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Elav compie 18 anni e torna “alle origini” coltivando le proprie materie prime

Nato nel 2003, il marchio ha avuto la svolta sette anni più tardi quando è iniziata la fortunatissima esperienza del birrificio indipendente a Comun Nuovo.

Nato nel 2003, il marchio Elav è entrato da subito nel quotidiano dei bergamaschi: la creazione di Antonio Terzi e Valentina Ardemagni, che insieme tre anni prima avevano assunto la proprietà del Clock Tower Pub di Treviglio, ha infatti incontrato immediatamente il gusto e la filosofia degli amanti della birra, già da quando la produzione per i propri locali era in capo a terzi.

La svolta è arrivata nel 2010, quando è iniziata la fortunatissima esperienza del birrificio indipendente a Comun Nuovo: un piccolo impianto da 300 litri, dove nascono i cavalli di battaglia che ancora oggi sono le produzioni più rappresentative di Elav.

Birre equilibrate, da pub e da grandi bevute, dal facile abbinamento e che anche per quest’anno hanno avuto la conferma della prestigiosa chiocciola di Slow Food. Birre che hanno fatto il giro del mondo, in Europa ma anche a New York o Taiwan.

Con l’emergenza sanitaria dovuta al Covid, la strada di Elav è andata con ancora maggior decisione in una direzione già intrapresa nel 2015 con la nascita dell’omonima società agricola: verso la voglia di ritornare alla territorialità e alla produzione delle materie prime.

“Il rapporto con la nostra terra si è senza dubbio rafforzato nell’ultimo anno – spiega Valentina Ardemagni – Abbiamo continuato a vendere online, portando poi noi in prima persona i prodotti di casa in casa. Già con il luppoleto in val d’Astino avevamo manifestato la nostra volontà di impegnarci nella produzione agricola, alla quale quest’anno si è aggiunto l’orzo col quale faremo il malto. Una nuova visione, ma anche una nuova necessità di sostenibilità. Saremo più attenti alla coltivazione, collegata anche alla nostra location estiva: la Cascina Elav è un luogo che ci piace moltissimo”.

Scelte che inevitabilmente porteranno a una contrazione delle produzioni, senza prescindere dalle birre “core”: “Ma ci saranno anche la ‘Odissea’, nata durante il primo lockdown e rimasta poi in birrificio a ‘meditare’ prima di essere messa sul mercato. Le nuove produzioni sono necessarie, ci saranno sempre nuove etichette oltre ai grandi classici. Perché la ricerca e i nuovi gusti sono sempre una necessità del birraio, fanno parte del nostro estro lavorativo”.

Dall’altro lato, però, la svolta agricola porterà un valore aggiunto non indifferente: “Materie prime di diretta coltivazione e produzione – continua Valentina – Ci sarà più tempo per approfondire e sviluppare prodotti nuovi e particolari. La nostra filosofia ideale è proprio questa, produrre tutto con le nostre mani, e siamo felici di far parte di un movimento birraio che sta riscoprendo questi valori. Nel nostro piccolo vogliamo spronare a essere parte di una ripartenza sana, dal basso. Perché i piccoli artigiani non devono abbattersi, ma fare la loro parte per ridare vigore all’economia”.

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