Chissà se va… Se lo chiedevano in molti, non solo Raffaella Carrà, quando tre anni fa Roberto Mancini prese la guida di una Nazionale spenta e deludente. E forse solo il ct poteva credere davvero di arrivare così lontano, anche se il bello deve ancora venire e non ci si può fermare proprio adesso, a un passo dal titolo europeo che manca all’Italia da più di 50 anni, da quando (1968) grazie a un gol di Domenghini si potè ripetere la finale e battere la Jugoslavia.
L’Italia che per tutti gli Europei aveva fatto la Spagna, comandando il gioco come le furie rosse dei bei tempi e dando una lezione anche al Belgio primo della classe, l’Italia dicevamo, contro la Spagna si riadatta a fare l’Italia, un po’ come tradizione insegna. Più costretta, che per scelta, a dimostrare che si può vincere anche resistendo in difesa, con la pazienza di sopportare il tiki-taka magari impressionante, ma non così devastante degli spagnoli. Non tanto, soprattutto se hai di fronte giocatori capaci di chiudersi bene e ancor più se hai un portiere che sa diventare valore aggiunto.
La manona di Donnarumma che arriva implacabile sul tiro dal dischetto di Morata non è casuale e vale come il rigore trasformato poi da Jorginho che spiazza il portiere e chiude i conti, facendo esplodere la festa a Wembley e in tutte le città italiane. Per smentire anche la leggenda che i nostri, i rigori, non li sanno tirare. In realtà, quando sei in campo da più di due ore, ci vuole tanta freddezza per riuscire ad andare oltre anche a quel momento, che più decisivo non può essere perché poi non hai più tempo per rimediare.
E c’è anche un po’ di nerazzurro con Toloi e Pessina, entrati in campo solo al 73′, che alla fine giocano quasi 50 minuti e portano il loro mattone alla causa azzurra, con Pessina che si sacrifica per marcare Busquets, la fonte del gioco spagnolo e Toloi che si prende anche un’ammonizione per fermare Dani Olmo.
A proposito. Come si fa a non ricordare l’esordio in Champions dell’Atalanta? Settembre 2019, una partenza traumatica anche per colpa di un giocatore spagnolo che aveva fatto impazzire i nerazzurri e trascinato la Dinamo Zagabria a vincere 4-0. Ecco, quel centrocampista-attaccante era diventato campione europeo Under 21 tre mesi prima, proprio in Italia. E contro l’Atalanta a Zagabria? Incontenibile, tanto è vero che l’Atalanta aveva provato poi a portarlo a Bergamo, ma Olmo aveva scelto la Redbull e il Lipsia. Poi succede che Olmo, il migliore in campo a Wembley contro l’Italia, sbaglia il primo rigore e il trofeo del migliore viene assegnato a Chiesa, bravo a realizzare il primo gol azzurro e a costringere la Spagna a una difficile rimonta.
Non è l’Italia più bella (per come ci aveva abituato) ma è l’Italia più emozionante, una squadra capace di raggiungere qualsiasi traguardo. L’ha fatto sempre col gioco, stavolta ha dovuto superarsi per piegare un avversario tecnicamente molto forte, i “maestri del possesso palla” come li ha definiti Mancini, ma non è la percentuale del possesso palla che ti fa vincere. E obiettivamente anche l’assenza di Spinazzola (a lui la dedica dei compagni) ha tolto un’arma che poteva essere letale per gli attacchi azzurri: ci fosse stato lui, qualche contropiede sarebbe riuscito molto meglio e la partita forse sarebbe stata chiusa prima.
Ora il gran finale. Con la tuta da operaia o con l’abito da sera, l’Italia è pronta. Un po’ stanca, però se vincere aiuta a vincere…
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