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L'intervista

AstraZeneca e le trombosi, Remuzzi: “Rarissime, ma ai giovani diamo altri vaccini” video

Il Direttore del Mario Negri: "Se la disponibilità è adeguata, meglio scegliere per loro un vaccino a mRNA". Contro queste complicazioni ci sono terapie: "Alte dosi di immunoglobuline, cortisone e anticoagulanti diversi dall’eparina. Così, se si prendono in tempo, per quanto temibili si possono curare"

Riflettori nuovamente puntati in Italia sui casi di trombosi rare associate ad AstraZeneca.

Il Comitato tecnico-scientifico sta valutando un nuovo parere – che sarà restrittivo rispetto alle indicazioni fornite finora – sull’uso del preparato sui giovani.

Una decisione delicata, attesa all’indomani della morte di Camilla Canepa, la 18enne di Sestri Levante ricoverata domenica a Genova con una gravissima trombosi al seno cavernoso e conseguente emorragia cerebrale. Due settimane prima, il 25 maggio, aveva ricevuto il vaccino AstraZeneca dopo aver partecipato all’open day’.

Sull’argomento abbiamo sentito il parere di Giuseppe Remuzzi, Direttore dell’​Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri.

Professore, cosa pensa delle recenti discussioni legate alla somministrazione del vaccino AstraZeneca ai giovani?

Parliamo di vaccini a vettore virale associati a rarissimi casi di trombosi. Di questo si sono accorti per primi i ricercatori tedeschi. In Inghilterra, dove è stato utilizzato soprattutto il vaccino AstraZeneca, è successo a 309 donne su 37,5 milioni, lo 0,0008%. Una probabilità piccola per qualunque attività umana. Per fare un esempio, se uno prende l’autostrada ha molte più probabilità di incappare in un incidente. Il problema è che questo succede a donne giovani, in età fertile, che hanno in generale tra i 20 e i 40 anni, allora le probabilità se ristrette a questa fascia d’età diventano un po’ di più. È dunque condivisibile evitare AstraZeneca nei giovani, che hanno meno probabilità di ammalarsi gravemente di Covid. Soprattutto nelle donne in età fertile, per loro è meglio procedere con Pfizer.

Perché nelle persone con più di 60 anni, questa complicazione con AstraZeneca si è osservata di meno?

Potrebbe essere una questione di reattività del sistema immune. Ma gli anziani possono anche correre il rischio, perché di fronte a un’infezione da Covid-19 c’è una possibilità molto più alta di finire in ospedale o addirittura morire. Per le donne giovani che infettandosi rischiano poco o nulla, bisogna essere molto prudenti. E, se la disponibilità di vaccini è adeguata, meglio scegliere per loro un vaccino a mRNA. Dove non ce ne sono abbastanza, meglio qualunque vaccino che nessun vaccino.

Anche l’Agenzia del Farmaco ha raccomandato l’impiego di questi preparati per gli over 60. Raccomandazione che spesso non viene rispettata, perché?

Partiamo col dire che una raccomandazione non è un’indicazione precisa. Alcuni dati pubblicati sulla rivista Science dimostrano che in Inghilterra la possibilità di avere complicazioni serie trombotiche tra i 20 e i 29 anni è pari a 1,1 su centomila. Nella stessa fascia d’età, c’è una probabilità di avere una complicazione da Covid che da 0,8 su centomila arriva a 6,9 su centomila. Questi valori però possono cambiare in rapporto al grado di attenzione alle misure di protezione individuale: ovvero l’utilizzo corretto della mascherina, il rispetto delle distanze e la sanificazione delle mani. La complicanza da Covid-19, per quanto rara in questa fascia d’età, si può evitare stando attenti; la trombosi invece non dipende dal nostro comportamento. Quindi, prudenza vuole che se si ha la disponibilità di usare un vaccino alternativo per queste fasce d’età, meglio privilegiare quello.

Secondo lei, si è scatenata una sorta di gara tra regioni a chi fa più vaccini?

Se vogliamo arrivare a vaccinare ogni giorno 700 mila persone è normale che ci sia uno spirito di competizione fra regioni. È un fatto comunque positivo, una specie di gara per la salute. Perché vaccinare significa avere meno malati gravi e meno morti. Ad ogni modo, non credo che siano state date delle dosi di AstraZeneca perché andavano smaltite: abbiamo ancora un 50enne su due non vaccinato, e abbiamo il 10% dei sessantenni ancora da raggiungere. Inoltre, ci sarà sempre una percentuale di pazienti anziani che non vuole farsi vaccinare. Solo quando saremo arrivati a vaccinare l’85-90% degli adulti avremo davvero messo in sicurezza il nostro sistema sanitario nazionale.

Ad oggi, cosa sappiamo delle complicazioni trombotiche?

Il New England Journal of Medicine ha appena pubblicato uno studio condotto su alcuni pazienti che ci racconta molto di queste complicanze. L’averle studiate ci permette di conoscerle meglio, di sapere perché si verificano e di conseguenza come agire, come curarle. Ora sappiamo che queste particolari trombosi sono originate da anticorpi che legano il ‘Pf-4’ (fattore liberato dalle piastrine) complessato con polianioni del DNA. Da questa circostanza un po’ difficile da spiegare alla gente, mi rendo conto, si arriva alla trombosi con piastrinopenia che colpisce a volte il cervello a volte le vene dell’addome. La cosa importante è che adesso abbiamo una cura: alte dosi di immunoglobuline, cortisone e anticoagulanti diversi dall’eparina. Così, se si prende in tempo, questa complicanza, per quanto temibile, si può curare.

In questi giorni si sentono notizie che in alcune persone possono instillare alcuni dubbi sul vaccino. Cosa direbbe ad un giovane indeciso?

A me sembra che i giovani stiano rispondendo molto bene. Sarà la voglia di andare tranquilli in vacanza, ma tantissimi stanno andando a farsi vaccinare. Agli altri suggerisco di guardare i dati di Inghilterra e Israele. Ma anche i nostri, da quando è iniziata la campagna vaccinale. In Pronto Soccorso si vedono sempre meno pazienti Covid-19 in questi giorni. Il che non vuol dire che le cose non possano cambiare tra quindici giorni…

 

 

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