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Report 15-21 giugno

Mentre continua il calo dei contagi, a Bergamo nell’ultima settimana un solo decesso

Ma scendono molto anche i tamponi e si fanno soprattutto quelli rapidi, mentre invece è molto importante monitorare la situazione per via della variante delta, in crescita.

Come ogni martedì, proponiamo l’analisi della settimana epidemiologica appena conclusa usando i dati ufficiali dell’Iss (Istituto superiore di sanità): a conferma della forte frenata della Covid-19, molto probabilmente legata alla stagionalità del virus e alla campagna vaccinale, nel periodo 15-21 giugno abbiamo avuto un ulteriore e netto calo delle infezioni.

I nuovi casi individuati sono scesi a 7.696 (-36,4% sui 12.095 della settimana precedente) con una media giornaliera di 1.100. Purtroppo è ancora basso il numero dei test eseguiti: 1.313.888 (+ 24.662), proprio mentre dovremmo testare e sequenziare il più possibile, per tracciare correttamente la presenza delle varianti sul nostro territorio. Senza contare che la tipologia di test eseguiti si sta ormai sbilanciando verso gli antigenici rapidi (719.872 vs.594.016 molecolari nel periodo preso in esame), che non permettono di effettuare il successivo sequenziamento del materiale genetico virale: operazione indispensabile per individuare le varianti. A questo fine sta prendendo il via (meglio tardi che mai) la Ria (Rete italiana anti-epidemica) che ha come obiettivo il sequenziamento e monitoraggio dei ceppi virali. Con l’intento di sequenziare almeno il 5% dei campioni nei periodi ad alta circolazione del Sars-CoV-2, e il 20% in quelli con una circolazione ridotta. In attesa, restiamo ancorati ai circa 500 sequenziamenti settimanali a livello nazionale, contro gli oltre 1.000 eseguiti nel Regno Unito.

Torniamo all’andamento epidemico, registrando un’ulteriore riduzione dei nuovi ingressi in terapia intensiva: sempre a livello nazionale 92 nel periodo 15-21 giugno, con un calo del 37,8% sulla settimana precedente. Gli attualmente ricoverati in T.I. sono 385 (- 151). Deciso ribasso si riscontra nel numero dei decessi: 253 contro i 450 della settimana scorsa. I pazienti in isolamento domiciliare scendono da 17.667 a 13.179. L’indice medio settimanale di positività passa da 0,96% a 0,59%.

Variante delta

Ribadiamo che in questo periodo di fortissimo calo dei positivi è indispensabile proseguire nelle attività di monitoraggio e sequenziamento, che possono funzionare in modo ideale proprio in virtù dei pochi casi giornalieri, che semplificano le operazioni di tracciamento dei contatti. Individuare e isolare i nuovi focolai, per poi interrompere precocemente le catene di trasmissione del virus, è l’unica possibilità che abbiamo per impedire la diffusione sul territorio della variante delta. Se dovessimo fallire in questo obiettivo la stessa variante sarebbe prevalente nel giro di un mese e mezzo, fino a diventare dominante nel corso di settembre. Abbiamo le armi per combatterla, lasciando ai vaccini il compito di ridurre i rischi clinici a livelli minimi: non utilizzarle sarebbe un errore imperdonabile. Da rilevare che, secondo una stima pubblicata dal Financial Times, la diffusione della variante delta riguarderebbe il 26% dei positivi in Italia; un dato preoccupante, anche in relazione al fatto che solo tre settimane fa, secondo i dati dell’ISS, erano l’1%.

Lombardia e Bergamo

In Lombardia i nuovi casi sono stati 1.195 (media giornaliera 171), erano 1.849, quindi il calo sulla settimana precedente è del 35,4%. Prosegue, ormai da molte settimane, il calo dei ricoveri: 391 sono ora quelli in Area Medica e 77 in Terapia Intensiva, in diminuzione rispettivamente del 34,4% e del 29,4%.

Buono anche il calo per la provincia di Bergamo, dove i pazienti ricoverati sono scesi da 71 a 56 e quelli in T.I. da 14 a 7. I nuovi casi registrati sono stati 94, in diminuzione del 49% sul periodo precedente quando erano 185. Nell’ultima settimana si è registrato un solo decesso. L’incidenza dei nuovi casi ogni 100.000 abitanti: 10 per Bergamo e 12 per la Lombardia.

Focus immunità di gregge

Torniamo oggi ad affrontare il tema dell’immunità di gregge e della copertura minima vaccinale necessaria per raggiungerla. Il suo calcolo è basato su una formula matematica, che omettiamo per semplicità di lettura. L’immunità di gregge, con la vecchia variante, era del 60%; per calcolare come raggiungerla ora, con il proseguo delle vaccinazioni, dobbiamo però aggiungere un nuovo concetto: l’efficacia del vaccino contro il rischio di infezione, che non arriva al 100% e quindi consente al virus di circolare, seppur in modo limitato. La copertura minima vaccinale (quante persone dobbiamo vaccinare e rendere immuni in modo completo, non parziale, per proteggere l’intera popolazione) si calcola dividendo il dato dell’immunità di gregge per quello dell’efficacia del vaccino: considerando Pfizer-BioNTech e Moderna (efficacia al 95% dopo la seconda dose) dobbiamo dividere 0,6 per 0,95. Il risultato (0,63) ci dice che, usando i vaccini Pfizer e Moderna, con la vecchia variante avremmo dovuto vaccinare almeno il 63% della popolazione (oltre 37 milioni di persone con doppia dose). Calcolo concluso? Non ancora, perché a questo punto entrano in gioco le nuove varianti: che essendo più diffuse, come quelle alfa (ex inglese) o delta (ex indiana) alzano il valore di R0. Inoltre, nel caso della delta, sappiamo che abbassa l’efficacia dei vaccini portandola, contro l’infezione, intorno all’80%.

Ipotizziamo che diventi prevalente, cosa che potrebbe accadere entro due mesi circa, eseguiamo il calcolo usando per R0 i valori di 4.0 e 5.0: che corrispondono alle stime attuali più conservative. L’immunità di gregge “grezza”, in questo modo, passerebbe dal 60% rispettivamente al 75% e all’80%. La copertura minima vaccinale (la popolazione da vaccinare con ciclo completo) sempre utilizzando i vaccini Pfizer-BioNtech e Moderna (efficacia ricalcolata all’80%) con un R0 di 4.0 salirebbe al 93,7%; con un R0 di 5.0 al 100%. Di fatto l’immunità di gregge sarebbe irraggiungibile: perché una parte della popolazione italiana (stimata al 10/15%) rifiuta la vaccinazione, e a questa dobbiamo sommare i soggetti sotto i 12 anni (non c’è per ora un vaccino approvato) e quelli che non lo possono fare per motivi clinici. In totale, il 20/25 % circa della popolazione resterebbe scoperto, ammesso di riuscire davvero a vaccinare tutto il rimanente. Per questo motivo è imperativo procedere rapidamente con la vaccinazione di massa, e con doppia dose, di tutta la popolazione raggiungibile: prima che la variante delta possa diventare prevalente e sfruttare un bacino di moltiplicazione impossibile da mettere in protezione. Quanto rapidamente si diffonda, anche in una popolazione largamente vaccinata, lo vediamo dai dati del Regno Unito: 9.184 nuovi casi nel giorno medio dell’ultima settimana, nonostante il 46% della popolazione (in Italia siamo al 27%) sia già protetta con il ciclo vaccinale completo.

Nel mondo

Per quanto riguarda l’andamento epidemico mondiale siamo arrivati alla settima settimana consecutiva di riduzione dei nuovi casi: nel periodo 7-13 giugno (ultimo dato ufficiale) sono stati individuati 2.655.782 positivi, con un calo dell’11,9% sulla settimana precedente. Meno sensibile il calo dei decessi: -1,7% a quota 72.528. Finora l’epidemia ha seguito cicli espansivi di circa 10 settimane, seguite da periodi di contrazione leggermente più brevi (6-7 settimane). L’andamento del prossimo mese (ci dirà se e quanto le campagne vaccinali sapranno interrompere questa ciclicità. I cinque Paesi con il maggior numero di casi in valori assoluti nel periodo sono: India (630.650; -31%); Brasile (454.710; stabile); Argentina (177.693; -17%); Colombia (176.661; stabile); Usa (105.019; +6%).

Capitolo varianti: alle 6 “variants of interest” già note (che non sono per ora preoccupanti, ma meritano attenzione) si aggiunge quella “lambda”. Altra 4 sono “variants of concern”, ossia preoccupanti: alfa, ex inglese; beta, ex sudafricana; gamma, ex brasiliana, e delta, ex indiana. Rilevata per la prima volta in Perù nell’agosto 2020, la variante lambda dal 14 giugno di quest’anno rientra in quelle sottoposte a monitoraggio dell’Oms a causa della crescente diffusione, in particolare nei Paesi del Sud America: dal momento della comparsa il 31% in Cile, il 9% in Perù, l’8% in Ecuador, il 3% in Argentina.

A destare attenzione è soprattutto la recente accelerazione: nel mese di aprile, in Perù, l’81% dei campioni virali sequenziati conteneva la variante lambda. In Cile, negli ultimi 60 giorni, il 32%: un livello ormai simile a quello della variante gamma (ex brasiliana) che dopo essere stata a lungo prevalente è ora scesa al 33%. Nella variante lambda si sono concentrate numerose mutazioni della proteina spike, che lasciano spazio a ipotesi di una maggiore trasmissibilità e resistenza agli anticorpi. Insomma, il Sars-CoV-2 non muta spesso, ma quando lo fa riesce a ottenere risultati importanti. La variante DG614, circolata in Europa nel 2020, era del 56% più trasmissibile rispetto al ceppo originario di Wuhan. La variante alfa (ex inglese, o del Kent) comparsa a fine 2020 del 40% più trasmissibile rispetto alla DG614. La variante delta (ex indiana) dai primi studi sembra essere del 40% più trasmissibile della variante alfa. Un miglioramento continuo nella capacità diffusionale del virus che allontana sempre di più il termine della epidemia.

Nonostante la diffusione delle vaccinazioni siamo nel mondo ancora molto lontani almeno dal traguardo dell’immunità di gregge, che permetterebbe alla malattia di circolare ancora ma di diventare endemica, con bassa incidenza e pericolosità.

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