometto, allora Maometto va alla montagna”, si suol dire. Nel nostro caso la montagna è ogni singolo teatro d’Italia – e del mondo intero – rimasto chiuso per lungo tempo a causa dell’emergenza sanitaria. L’eroe che ha portato il teatro dove c’era più bisogno è Paolo Rossi, uno dei protagonisti più versatili e visionari del teatro italiano.

Venerdì 9 luglio, l’attore salirà sul palco del Lazzaretto di Bergamo, ospite della Fondazione Teatro Donizetti, con “L’Operaccia del Pane o Libertà”. Non sarà solo, con lui ci saranno i Virtuosi del Carso, musicisti compagni di viaggio da oltre vent’anni.

Memore del suo passato da chimico, Paolo Rossi sa mettere insieme i giusti elementi e poi farli reagire. Ne “L’Operaccia del Pane o Libertà” mescola la figura del primo Arlecchino, quello che possedeva il biglietto di andata e ritorno per l’aldilà, a quella che fu poi una delle sue evoluzioni come intrattenitore popolare capace di spaziare dalle stalle al cabaret. Così, nel teatro di Paolo Rossi, stand up comedy e commedia dell’arte si uniscono in perfetta armonia.

Paolo, finalmente i teatri sono stati riaperti alle persone. Come sta andando la stagione?

In realtà non mi sono mai fermato. Nei momenti più difficili abbiamo fatto del nostro lavoro un servizio sociale, nel rispetto di tutte le norme sanitarie anti Covid. Abbiamo portato il teatro nei cortili, nelle pazzie, nelle strade. Abbiamo fatto 85 repliche dello stesso spettacolo. Le persone stavano affacciate dai balconi delle proprie case o distanziate nei cortili, all’aperto. Gli spettacoli erano accompagnati dalla distribuzione di cibo per chi ne aveva bisogno. Non ci siamo mai fermati: mi rifaccio allo spirito dei miei avi, i saltimbalchi. L’arte è diventata conforto nelle periferie delle città

I giornali hanno definito la sua arte “teatro d’emergenza”. Io la chiamerei anche “teatro di necessità”.

La definizione di emergenza è stata data con riferimento alla vita dei saltimbanchi della commedia dell’arte. Ci siamo allenati in questo repertorio senza mai fermarci. Anche le prove sono diventate un momento di arte a tutte gli effetti, aperte al pubblico. A volte anche a sole otto persone. Provavamo con il pubblico per poi recitare con il pubblico, tornando così alle origini pure del teatro: un’assemblea, un parlamento buffo, una agorà, una sfida, un gioco. È questo il teatro di emergenza.

Dopo il periodo vissuto ci sarà un ritorno al passato del teatro e dello stare insieme?

Sono un pessimista strategico. “Benvenuti in tempi interessanti!”, dico solitamente con il sorriso e con l’autoironia, che non sempre viene compresa. Io credo che, senza arrivare al teatro obbligatorio, dobbiamo capire finalmente che la cultura è un servizio sociale, prima che la soddisfazione dell’ego sociale. Soprattutto in tempi come questi.

 

paolo rossi l'operaccia pane o libertà (Foto MoniQue)

 

Sul palco del Lazzaretto ci saranno con lei i Virtuosi del Carso.

Sono i miei compagni di strada da vent’anni. Secondo le regole degli aristotelici, io sono convinto del fatto che il teatro necessiti di musica in scena. Loro in questi anni hanno imparato anche a recitare. Quando faccio i monologhi, in realtà non sono mai solo. Mi piace reinventare. Prendere generi antichi e cercare una reazione chimica. Diciamo che sono un traslocatore di natura.

Che cosa intende?

Per esperienza d’età, sono curioso della casa nuova. Ma non dimentico di portare con me un quadro, una chitarra acustica o una pila. Cose che possono sempre servire.

Dove stand up comedy e commedia dell’arte riescono a incontrarsi e a stare bene insieme?

Dipende da sera in sera, dal bagaglio di esperienza accumulato, dalle tecniche. È difficile da spiegare. Parlandone, evapora l’idea stessa che cerco di comunicarti. Il teatro va fatto, praticato. Sempre con la consapevolezza che il pubblico è parte integrante dell’opera. Per questo, vi invito a teatro.

Parlando di incontri, come il suo Arlecchino e la sensibilità shakespeariana si legano nei suoi spettacoli?

Questo è più semplice da spiegare. Ad esempio, se ci riferiamo al primo Arlecchino, quello diabolico che viene e va dall’aldilà, e all’Amleto il gioco è possibile. Sono due estremi opposti che, uniti insieme, creano una terza figura. Un po’ come succede nelle reazioni di ossido riduzione in chimica.

È emerso il cuore da chimico che vive in lei. Cosa del suo passato di chimico ha portato a teatro?

Provare a fare esperimenti. Vedere se e quando funzionano, premurandosi di non far saltare in aria il laboratorio.

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