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L'intervista

Orietta Berti a Bergamo: “55 anni di carriera… genuina sì, ma dopo tanto allenamento”

Mercoledì 7 luglio presenterà  la sua autobiografia e ci dice: "Ho cantato tutte le canzoni che volevo cantare"

Oltre 16 milioni di dischi venduti, oltre 350 brani incisi. Undici partecipazioni al Festival di Sanremo e 9 milioni di copie vendute di “Fin che la barca va”.

Questi sono una minima parte dei numeri che accompagnano la vota di Orietta Galimberti, in arte Orietta Berti. A questa lista, apparentemente interminabile, si aggiungono le partecipazioni a Canzonissima, al Disco per l’Estate, le partecipazioni a film e programmi televisivi, le tournée in Italia e nel resto del mondo.

La verità è che nemmeno i numeri a più di nove cifre bastano per descrivere Orietta Berti, artista icona di stile e genuinità. Per tutti noi la Berti sia la star internazionale che la vicina di casa da cui non potremmo mai rifiutare un buon caffè. Perfetta in entrambi i ruoli.

Reduce dal successo di “Mille”, l’ultimo singolo, spopolato in radio e tra i giovanissimi, che la vede al fianco di Fedez e Achille Lauro, la cantate sarà ospite allo Spazio Polaresco di Bergamo nella serata di mercoledì 7 luglio, per presentare “Tra bandiere rosse e acquasantiere” (Rizzoli editore), la sua autobiografia.

La pubblicazione del libro, che anticipa l’uscita del nuovo album a settembre, cade nell’anno del 55esimo anniversario di carriera. Era il 1966 quando Orietta Berti partecipava al suo primo Festival di Sanremo in coppia con Ornella Vanoni con “Io ti darò di più”, di Memo Remigi e Armando Testa. Dopo oltre cinque decadi, l’abbiamo rivista sul palco del festival, in gara con il brano “Quando ti sei innamorato”. Il tempo per la sua voce non sembra passato, come per la sua eleganza. Ancora una volta Orietta Berti ci ha mostrato che per il canto, che sia pop o lirica, la tecnica e lo studio non sono un optional.

All’ultimo Sanremo tutta Italia ha ascoltato la sua voce, ancora così potente, impeccabile. Quale è il suo segreto?

Lo studio è fondamentale. È come uno sportivo che corre e si allena. Anche quando mi occupo delle faccende quotidiane, anche quando bado ai miei cagnolini, tengo le cuffie nelle orecchie e canto sulle basi musicali. La voce deve essere allenata, giorno dopo giorno. In questo modo si rinforzano sia le note base che quelle acute, quelle che non usiamo quando parliamo.  Così, quando si deve cantare in un concerto o dal vivo in televisione, si è già pronti. La voce sa dove deve andare, è sempre pronta.

La tecnica e lo studio quotidiano sono quindi fondamentali…

Certo. Anche perché le nostre origini sono quelle del Bel Canto. Come portatori di questa tradizione, noi dobbiamo curare le note intonate, non tremolanti. Per me tutto questo è fondamentale, per altri invece non è una necessità. Io ancora adesso rimango sicura della mia voce. Canto senza pensieri.

Tra la prima edizione del Festival della canzone italiana, del 1966, a cui ha partecipato e l’ultima sono trascorsi 55 anni. Cosa è cambiato?

È cambiato tutto. Prima i cantanti che si presentavano al Festival dovevano dare una dimostrazione di notorietà e di successo. Ad esempio, saliva sul palco di Sanremo chi aveva venduto tot dischi, chi aveva vinto una manifestazione estiva. Gianni Ravera (il “patron” della musica leggera – ndr), l’organizzatore di allora, chiamava solo personaggi famosi. Ora invece un artista può essere “sconosciuto” a tante persone, al pubblico del piccolo schermo, ma avere milioni di seguaci sul web. Poi questa edizione è stata a sé…

Per via dell’emergenza Covid?

Si esatto. Non c’era pubblico in sala, né persone per strada. Di solito gli artisti incontravano i fan in ogni angolo della città, dagli alberghi ai ristoranti. Anche le interviste erano un rito, non più di quattro al giorno, con i giornalisti in presenza. Quest’anno invece dovevo essere truccata alle nove del mattino per poi affrontare tra le venti e le ventisei interviste online ogni giorno. Ci collegavamo in contemporanea con gli altri partecipanti, ognuno dal proprio albergo. Abbiamo fatto tantissimo in poco tempo. È stato tutto stravolto. Non ci sono stati parrucchieri o truccatori, dovevamo prepararci da soli. L’arrivo ai camerini doveva essere all’ora prestabilita, né prima né dopo. Poi si poteva accedere alla “stanza grigia” e, infine, alla “stanza rossa”, quella prima del palco. Prima di entrare in scena ero più preoccupata di rispettare tutte le regole, che del fatto di cantare. È stato un festival particolare che ricorderò per tutta la vita.

Il suo libro “Tra bandiere rosse e acquasantiere” si apre con una dedica a Osvaldo, suo marito.

Mio marito è stato importantissimo per la mia carriera. È stato anche la mia colonna nella vita privata. È stato un compagno molto attento e rispettoso, un marito che mi ha sempre amata, mai tradita. Mi ha portato, come si suol dire, sul palmo di una mano. Lo ringrazierò sempre per il contributo e il sostegno che mi ha dato nello scegliere le canzoni. I suoi consigli erano giusti perché disinteressati, perché dati per amore. Osvaldo mi ha insegnato a vivere, a donare, a non essere egoista. Poi sono arrivati i figli, la nostra più grande gioia, ma anche preoccupazione. È inevitabile.

Il suo libro è pieno d’amore, quello di artista e di moglie, di madre e di nonna. Inizia con Osvaldo e finisce con una dedica a Olivia.

Mia nipote Olivia, l’ultima arrivata, è una bambina intelligente. È un piacere averla a casa. È curiosa, ama giocare. In questa sua caratteristica rivedo molto di me. Come scrivo nel libro, mi auguro che tenga con sé questa curiosità.

Lei ha alle spalle 55 anni di carriera. Cosa consiglia ai giovani che vogliono diventare cantanti?

Una persona deve istruirsi, sempre. Ci vuole tecnica e ci vuole fortuna. Io incontrai la persona giusta, Giorgio Calabrese, che mi fece fare dei provini presso una casa di produzione discografica internazionale. È importante non prendere sempre le decisioni con la propria testa, ma saper farsi consigliare da chi ha più esperienza di noi. Nel nostro lavoro le decisioni vanno fatte insieme a chi lavora con te. Io e mio marito, giovanissimi, abbiamo sempre dato retta a chi aveva più esperienza di noi, che magari voleva vendere il prodotto. Nel tempo ho capito che rimane sul mercato chi sa vendere. E poi voglio dire ai giovanissimi di rimanere sempre coi piedi per terra. Non si è mai arrivati: quando arriva il successo di un disco, devi già pensare al tour o all’apparizione successiva. Il nostro non è un lavoro facile.

Se oggi le dicessero “Orietta, le diamo l’opportunità di cantare una canzone che non ha mai cantato”, quale sceglierebbe?

Io ho già cantato tutte le canzoni che ho voluto cantare. È dagli anni ’80 che mi produco da sola, quindi quando faccio i dischi inserisco canzoni che amo, di artisti stranieri e italiani. Ho inciso anche i pezzi che, per vari motivi, mi era stato impedito di cantare. Il mio prossimo album uscirà a settembre per festeggiare i miei cinquantacinque anni di carriera.

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