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La Rivista di Bergamo, da un disegno di Leonardo ai venti lenzuoli di artisti bergamaschi

È in edicola in questi giorni il nuovo numero de La Rivista di Bergamo edita da Grafica & Arte. Per gentile concessione dell'editore pubblichiamo l'editoriale di Fernando Noris.

È in edicola in questi giorni il nuovo numero de La Rivista di Bergamo edita da Grafica & Arte. Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo l’editoriale di Fernando Noris.

SI PARVA LICET…
Se è ancora lecito scrivere o parlare di cose che attengono a ordini di grandezza diversa, si potrebbero citare tre recenti situazioni, che hanno rivelato il comune ricorso all’uso di un tessuto.

Una recente pubblicazione ha ricordato un disegno di Leonardo del Louvre (tra i molti altri): un disegno senza un soggetto particolare, un disegno in cui si intravede, senza vederla, una figura umana, intuibile solo da tracce di anatomia mimetizzata. Un disegno in cui, come è stato scritto, vibra una vita che non è facile incontrare nemmeno nei corpi vivi della vita di ogni giorno. Questa e altre sottolineature sul disegno leonardesco hanno concorso a orientare la nostra attenzione sull’apprezzamento del racconto di una assenza. Lo aveva già scritto Attilio Bertolucci quando aveva evocato una assenza come più acuta presenza. Il disegno leonardesco si regge tutto sulla forza narrativa e magica di un respiro sottinteso, misterioso e quindi ancora più forte di un corpo soltanto immaginato.

La seconda avventura da citare, davvero notevole, è quella dell’impresa promossa in Val Gandino dal Comune di Peia, d’intesa con molti altri qualificati protagonisti, sulla realizzazione di una copia 1:1 della Sacra Sindone di Torino. Dall’aprile 2020 si è proceduto alla locale coltivazione del primo campo seminato a lino, con selezionati semi simili a quelli usati in Palestina. Una coltura inedita, cui hanno fatto seguito complessi e accurati processi di raccolta, di filatura, di tessitura, tra trama e ordito, di trattamenti, e di stampa ad altissima risoluzione dell’immagine del corpo deposto. Un progetto di rilevanza mondiale, tra fede, devozione, ma anche di tradizione dell’eccellenza dell’arte tessile bergamasca (informazione completa in www.linovalgandino.com). E anche in questo caso, si è potuto riflettere sulla superstite memoria, evocata da un tessuto, di un passaggio trasmigrato altrove.

Terza vicenda è quella presentata da Maurizio Bonfanti (pag. 34) a proposito della mostra che Nembro ha voluto dedicare a sé, e a quanti le hanno voluto bene, nel primo anniversario della pandemia tra 2020 e l’anno in corso. Venti lenzuoli, prodotti da fornitori di ospedali e case di cura, sono stati affidati alla creatività di altrettanti artisti. Ne è scaturita una sequenza quasi filmica, nell’alternanza di inquadrature intense come le pagine d’una silloge di poesia visiva. Pittori e scultori si sono confrontati con il vuoto di un grande spazio bianco (m. 1,95×1,25) per dire qualcosa dei molti spazi vuoti, che la coscienza collettiva, e individuale, ha avuto a patire nei lunghi ultimi mesi. Non un esercizio di protagonismo artistico individuale, ma una corale testimonianza sul valore emblematico dell’esperienza di molte assenze, evocate in tutta la loro forza di parola. Al di là della contingenza storica, che ha positivamente contribuito a motivare l’iniziativa di Nembro, la coincidenza di tutte e tre queste espressioni culturali si è posta, e si pone, come la narrazione d’un intenso contenuto simbolico, in grado di sublimare il supporto tessile coinvolto, nobilitandolo come soggetto-oggetto della stessa rappresentazione artistica. Nella sua dimessa semplicità e nel mistero della sua allusività tutta da scoprire, la testimonianza silenziosa del tessuto si è configurata come elemento di una riflessione su come una semplice “cosa” possa aprirsi a letture impensate e imprevedibili, se artisticamente elaborata. L’elogio dell’assenza riferibile ai tre racconti citati, tra le pieghe di trama e ordito, esalta infatti un diverso modo di essere, di pensare, di relazionarsi, di lasciare tracce. Un modo apparentemente discreto, non vociante come certo presenzialismo del nostro tempo, ma intenso per le riflessioni che induce, per le profondità cui rimanda. Un semplice panneggio leonardesco, una sindone, un lenzuolo replicato in venti versioni. Giusto quindi che il presente numero proponga il racconto di Maurizio Bonfanti sulla esposizione di Nembro.

Storie di altre impronte materiali, recuperate a nuova vita, sono quelle presentate nell’articolo di Pietro Tosca sul lavoro dei restauratori Marcello e Paolo Bonomi, dal Cenacolo di Leonardo in avanti: recuperi e valorizzazione di importanti cicli e di prestigiose opere, nella ricomposizione di molti tasselli del tessuto culturale della nostra storia; e altre impronte ancora, più remote nel tempo, quelle conservate, e fatte conoscere, nel Museo Archeologico delle Grandi Opere di Pagazzano, con le loro affascinanti e misteriose narrazioni di vita quotidiana degli abitanti di migliaia di anni fa (ne scrivono Stefania De Francesco e Cristina Longhi). Più vicine a noi nel tempo, le contemporanee impronte dei reportages fotografici di Andrea Badoni, che ha lasciato, e lascia, impronte di avvenimenti, campagne pubblicitarie, personaggi, architetture e racconti visivi di grande coinvolgimento (testo di Lorenzo Carli).

Anche una città come Treviglio può essere ricordata per le impronte lasciate nelle cartoline d’epoca (“il seme vivo di una comunità”, tenerissimi oggetti caduti in disuso a fronte di messaggini mordi e fuggi). Se ne scrive nell’articolo di Marco Carminati e Vincenzo Mazzoleni.

Chiudono il numero le pagine dedicate alla Scuola di Bergamo, fitte di riflessioni sulla condizione “errante” degli artisti del nostro tempo. L’auspicio formulato è quello di rivedere, presto e concretamente, l’arte tornare a convivere con gli spazi quotidiani delle nostre vite. Seguono le rubriche con il puntuale dettaglio di attività e iniziative, finalizzate anche a offrire la disponibilità della Associazione in previsione del 2023, anno della cultura tra Bergamo e Brescia.
Mauro Pellicioli, Pino Pizzigoni e Giovanni Battista Galizzi vengono ricordati, con altrettante citazioni (rispettivamente del 1931, 1932 e 1926) nella rubrica “C’era una volta la Rivista di Bergamo”. Personaggi con ordini di grandezza sempre attuali nei rispettivi campi.

Fernando Noris

Generico giugno 2021

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