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Il libro

“Il diario di Rodrigo Diaz”, un’anima vagante e l’Atalanta di ieri e di oggi

Siamo a Fara d'Adda, Oratorio San Luigi e Sant'Agnese messo a disposizione gentilmente dal curato per la presentazione di un libro, perché l'autore Stefano Colnaghi vive a Fara, anche se per tutta la serata la domanda più frequente è: è lui o non è lui, Rodrigo Diaz?

L’atmosfera è quella un po’ d’altri tempi: un Oratorio della Bassa che sembra la casa del Mondo, quello di Rivolta d’Adda dove Emiliano Mondonico organizzava partite di calcio con ragazzi che altrimenti si sarebbero persi in strani giri. Qui lo strano è rivedere gruppi di bambini che giocano, persone che chiacchierano tranquillamente. Di nuovo insieme, un bel ricominciamo fuori dal tunnel della pandemia. E anche un buon gruppo di persone sedute ad ascoltare la storia di un libro, “Il diario di Rodrigo Diaz“, che un po’ racconta anche di calcio visto che il sottotitolo è ‘Atalanta e altri incidenti‘.

Nerazzurra è la copertina del libro, edizioni Bolis, con la farfalla che (sarà un caso ma non lo è) è la Vanessa Atalanta, colorata anche lei (naturalmente) di nerazzurro.

Siamo a Fara d’Adda, Oratorio San Luigi e Sant’Agnese messo a disposizione gentilmente dal curato per la presentazione di un libro, perché l’autore Stefano Colnaghi vive a Fara, anche se per tutta la serata la domanda più frequente è: è lui o non è lui, Rodrigo Diaz? Certo che è lui, risponderebbe l’autore della postfazione, Pier Carlo Capozzi: “Stefano, all’età di vent’anni, si regala un viaggio che segnerà il suo futuro. Due settimane intorno a Pamplona, terra di tori e di Miguel Indurain, dove Colnaghi ambienta la cascina del Tio, punto di riferimento e di ristoro spirituale per il nostro Rodrigo”.

Ma l’Atalanta? C’entra, eccome.

Perché Rodrigo, anima vagante, fa tappa in giro per l’Europa nei luoghi delle sfide europee dei nerazzurri, da Istanbul a Sarajevo, a Zagabria. È un’anima vagante e un’anima in pena, appunto, per l’Atalanta: battute e ricordi si intrecciano tra le storie amorose (niente di autobiografico, precisa l’autore), gli anni dell’Atalanta pane e salame che lottava per salvarsi e però arrivò alla semifinale europea col Malines e il presente, le notti magiche in Champions, come entrare in un’altra dimensione a cui sembra non credere lo stesso Rodrigo.

Con dialoghi tipo: “Anno fantastico per la tua Atalanta”. “Irripetibile”. “Eppure mi sembri un po’ malinconico”. “Ho quasi paura che finisca, quest’anno incredibile. Che questa notte si porti via tutto”. Atalanta sempre presente nei viaggi di Rodrigo, che ricorda: “Tra un bicchiere di ‘orujo de hierbas’, di cui mi rendevo conto di abusare e uno di Cesilla, mi rivedevo i gol di Ilicic. I tunnel del Papu. Le sgroppate di Gosens. Quelle di Hateboer. Le rasoiate di Muriel. E le sportellate di Palomino…”.

C’è il Tio che gli ricorda “Mola mia” perché l’ha imparato “dai tuoi amici bergamaschi”, ma c’è anche un capitolo dedicato a Cristiano Doni, intervista che l’autore ci tiene a precisare essere vera, uno dei passaggi non romanzati del libro.

Dove si racconta anche la passione per il ciclismo, del protagonista (ma anche dell’autore) cresciuto nella terra di Indurain, che El Tio si augurava “potesse fare una carriera come quella di Gimondi. Costruita sulla fatica e sulla forza di volontà. Si augurava che fosse prima uomo che campione, come Gimondi. Di pedalare prima con la testa e poi con le gambe, come Gimondi. Di diventare un campione perbene, come Gimondi. Di tornare a essere un uomo come gli altri, una volta terminata la carriera, proprio come Gimondi. E, come Gimondi, di non dimenticare mai da dove si era partiti”.

In un clima molto familiare, all’Oratorio di Fara tra amici (c’è anche l’editore Cesare Longhi), Colnaghi torna idealmente ai luoghi di Rodrigo, incalzato dalle domande di Pier Carlo Capozzi, Leonardo Bloch, Stefano Corsi e accompagnato dalle letture di Piero Zacchetti. Tra le avventure della Dea e quelle sentimentali di Rodrigo: la farfalla della copertina, in realtà è un tatuaggio sulla clavicola del suo amore, Charo. “Su quella piccola farfalla che né lei né io, fino ad oggi, sapevamo si chiamasse Vanessa Atalanta”.

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