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La riflessione

Il 17 maggio, giornata internazionale contro l’omofobia, diventi il 25 aprile dell’amore

Il DDL Zan è una legge di civiltà, che non dovrebbe spaccare il mondo politico perché l’amore non ha alcuna bandiera ideologica né una tessera partitica.

Sono ben 70 i Paesi nel mondo dove essere omosessuale è illegale.

Il report 2019-2020 di Amnesty International sull’omotransfobia è chiarissimo: c’è un problema. La storia del 20enne iraniano Alireza Fazeli-Monfared ne è la dimostrazione. Qual è stata la sua unica colpa? Nascere in uno Stato in cui l’amore libero è punito con la morte. In Paesi come il Ghana, la Sierra Leone, la Tanzania, l’Uganda, la Nigeria, il Senegal le discriminazioni sono tante, troppe.

Il codice penale senegalese, ad esempio, punisce con 5 anni di reclusione e una sanzione pecuniaria chiunque abbia rapporti con individui dello stesso sesso. La Turchia di Erdogan, che negli ultimi anni ha intrapreso un processo illeberale verso un periodo oscurantista in termini di diritti civili, sociali e politici, ha dispiegato le forze armate per sopprimere i Gay Pride e le marce per l’orgoglio omosessuale. Anche il populismo polacco se la prende con le minoranze, dando origine a zone “LGBT free”, come se l’omosessualità si potesse in qualche modo cancellare, come se il gender fosse il male dei nostri giorni, come se l’amore fosse pericoloso per qualcuno.

L’articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è chiaro: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.

Ma quale fratellanza potrà mai esserci in un Paese che discrimina l’altro perché si arroga il diritto di amare chicchessia? Quale fratellanza potrà mai esserci in un Paese che uccide l’altro perché omosessuale, bisessuale, o transessuale? Quale fratellanza potrà mai esserci in un Paese che tortura, discrimina, ghettizza, deumanizza e isola l’altro? L’odio verso una “categoria” non è altro che il risultato di una visione distorta della realtà. Perché una persona dovrebbe giudicare un essere umano che cerca di conquistare un briciolo di felicità in un mondo già sufficientemente grigio? A che pro? Guardiamoci in faccia e diciamoci la verità: l’omosessualità, anche in Italia, è ancora un tabù.

Il 17 maggio ricorre la giornata internazionale contro l’omofobia. Esattamente 31 anni fa, il 17 maggio 1990, l’Organizzazione mondiale della salute eliminava l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali. E pensare che in Australia già nel 1984 venne approvato l’Equal Opportunity Act, volto a dare protezione dalla discriminazione a omosessuali, bisessuali e transessuali. Solo nel 2009 Barack Obama, l’allora Presidente degli Stati Uniti d’America, promulgò una legge contro i crimini d’odio fondati su l’orientamento sessuale, l’identità di genere, la disabilità, e il “gender”. L’articolo 8 della Risoluzione del Parlamento europeo del 26 aprile 2007 sull’omofobia in Europea invita gli Stati membri a proporre leggi che superino le discriminazioni subite da coppie dello stesso sesso, ma l’Italia aspetta da 25 anni l’estensione della legge Mancino, anche a causa dell’ostruzionismo dell’estrema destra e dei movimenti femministi radicali trans-escludenti.

Il DDL Zan è una legge di civiltà, che non dovrebbe spaccare il mondo politico perché l’amore non ha alcuna bandiera ideologica né una tessera partitica. Perché la violenza, oggi, è inaccettabile. Perchè viviamo in un Paese che non tollera la diversità, lo si evince dai tanti fatti di cronaca.

A Fano un 18enne di Pesaro è stato minacciato da un gruppo di ragazzi per via delle unghie smaltate e del ciuffo biondo. Malika, 22 anni, è stata cacciata di casa dai genitori perchè lesbica. Jean Pierre è stato aggredito alla metro di Roma perchè gay. Viviamo in un Paese che non ha ancora vietato le terapie di conversione, come se l’orientamento sessuale o l’identità di genere fossero dei peccati per i quali chiedere perdono. Come se l’amore fosse una malattia curabile.

Un Paese dove gli omosessuali vengono picchiati, insultati, additati, giudicati, ghettizzati, isolati, maltrattati, e categorizzati per chissà quale pregiudizio insito nella natura stessa dell’essere umano.

Spesso quella veemenza fisica visibile e documentabile viene accompagnata da una violenza verbale subdola ma altrettanto grave, che mina l’autostima di chi la subisce. Ricordiamoci che le parole hanno un peso checché se ne dica in televisione.

Il monologo televisivo, che tanto ha fatto discutere negli ultimi giorni, è un esempio acclarato di semplificazione di una realtà molto più complessa: andatelo a dire a un adolescente bullizzato dai compagni di classe che le intenzioni sono più importanti delle parole.

Nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di sdoganare termini offensivi, non curanti del peso e della gravità.

Fr***o, ricch***e, ne**o, tr**a: sono parole dure che feriscono e ghettizzano. Fanno sì che si crei una struttura di potere che eleva l’uno, distruggendo l’altro.

Io, eterosessuale, mi autoproclamo detentore del diritto di nominare, di categorizzare, e di normalizzare l’insulto sbandierando il politicamente corretto, l’ironia e il sarcasmo. Il linguaggio verbale amplifica la piramide dell’odio, perché non sono “solo parole”, ma armi capaci di distruggere emotivamente l’altro, giustificando inconsciamente la violenza verbale perpetrata nei confronti di persone che chiedono solo di essere accettate, di poter amare indipendentemente dall’odio insito nel nostro tessuto sociale, di poter essere semplicemente felici.

Perchè sono tante, ancora oggi, le denunce di omolesbobitransfobia, razzismo, misoginia, e abilismo. Ma sono troppe, invece, le violenze taciute per paura del giudizio altrui. Di quel dito puntato contro. Di quella violenza ormai scontata. Chiamando fr***o una persona che ama non fai altro che catalogare quell’amore, sminuendolo in quanto tale ed escludendolo socialmente. Ti poni su un gradino più alto, invece, chiamando ne**o una persona che ha semplicemente una carnagione differente dalla tua, generando una struttura di potere che colpevolizza il primo per la pelle, e promuove te stesso non si sa bene perché.

Ribadisco questo concetto: le parole hanno un peso. Possono ferire. Possono distruggere. Possono ledere l’altro. Le parole, così come le intenzioni, sono importanti. Il cantautore Michele Bravi lo ha detto chiaramente durante il “Concertone” del primo maggio: “In questi giorni si è parlato tantissimo dell’uso delle parole, qualcuno ha anche detto che l’intenzione è molto più importante delle parole che si usano. (…) Io uso le parole proprio per raccontare la visione creativa del mondo. Per me le parole sono importanti, tanto quanto le intenzioni. Le parole scrivono la storia, anche quelle più leggere possono avere un peso da sostenere enorme. (…) Io ci ho messo tanti anni a trovare le parole giuste per raccontare il mio amore per un ragazzo, e per me è un onore farlo adesso, qua, su questo palco, grazie a voi che avete ancora voglia di ascoltare gli artisti, e di dare il giusto peso alle parole”.

Lunedì a Bergamo, grazie al lavoro del comitato del “Bergamo Pride” e del tavolo contro l’omolesbobitransfobia del Comune, verrà inaugurata la panchina arcobaleno, come simbolo importante di una lotta verso l’equità e il rispetto.

Dovremmo trovare il coraggio di urlare al mondo quanto sia bella la libertà in tutte le sue forme, e al contempo dovremmo chiedere ad alta voce che il 17 maggio diventi il 25 aprile dell’amore libero per una società che possa essere realmente felice.

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