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Covid

Variante indiana, Palù: “Non preoccupa l’Italia, va bene distanziare le due dosi del vaccino”

Il presidente dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) Giorgio Palù, in un'intervista a Rainews24, spiega che l'incidenza in Italia è “meno dell’1%”.

Attenzione alta, ma per ora non sembrano esserci grandi preoccupazioni in Italia per la variante indiana del Covid, quella che invece sta creando problemi seri in Inghilterra. Il presidente dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) Giorgio Palù, in un’intervista a Rainews24, spiega che l’incidenza in Italia è “meno dell’1%”.  E insieme il virologo sottolinea la correttezza della decisione delle autorità sanitarie di allungare il tempo che intercorre tra la prima e la seconda somministrazione dei vaccini a mRna, come Pfizer e Moderna, spiegando di aver “distanziato la seconda dose in base alla risposta clinica e immunitaria”. La decisione di “portare” l’intervallo per “i vaccini a mRna a 42 giorni – ha aggiunto – è stata presa in maniera razionale e non perdiamo niente”. Mentre “per AstraZeneca fino alla dodicesima settimana si ha ancora una risposta ottimale”.

La variante indiana, che è molto contagiosa, prosegue Palù, “in Gran Bretagna non è ancora dominante. Il virus evolve. Gli inglesi sono più attenti e se ne accorgono rapidamente, sequenziano il 50% degli isolati virali, noi meno dell’1%. Questa variante è ancora più attrezzata per contagiosità e quindi si diffonde, per il momento sono solo cluster. E in Gran Bretagna ci sono molti indiani”.

Nessun collegamento, quindi, tra la diffusione della nuova mutazione e la decisione del Regno, che in questo è stato un precursore, di distanziare le dosi.

Il presidente dell’Aifa spinge sull’uso degli anticorpi monoclonali che, spiega, risultano essere molto efficaci sui pazienti affetti da Covid, se usati con le tempistiche giuste: “Dei casi Covid che necessitano di cura, negli Stati Uniti se ne trattano con gli anticorpi monoclonali il 5%, da noi meno dell’1%. E questi farmaci sono efficacissimi se dati nelle prime 72 ore dalla diagnosi e dall’esordio dei sintomi perché neutralizzano l’infezione sul nascere, non quando i sintomi sono eclatanti”.

Il motivo per cui in Italia non si riesce ad aumentare l’uso di questi farmaci, aggiunge, è una questione “soprattutto logistica”: gli anticorpi monoclonali si somministrano tramite una “infusione endovenosa che necessita di 40-50 minuti e di un’ulteriore osservazione per eventi avversi. La buona notizia è che adesso saranno disponibili dei monoclonali molto potenti e che si possono somministrare anche per via intramuscolo. Quindi è importate che queste terapie vengano utilizzate, ma nel punto giusto al momento giusto, che possa essere il medico di medicina generale a curare direttamente questi casi. È fondamentale per non intasare gli ospedali”.

Intanto in Gran Bretagna la diffusione della variante indiana, molto più contagiosa, non fa dormire sonni tranquilli al premier britannico Boris Johnson. Anche se, nonostante la diffusione del virus, bisogna ancora capire quale siano le conseguenze cliniche effettive. Non è infatti chiaro se, nonostante la diffusione della variante, questo si traduca in un aumento considerevole dei ricoveri e delle forme gravi. Per la prima volta da gennaio l’Rt in Inghilterra è tornato a superare 1. I contagi dovuti alla variante indiana sono raddoppiati nel giro di una settimana, sollevando dubbi sul possibile rinvio delle ultime fasi del piano di riaperture impostato dal governo di Boris Johnson.

Nonostante le rassicurazioni del governo che lega l’aumento dei contagi alla copertura dei vaccini (come è noto nessun vaccino copre al 100% dal rischio del contagio). In ogno caso il numero di contagi legati alla variante indiana del coronavirus nel Regno Unito è aumentato di più del 160% nell’ultima settimana. Emerge dai dati dell’agenzia statale PHE -Public Health England, secondo cui nel Paese si contano 3.424 casi legati alla variante, contro i 1.313 di giovedì 13 maggio.

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