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Il 3 giugno

Giornata mondiale della bici: la vittoria di Nibali e il ricordo di mio nonno

Nel 2014 Vincenzo Nibali tornò in patria con la maglia gialla dopo una vittoria ricca di emozioni e proprio dalla sua impresa nasce il ricordo indelebile di una nipote verso suo nonno

Quell’anno si sentiva solo un nome, quello di un ragazzo siciliano: Vincenzo Nibali. Era il 2014 e il ciclista non aveva ancora trent’anni – li compirà il 14 novembre di quello stesso anno- e correva in sella alla sua bicicletta da una parte all’altra della Francia; era imbattibile.

Con 3664 km da percorrere e 128 corridori al via, si rappresenta forse il valore di questa competizione che richiama appassionati e atleti da tutto il mondo, dalla Norvegia al Giappone, passando per Nuova Zelanda, Canada e Kazakistan.

Nibali, già maglia gialla, conquistò la seconda tappa a Sheffield con uno scatto notevole di 1800 metri dall’arrivo. Sono solo due i secondi di vantaggio da Froome e Contador.

Dopo alcuni giorni incerti, tornò sul podio a La Planche des Belles Filles.

Nonostante il successo finale fosse ormai in cassaforte, sugli Champs-Elysées si respirava ancora un certo fermento fra i francesi, mentre i cuori degli spettatori schierati lungo le transenne battevano all’impazzata nella speranza di veder spuntare da un secondo all’altro quell’italiano in mezzo a un gruppo variopinto che veloce sfugge via.

Avevano il cuore a mille; quell’anno un italiano li stava tenendo col fiato sospeso. “Sarà quel ragazzo di Messina a vincere?” si domandavano in molti. Per qualche istante quel dilemma me lo sono portata dentro pure io.

Ho sempre trovato stupido guardare il ciclismo. Non vi è nulla di interessante, si vedono solo degli uomini strizzati in piccole tutine variopinte che sembrano inseguirsi concentrati e veloci.

Ancora più assurde trovavo le persone che andavano a schiacciarsi sui guardrail per assistere a qualche secondo di pedalata.

Una volta viste queste saette lanciarsi sull’asfalto, cosa resta? Non si sa come la gara sia partita e non si sa come finirà. È un battito d’ali su una gara che dura un mese.

Non ho cambiato idea. Il ciclismo non mi piace ancora, forse non mi piacerà mai, ma ha creato dentro di me un ricordo indelebile.

Quell’estate diluviava. Non smetteva mai di piovere e più che sentirsi da qualche parte in Nord Italia, mi sentivo in Sud America nel periodo delle grandi piogge. Avevo la testa piena di quei problemi che solo una quindicenne ha, avevo un sacco di insicurezze e gran poche certezze. Tra queste c’era il fatto che non mi interessava se Nibali avrebbe vinto o meno.

Alzo la testa, mio nonno sorride. Avevamo passato la sua ultima estate insieme, io, lui e la sua bombola d’ossigeno. Avevamo guardato ogni tappa di Nibali.

Mentre il prato diventava sempre più verde per la pioggia che cadeva, il sorriso di mio nonno per la vittoria del ciclista siciliano rimarrà inciso in modo indelebile nel libro del mio cuore.

Sorrisi anche io e per un attimo tutte quelle paranoie a cui riesci a pensare quando hai quindici anni scomparvero.

Avevamo passato un mese a guardare le tappe del Tour de France e io nemmeno mi ero accorta del tempo che passava, di quegli ultimi granelli della clessidra, che è il destino, mi aveva concesso con mio nonno.

Quella sera cucinammo la pasta al pomodoro, ci sedemmo al tavolo, mi guardò e si versò il solito mezzo bicchiere di vino.

Lui amava il ciclismo, chissà mai perchè, ma in quel momento, inforcando una generosa porzione di pasta, esordì dicendo: “Certo che la pasta è meglio del ciclismo”.

Tutt’oggi ogni volta che mangio la pasta penso a questa frase, ma dentro di me so che l’ho sempre pensato, anche prima che Nibali vincesse.

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