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Partito da clusone

Jo Locatelli, maestro dell’obiettivo: cacciatore di volti e fatti per 50 anni

Tutto dello sconfinato lavoro di Locatelli reca l’impronta della sua grande umanità, una caratteristica che si staglia nelle inquadrature dall’India a Israele, sui volti delle donne e degli uomini, dai bambini agli anziani che fotografa.

Ha ancora Clusone nelle vene, anche se da una vita sta lontano dalla terra delle sue radici. Ha girato mezzo mondo come fotoreporter e con il suo obiettivo ha fissato volti che hanno accompagnato e scandito mille storie con i rispettivi protagonisti. Il suo nome è Giuseppe Locatelli, per tutti Jo, classe 1939, vivacità giovanile da vendere, stanziale a Purasca, in Svizzera, un pugno di km da Ponte Tresa. Per 42 anni ha dovuto inseguire la cronaca dalla redazione di un giornale, poi ha continuato a viaggiare e ancora si concede qualche incursione come cacciatore di scatti per libri e riviste.

Jo Locatelli ha vissuto la passione del suo sogno in pienezza, ma anche con un cumulo di sacrifici che oggi sembrano inimmaginabili per come la fotografia e la tecnologia si sono sviluppate. Non ha mai avuto un’agenda: sapeva che era inutile perché gli è capitato un’infinità di volte di ricominciare ancora prima di staccare per un qualche grave fatto di cronaca. Jo era una garanzia per le redazioni e le agenzie fotografiche: riusciva ad essere dappertutto. Di più: era diventato una presenza così abituale di molte manifestazioni che all’inaugurazione o alla partenza di una corsa, prima del via circolava una domanda divenuta battuta: “Ma Locatelli c’è?”.

Jo Locatelli ok

Sogno costato un’odissea

Ultimogenito di Marietta Emilia nata Ferrari e di papà Benedetto, entrambi clusonesi, con casa in via Bernardino Baldi e con la chiesa S. Anna come punto di riferimento; prima di lui c’erano Maria sposata Cremaschi, Leonilde sposata Fiumana, poi Piero, quindi Rachele sposata Rossi.

Accidentato il percorso che l’ha portato all’approdo sognato. Il destino talvolta sa mischiar bene le carte. Sta di fatto che l’autore di indimenticabili immagini ha dovuto sudare diverse camicie, prima che il caso gli spalancasse le porte del futuro. Finite le medie, cominciò a fare il “bocia” vicino a Milano da uno zio capomastro: non era la sua strada, anche perché gracile. Poi eccolo al Cappello d’Oro, a Bergamo, come cameriere, e anche qui chiuse presto.

Fu Alfredo, marito di sua sorella Maria a spingerlo verso la fotografia, procurandogli un vecchio ingranditore a lanterna e successivo posto da apprendista nello studio di Giuseppe Meli, alle 5 Vie di Bergamo. Volendo però metter da parte qualche soldo ed avendo sentito da compaesani partiti per l’Africa che là si guadagnava bene, si mise in testa di cimentarsi. Impossibile: per avere il passaporto, doveva prima assolvere il servizio militare. Chiese e ottenne di partire subito: gli sarebbe piaciuta la Marina, lo sbatterono prima tra i Paracadutisti Alpini, quasi uno sberleffo per uno piccoletto come lui, poi come fotografo – evvai, finalmente – al quartier generale della Julia a Pisa.

Conclusa la naja, volle prendere qualche familiarità con l’inglese e andò a Londra così da poter imbarcarsi per l’Africa: ma fu sconsigliato dal recarsi nel Ghana dai suoi stessi amici che erano rientrati. Per metabolizzare la delusione e “cominciare a far qualcosa”, come vuole il pragmatismo orobico, fece la valigia per la Francia, destinazione Vitry sur Seine, vicino a Parigi, da uno zio paterno, per qualche lavoretto d’edilizia. Il portafoglio però era sempre in secca.

Dopo qualche mese, quando dall’amico Aniceto Rebba gli arrivò notizia di una possibilità in Svizzera, a Crans Montana, nello scavo di un tunnel, si rimise in viaggio. Fatiche e sudori smisurati, i compaesani clusonesi lo supplivano nei lavori più pesanti. Sconforto e delusione andavano addensandosi e quando un altro clusonese, Luigi Visinoni, gli scrisse che a Locarno una fabbrica d’orologi cercava un fotografo, non esitò un attimo. Tempo un anno e mezzo e, al colmo della sfiducia, optò per rientrare in patria. Un’ultima sosta a Lugano per salutare l’amico che gli aveva trovato lavoro a Crans e che s’era intanto spostato nel Ticino: era ora di “venirne a una”.

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Finalmente dentro un giornale

È qui che c’è il colpo di scena. Aspettando in un bar, davanti a una birra, s’imbatte in un prete, don Fortunato Tagliabue, che svolgeva il suo ministero come cappellano tra i minatori impegnati nello scavo della galleria autostradale del San Gottardo. Comincia il futuro. Don Tagliabue sa che il direttore del “Giornale del Popolo”, don Alfredo Leber, un prete che è stato un “capitano in clergyman” per usare una definizione dello scrittore Piero Chiara, sta cercando un fotografo. Nel giro di un quarto d’ora si incontrano e in 5 minuti Jo decolla nel suo lungo avvenire, durato dal 1963 al 2005, qualcosa come 42 anni. Collezionerà 6 editori e altrettanti direttori, diventando – strada facendo – responsabile del settore fotografico e maestro di molti che si sono messi sulle sue orme.

Locatelli ha fatto di tutto: piccole vicende della quotidianità ordinaria, eventi epocali e reportage, spesso purtroppo drammi: dalla sciagura di Mattmark con la valanga che nel 1965 investì il cantiere per la costruzione di una diga, facendo 88 vittime (56 italiani), ai terremoti del Friuli (1976) e dell’Irpinia (1980); dalle alluvioni che hanno funestato il Cantone Ticino (1978, 1987 e 1993). Un itinerario professionale punteggiato anche da realizzazioni imponenti, raccontate in immagini: il tunnel della Manica, il traforo autostradale del San Gottardo, Alptransit; avvenimenti e dominatori dello sport. Tra i riconoscimenti ai quali Jo Locatelli è affezionato ci sono la “Nikon d’oro” (assegnatagli nel 1989) e la targa al merito della Provincia di Bergamo, consegnatagli dal presidente Valerio Bettoni nel 2005.

Uomini e storie di una vita

Tutto dello sconfinato lavoro di Locatelli reca l’impronta della sua grande umanità, una caratteristica che si staglia nelle inquadrature dall’India a Israele, sui volti delle donne e degli uomini, dai bambini agli anziani che fotografa.

C’è poi il firmamento dei protagonisti che hanno segnato a vario titolo la storia, dai Papi ai Presidenti di Stato e capi di governo, da Giovanni Paolo II a Pertini, Cossiga, Spadolini; dai dominatori nello sport con i nomi sfolgoranti di Enzo Ferrari, Clay Regazzoni, Gimondi e Merckx a fari della cultura e del giornalismo, come Mario Rigoni Stern, Dacia Maraini, Jean Starobinski, Indro Montanelli, Enzo Biagi. E poi ampi reportage su Dominique Lapierre, Antonino Caponnetto, David Maria Turoldo, i cardinali Ersilio Tonini e Carlo Maria Martini.

Numerosi i libri che il fotoreporter ha corredato con la forza espressiva delle sue foto, in Svizzera ma anche in Italia, ad esempio sul santuario della Cornabusa (“Cuore della Roccia”), su Frate Indovino (“Le mie stagioni”, “Maestro del tempo”) e su Turoldo (“Il coraggio di sperare”).

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