• Abbonati
L'udienza di venerdì

Ubi e le accuse a Bazoli, la difesa: “Convinzioni del pm, infatti Banca d’Italia non si è presentata”

La lunga replica - non ancora conclusa - del legale di uno dei nomi grossi dell'inchiesta sulla fusione tra BPU e Banca Lombarda e Piemontese. Gli avvocati di Calvi e Breno chiedono l'assoluzione

“L’indagine si basa su una convinzione del pm, ma non ci sono prove di quello che è emerso”. Non usa mezze parole l’avvocato Stefano Lojacono per difendere Giovanni Bazoli, a processo in seguito all’inchiesta della procura di Bergamo sulla nascita – nel 2007 – di Ubi Banca, in particolare riguardo la fusione tra la BPU Banca – Banche Popolari Unite e Banca Lombarda e Piemontese. All’origine di quell’accordo, secondo l’accusa coordinata dal sostituto procuratore Paolo Mandurino, ci furono da una parte un ostacolo alle autorità di vigilanza (Banca d’Italia e Consob) e dall’altra l’influenza illecita sulle decisioni dell’assemblea.

Fautori di quell’unione secondo il magistrato furono Emilio Zanetti (al vertice di Bpu) e proprio Bazoli, legato all’anima bresciana della Banca Lombarda ed ex presidente del Banco Ambrosiano, “nominato a 50 anni dopo l’era Roberto Calvi, non uno qualsiasi” come ha ricordato il suo legale, con a fianco lo stesso imputato, presente nell’aula di Piazza Dante insieme alla figlia Francesca, anch’essa coinvolta nell’inchiesta.

“Secondo l’ipotesi investigativa dal 2009 al 2015 ci sarebbe stato un ostacolo alla vigilanza di Banca d’Italia, quindi per sei anni avremmo avuto una gestione illecita della terza banca italiana” l’introduzione di Lojacono di fronte alla Corte presieduta dal giudice Giovanni Storto.

“I processi non si fanno considerando le qualità personali degli imputati, ma ci sono dei dati che bisogna tenere presente in base ad accusa e codice penale, che tra l’altro dà spazio proprio a questo. Da quasi 50 anni il mio assistito è ai vertici del sistema bancario italiano. Ha creato la più grande banca del nostro Paese (Intesa, Ndr) e ne è ancora presidente emerito”.

“In me c’è un senso di stupore – attacca la difesa di Bazoli – , perché sappiamo che in questo processo in cui si prospetta un ostacolo alla vigilanza di Banca d’Italia, quest’ultima non c’è. E non è un’assenza da poco. Ha scelto lei di non esserci e non è presente nemmeno come persona offesa . Ci sarà stato un iter decisorio, al termine del quale si è ritenuto di non presentarsi. Per me questo è significativo sull’entità del presunto reato”.

Poi Lojacono si volta a sinistra, dove è seduto il pm, che ha chiesto 6 anni e 8 mesi per Bazoli: “Nella requisitoria ho notato un difetto, il metodo. Chi ha indagato è partito da una convinzione di questo fatto. Una convinzione personale, sulla scarsa bontà delle regole per la fusione. Secondo il pm quell’assetto doveva cambiare e anche velocemente. Ma anche questa è una sua convinzione. Non ci sono prove, così come non ce ne sono su nulla di ciò che ha rappresentato. Su ogni cosa bisogna fare un ragionamento. Non c’è per esempio un contratto che testimonia il patto di cui tanto si parla”.

“Il pm inizia la sua discussione interpretando, come dice lui stesso, il documento in cui Banca d’Italia direbbe a Bpu che c’erano ancora influenze delle due banche. Ma è impossibile, non c’era ancora Ubi – prosegue l’invettiva dell’avvocato all’accusa – Banca d’Italia in realtà dice che attuerà una vigilanza particolarmente attenta”.

“Questo processo starebbe in piedi se per quattro anni si fosse disinteressata di Ubi, ma nella lettera del 30 gennaio 2007 dice esattamente il contrario e cioè che vigilerà in particolare sull’assetto della governance. Un assetto che conosceva in modo approfondito, perché Bpu il 24 novembre 2006 ha inviato il protocollo d’intesa con tutti i principi costituzionale di Ubi, in allegato all’istanza di autorizzazione per costituirne un unico corpo, insieme al regolamento del comitato nomine”, chiude Lojacono, che proseguirà la sua replica nella prossima udienza.

La procura ha invece chiesto cinque anni e una multa da diecimila euro per l’avvocato Giuseppe Calvi, ex vice presidente vicario del Cds. Ma il suo avvocato, Emilio Gueli non ci sta: “Abbiamo assistito a una manipolazione dei fatti – le parole di Gueli – ,queste persone hanno sempre agito con coscienza. Ci sono una serie di interpretazioni che parlano sempre e solo di malaffare, ma Giuseppe Calvi è da decenni un avvocato con la a maiuscola in questa città, conosciuto per la sua onestà e la sua correttezza. E si è quindi guadagnato un meritato rispetto”.

“Le indagini preliminari non hanno evidenziato macchie sulla sua condotta, ma solo illazioni gravi che lui ha sempre respinto con fermezza. Per questo – conclude Gueli –chiedo l’assoluzione del mio assistito”.

Secondo l’accusa, che per lui ha chiesto un anno e mezzo, Rossano Breno avrebbe raccolto una serie di deleghe in bianco per favorire all’assemblea di Ubi del 20 aprile 2013 la vittoria della lista 1 (quella di Andrea Moltrasio), sulla 3 di Andrea Resti e sulla 2 di Giorgio Jannone, che con i suoi esposti fece partire le indagini. “La vera battaglia non era tra le tre liste , ma era banca del territorio oppure no – spiega il suo avvocato, Pietro Biancato – . Ci sono un certo numero di deleghe firmate senza l’indicazione del delegato, ma non c’è la prova del fatto vero. Breno non ha partecipato alla raccolta delle deleghe e non ha mai dato indicazioni in tal senso. Durante le indagini molte persone che andavano ascoltate non sono state sentite. Solo così avremmo avuto in mano numeri attendibili. Per questo si chiede l’assoluzione”.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI