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Il medico del mario negri

Terapia ormonale per cambiare sesso? “AstraZeneca non crea problemi”

Una preoccupazione sollevata dalle persone transgender sottoposte alla terapia ormonale sia durante il periodo di transizione sia successivamente, finito il percorso. Le risposte del dottor Antonio Clavenna, dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Bergamo

L’interazione tra il vaccino Covid a vettore virale (come Astrazeneca e Johnson&Johnson) e l’assunzione di terapia farmacologica ormonale preoccupa.

Ad esprimere preoccupazione anche le persone transgender sottoposte alla terapia ormonale sia durante il periodo di transizione (che inizia a modificare i caratteri sessuali secondari quali voce, distribuzione pilifera, massa muscolare), sia successivamente, finito il percorso.

Dubbi a cui abbiamo cercato di dare risposta grazie al dottor Antonio Clavenna, dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Bergamo.

A riaccendere l’attenzione sul maggiore rischio di insorgenza di eventi trombotici per chi assume terapie ormonali è stata la tragica morte di Camilla Canepa, la studentessa di 18 anni deceduta per emorragia celebrale 9 giorni dopo aver ricevuto il vaccino AstraZeneca in un open day in Liguria, che, secondo i referti medici oltre ad avere una piastrinopenia auto immune (che implica un basso livello di piastrine nel sangue), stava assumendo una terapia per una cisti ovarica, curata con farmaci a rischio trombotico.

Si tratta di un numero indefinito quello delle persone transgender: non solo in Bergamasca, ma su tutto il territorio nazionale.

“Non c’è una mappatura, purtroppo. Non ci sono dati raccolti o numeri d’insieme. In Italia ci sono diversi centri dove è possibile intraprendere il percorso ed effettuare anche l’intervento chirurgico, ma il registro dei ‘pazienti’ è riferito solo a quel centro”, ha dichiarato a Bergamonews Anna Lorenzetti, professoressa di diritto costituzionale all’Universita degli Studi di Bergamo, con focus sulle politiche di integrazione.

Tuttavia, secondo l’American Psychiatric Association si stima che una persona su 10mila intraprenda il percorso di transizione da maschile a femminile, ossia MtF (male to female), e una su trentamila da femminile a maschile, FtM (female to male). Inoltre, i dati della letteratura scientifica internazionale suggeriscono che la percentuale di popolazione transgender dovrebbe essere compresa tra lo 0,5 e l’1,2% del totale. Se confermata anche nel nostro Paese, consterebbe in circa 400 mila italiani.

Nel nostro Paese, i dati sulla popolazione transgender disponibili più recenti risalgono ad uno studio, pubblicato nel 2011, che considerava la popolazione transgender adulta sottoposta a intervento chirurgico di affermazione di genere tra il 1992 e il 2008. Lo studio riporta un numero pari a 424 donne transessuali e 125 uomini transessuali. Tuttavia si tratta di una stima minima, limitata a un sottogruppo di una popolazione più vasta ed eterogenea: non tutte le persone sentono la necessità di sottoporsi a trattamento chirurgico o ormonale ostacolata anche dall’assenza di informazioni sulla salute generale della popolazione transgender.

A fare chiarezza sull’interazione tra il vaccino e la terapia ormonale sostitutiva a il vaccino Covid, è il dottor Antonio Clavenna, dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Bergamo che spiega:  “Non ci sono dati specifici. Si possono, tuttavia, fare dei ragionamenti su quello che si conosce per quanto riguarda l’interazione tra il vaccino e l’assunzione di ormoni estrogeni e progestinici. É stata, infatti, sollevata l’ipotesi che i vaccini a vettore virale Astrazeneca e Johnson&Johnson insieme all’utilizzo di terapie estroprogestinici comportino un maggiore rischio trombotico. Come per la pillola anticoncezionale. Mentre per i vaccini a mRNA non sono mai stati sollevati dubbi dal momento che non ci sono mai state segnalazioni”.

“Ma dagli studi condotti al momento non c’è un’associazione evidente che, quindi, dovrebbe impedire l’utilizzo dei vaccini a vettore virale per chi assume la pillola o è in terapia ormonale. Non c’è, quindi, un rischio maggiore rispetto a chi non li assume. Non c’è motivo di preoccuparsi”, ha concluso Clavenna.

La terapia ormonale è solo uno dei numerosi step che si devono intraprendere per il percorso che “inizia con l’accesso a uno dei centri – pubblici o del privato sociale – e con la presa in carico della persona che inizia così un percorso periodico di colloqui con operatori. Dopo alcuni mesi, la persona viene ammessa al real life test, ossia il periodo del test della vita reale, in cui la persona si “sperimenta” nell’altro genere, anche se in realtà, molto spesso già quando ci si reca la prima volta allo sportello si vive nell’altro genere da diverso tempo. Dopo alcuni mesi, la persona viene anche ammessa alla terapia ormonale”, ha continuato la professoressa Lorenzetti.

“Dopo alcuni mesi ancora (12 circa, ma talvolta di più), alla persona è consentito di presentare la richiesta presso un tribunale cui si chiede di essere autorizzata all’intervento chirurgico e talvolta (contestualmente) al cambiamento del sesso anagrafico e del nome. Qui i tempi variano molto sia per l’arretrato dei tribunali (per cui in alcuni casi, solo per fissare l’udienza passano 2 anni), sia per le liste d’attesa degli ospedali (non molti) che praticano questi interventi chirurgici (anche qui, si possono attendere anche 2 anni).  Se non autorizzato al cambio anagrafico e alla modifica del nome prima (cioè al primo passaggio in tribunale), la persona deve tornare di fronte a un giudice dopo l’intervento chirurgico per ultimare questo passaggio (con relativa attesa e spese legali sia per l’avvocato, sia per i bolli che in alcuni casi sono di oltre 400 euro, ma varia molto in base al foro).
Una volta avuta la sentenza che autorizza il cambio di sesso e nome, la persona conclude il percorso, anche se poi deve attendere mesi per i documenti, come per la patente per cui è lunghissima l’attesa, anche 6 mesi”, ha concluso Lorenzetti.
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