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Pesenti e Rocca, con Bazoli, puntano al Corriere della Sera?

Di Fondazione si riparla oggi, delineando un’operazione i due tempi: prima si compra il Corriere da Cairo, lasciandogli tutto il resto, compresa la rosea Gazzetta e magari anche almeno per un po’ la raccolta pubblicitaria, poi gli si confeziona la nuova veste.

Paolo Madron, direttore di per Tag43, racconta gli appetiti milanesi (ma anche bergamaschi) sul Corriere della Sera.

C’è la possibilità di riprendersi il Corriere della sera, o almeno questa è l’impressione che sta scatenando appetiti e strani pensieri. E la Milano, quella che si riconosce nella finanza di rito ambrosiano, è in fibrillazione.

Quella Milano che ha fatto di necessità virtù quando in via Solferino 28 ha piantato le tende il barbaro. Ovvero Urbano Cairo, ovvero l’ex assistente di Silvio Berlusconi che per emularne le gesta è diventato editore di carta e tivù, e poi padrone di una squadra di calcio. E poi ancora, ma per sua fortuna non è mai andato in fondo, perché l’emulazione fosse perfetta ha accarezzato l’idea di scendere in politica.

Coloro che hanno dato il Corriere a Cairo ora lo vorrebbero riprendere.

Ed è proprio nei giorni più caldi dell’anno che sulla direttrice che ha come epicentro il capoluogo lombardo, corre tra i tavolini di Forte dei Marmi (per il milieu meneghino che vi svacanza confidenzialmente il Forte) e i villoni di Saint Moritz, si dipana la trama. Mentre alto si leva, nell’ora dell’aperitivo, un solo grido: riprendiamoci il Corriere.

Ce la faranno? Mah, Cairo ha sette vite, non demorde, si muove con una rapidità e una spregiudicatezza che nei salotti buoni non sono consentite. Stoicamente resiste persino al reiterato malumore della Grande Banca che, spianandogli a suo tempo la strada, gli ha consegnato il giornale e un minuto dopo che lo aveva fatto si è vista misconoscere.

Si racconta che Carlo Messina, grande capo di Intesa, sia sempre più arrabbiato. Che dopo la causa fatta a Blackstone in cui, consigliato dal re degli avvocatoni Sergio Erede, Urbano ha dato agli americani degli usurai, sia andato letteralmente fuori dai gangheri. Ma sin qui ha abbozzato, facendo filtrare per vie traverse tutta la sua irritazione, senza andare oltre.

La vecchia idea di Bazoli di affidare il giornale a una Fondazione

Questa però è storia passata. La causa è poi rimasta sonnacchiosamente a galleggiare per un paio d’anni tra esposti in tribunale, ricorsi e battaglie transatlantiche, fino allo scorso maggio, quando il pronunciamento degli arbitri ha dato ragione a Blackstone. Ed è qui che il mai sopito afflato a riprendersi il Corriere ha preso vigore.

Ma perché ciò accada devono ancora succedere alcune cose. Bisogna innanzitutto capire se la Consob, che sul dossier non è mai andata oltre la burocratica attenzione, imporrà a Rcs di accantonare a fondo rischi quei soldi che la casa editrice sin qui si è guardata bene dal mettere a bilancio. Si vocifera di frenetiche consultazioni tra legali, in uno spettro cha va dal possibile compromesso al drastico intervento.

Di riffe o di raffe, ballano qualche centinaio di milioni. Blackstone ne ha chiesti 600, metà a Cairo metà a Rcs che ha subito manlevato il suo editore e adesso il cda un po’ trema per quel viatico di cui potrebbe essere chiamato a render conto. Probabilmente si accontenterebbe di portare a casa la differenza tra quanto speso per acquistare la sede del giornale e quanto perso dalla mancata vendita ad Allianz. Mal contati, poco più di un centinaio di milioni. Se la casa editrice li dovesse tirar fuori, le ripercussioni sul conto economico sarebbero deleterie. A meno che…

Si attende la semestrale per eventuali accantonamenti sull’affaire Blackstone

E qui si arriva all’oggi, al frenetico vociare di manager, banchieri, cavalieri del lavoro e cummenda che a riportare al loro ordine il giornale farebbero gran festa. L’idea sullo sfondo ha un sapore antico.

Risale niente meno agli inizi del secolo, quando Giovanni Bazoli, ora presidente emerito di Intesa, aveva caldeggiato la creazione di una Fondazione cui assegnare (e gelosamente custodire) la proprietà del giornale.

E di Fondazione si riparla oggi, delineando un’operazione i due tempi: prima si compra il Corriere da Cairo, lasciandogli tutto il resto, compresa la rosea Gazzetta e magari anche almeno per un po’ la raccolta pubblicitaria, poi gli si confeziona la nuova veste.

Una cordata con Intesa, Tronchetti, Del Vecchio, Pesenti, Mediobanca e la Fondazione Cariplo

Personaggi e attori i soliti noti, i cui nomi a snocciolarli sembrano l’attacco della Cognizione del dolore di Gadda quando fa l’elenco dei ricchi borghesotti brianzoli: i Tronchetti, i Pesenti, i Rocca, magari anche i Berlusconi (cognome che nel bestiario gaddiano esiste veramente), Intesa, l’intraprendente martinitt Leonardo Del Vecchio che a Milano è nato e rimasto fino ai 20 anni.

E Mediobanca che in Rcs c’è già dentro, e poi le Fondazioni, Cariplo in testa, la cassaforte della borghesia cattolico-martiniana che da sempre dice di ispirare la sua azione alla dottrina sociale della Chiesa. Informazione compresa.

Tutto sotto la regia della Grande Banca, il cui leader comanda e dispone con piglio deciso e inclusiva attitudine. Nel mentre Cairo si agita, studia soluzioni alternative, cerca alleati per uscire dalla morsa che si stringe. Si muove non solo con il fiato di Blackstone sul collo, ma anche quello di molti fornitori che non vengono pagati e lo braccano a suon di decreti ingiuntivi. In pubblico, come si confà al personaggio, non perde il suo ottimismo.

Anzi, rilancia, facendo girare la voce che a fine anno l’indebitamento di Rcs con le banche sarà praticamente azzerato, e di lì in avanti il gruppo diventerà una gioiosa macchina da soldi. Orienta alla bisogna il giornale su posizioni filogovernative, prima i grillini ora Draghi e i Migliori, schierando le firme a falange in sinergica contaminazione con la sua tivù.

L’ottimismo sui conti di Rcs e la pubblicità in ripresa

Dispensa ottimismo sulle magnifiche sorti della pubblicità servita a suon di sontuose marchette su cui la redazione borbotta rassegnata, cosa che egli per altro non ha mai smesso di fare neanche quando la pandemia ne aveva oscurato la prospettiva.

Persino il signor Segafredo del noto caffè, che fuggiva il virus in Polinesia, prima di trasvolare non gli aveva fatto mancare il suo sostegno. Insomma, nell’estate milanese che più torrida non si può, con la città che abbassate le mascherine rialza le sue ambizioni, con un sindaco che grazie all’inconcludenza del centrodestra godrà di sicura riconferma e che, ironia della sorte, è fidanzato con la figlia di colui che si sente il depositario delle sorti del Corriere (il racconto, mai smentito, è quello di Gianni Agnelli sul letto di morte che chiama Bazoli e con un filo di voce gli raccomanda i destini di via Solferino), l’istituzione deve rientrare nei ranghi, non può essere lasciata a uno che con l’establishment gioca in maniera toppo disinvolta.

Si vocifera, ci si incontra, si provano scenari, si scrivono cordate sui tovagliolini dei bar, si trasuda borghese indignazione quando la faccia di Cairo compare sul sacro giornale ignorando che la vanità è il motore di questo mondo, e spesso uno i giornali li compra per apparirci. Ma sono tutte considerazioni che trovano il tempo che trovano.

Ora l’obiettivo e far sloggiare il barbaro e ripristinare la perduta aura. Con calma, senza scoprirsi troppo, senza scomporsi, aspettando la fine di settembre. Quando gli ombrelloni del Forte chiuderanno, e così faranno le ville di San Maurizio in Engadina.

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