L'inchiesta

Il latte crudo non convince i bergamaschi: dopo il botto stanno scomparendo le “casette”

Nel 2010 erano 124, oggi sono 36: colpa di una campagna denigratoria nei confronti del latte crudo e di un forte aumento di consumi di prodotti industriali: "La gente preferisce la merce a lunga conservazione e finisce per acquistare bevande che non possono nemmeno essere definite latte"

Maurizio Merelli si alza di buon’ora tutte le mattine. Andare a rifornire il distributore di latte crudo che gestisce dal 2010 in via Alfredo Piatti, a Mozzo, è diventato ormai un gesto familiare. Quella casetta con la quale vende il prodotto direttamente al consumatore fa parte della sua quotidianità: “Ho alcuni clienti storici che a volte mi aspettano davanti al distributore per fare due chiacchiere – ci racconta l’allevatore -. Parliamo del più e del meno mentre attendo che le operazioni di scarico e carico del latte vecchio e nuovo siano finite. Se tengo ancora in vita quel distributore è per loro, i clienti più affezionati, che a volte mi telefonano anche alle dieci di sera per dirmi, dispiaciuti, che sono rimasti senza latte in quelle rare giornate in cui la riserva viene svuotata”.

Quella di Merelli, titolare dell’omonima azienda agricola di Curno, è una storia rara ormai: le casette che vendono il latte crudo in città e in provincia di Bergamo stanno scomparendo. Nel 2010, il periodo in cui fecero un vero e proprio botto, nella Bergamasca se ne contavano 124, gestite da 67 aziende agricole (64 produttrici di latte vaccino, tre di latte d’asina). Oggi, nell’anno 2021, i distributori automatici di latte crudo rimasti in città e in provincia sono 36, riforniti da 15 sole aziende (13 di latte vaccino, una di latte d’asina, una di latte caprino). In undici anni è rimasto solo un quarto delle casette di latte crudo che avevamo conosciuto negli anni d’oro del prodotto.

I motivi sono presto detti: “La gente trova più pratico acquistare il latte a lunga conservazione nei supermercati perché costa meno e dura molto di più – spiega Merelli -. Ma non capisce che ci perde in gusto, in qualità, in genuinità. La pandemia, poi, ha dato il colpo di grazia a tanti distributori, abbandonati dalle aziende e dai clienti: io stesso avevo pensato di chiudere il mio di Mozzo, ma è stato il sindaco Paolo Pelliccioli a chiedermi di restare, proponendomi l’uso gratuito dello spazio pubblico per tutto il 2020 e per tutto il 2021″.

Il latte crudo è quello appena munto, che non ha subito nessun trattamento (Getty)

“Una casetta – continua l’allevatore – oggi può vendere circa 30-40 litri di latte al giorno a 1.10 euro al litro. Può sembrare tanto, ma non lo è: l’industria a noi produttori paga un litro di latte poco meno di 0.40 centesimi, ma acquista in grandi quantità e viene a ritirare il prodotto direttamente in stalla. Mantenere il distributore, invece, costa parecchio: quasi mille euro di manutenzione ogni anno, ai quali vanno aggiunte le spese per l’occupazione del suolo pubblico, i costi dei test che devo obbligatoriamente fare con Ats una volta al mese e l’impegno quotidiano di recarmi sul posto per ritirare il latte non venduto e rifornire la casetta col prodotto nuovo, uno sforzo di circa un’ora al giorno. A tutto questo, poi, sommiamo i 30mila euro che mi è costato il distributore quando l’ho acquistato nel 2010”.

In Lombardia si produce il 40% di tutto il latte vaccino del Paese. La Bergamasca è una delle province più importanti del comparto lattiero caseario italiano: ospita più di 450 aziende agricole che praticano l’allevamento di bovine e di bufale. Gran parte del latte prodotto a Bergamo viene acquistato da Galbani e da Parmalat (la ex Lactis di Albano Sant’Alessandro) oppure – nella Bassa in modo particolare – impiegato nella produzione del Grana Padano Dop. Questo discorso non vale per le aziende delle valli orobiche, che usano la quasi totalità del latte munto dalle loro vacche (in molti casi d’alpeggio, quindi particolarmente pregiato) per la produzione di stracchini, formagelle e taleggi, piccoli gioielli del panorama caseario italiano.

Storico dei prezzi del latte crudo in Lombardia (dati CLAL)

Il latte oggi viene pagato ai produttori circa 37 centesimi al litro. Nel gennaio del 2008, nel periodo pre-crisi economica, il prezzo al produttore era di 42 centesimi al litro, mentre il picco degli ultimi trent’anni è stato nel primo semestre del 2014, quando il latte era pagato 44.50 centesimi al litro. Il punto più basso dell’ultimo decennio nel giugno del 2016, con appena 33 centesimi al litro.

I distributori automatici erano considerati una vera e propria boccata d’ossigeno per una grandissima fetta di produttori bergamaschi: “Permettono la vendita direttamente al consumatore a prezzi dignitosi – spiega Alberto Brivio, presidente di Coldiretti Bergamo -. Per questo quelle casette potevano essere viste come una valida alternativa a chi non voleva vendere la totalità del proprio latte alle industrie. Ma negli ultimi anni questi distributori sono nettamente diminuiti sul territorio: molto dipende dal cambio dei costumi del consumatore, condizionato da una campagna denigratoria del prodotto che ha tarpato le ali a questo progetto. La batosta finale è arrivata con la pandemia, che ha spinto molti clienti verso la grande distribuzione, spesso per acquistare prodotti che non possono neanche essere definiti latte”.

Nel 2020, anno fortemente segnato dal lokdown di marzo-aprile-maggio e dalle restrizioni tornate da ottobre a dicembre, i prodotti lattiero caseari sono stati quelli più acquistati nei supermercati, con un +5,1% rispetto al 2019. A questo aumento – dicono i dati di Assolatte – ha contribuito in maniera netta il latte Uht, che ha fatto registrare un +9,5% rispetto all’anno precedente, mentre il consumo di latte fresco è calato drasticamente, di oltre 3 punti percentuali.

Nel 2020 il latte Uht è stato tra i prodotti più venduti nei supermercati (Getty)

“Ma il latte crudo non si merita tutto questo – continua Brivio -. Stiamo parlando di un prodotto che non ha mai dimostrato criticità, che non ha mai causato fenomeni che hanno toccato la salute delle persone. Il latte crudo ha sempre dato tutte le garanzie possibili e immaginabili in termini di sanità, di salubrità, di genuinità, di qualità. E il progetto dei distributori va letto anche sotto un’altra lente: aziende che si interfacciano direttamente col consumatore, senza etichette fuorvianti, senza raggiri, senza frodi. Credo che questo sia un prodotto da riscoprire, nell’ottica del km zero, in una provincia come la nostra che può essere considerata un’eccellenza italiana”.

Quando parliamo di latte crudo intendiamo quello allo stato naturale, appena munto, commercializzato così com’è prodotto dalla vacca, non pastorizzato e nemmeno impacchettato, ma venduto sfuso in fattoria o negli appositi distributori dopo essere stato solo filtrato e refrigerato a 4°C.

Per poter vendere il latte crudo le aziende agricole lombarde vengono sottoposte a frequenti e rigidi controlli: “Di fatto possiamo dire che il latte crudo è molto più controllato di quello che finisce alle industrie per essere pastorizzato – conferma il dottor Antonio Sorice, direttore del Dipartimento Veterinario di Ats Bergamo -. In questo caso dobbiamo prestare la massima attenzione a quei microrganismi patogeni che non avremo la possibilità di eliminare tramite trattamenti termici prima di consegnare il prodotto al consumatore finale”.

Il lavoro di Ats, quando si parla di latte crudo, si divide in tre fasi: “Il controllo dei farmaci assunti dagli animali, la verifica del benessere delle vacche e gli esami sul prodotto finale – spiega il dottor Sorice -. Mensilmente l’allevatore deve consegnare alle autorità di controllo dei test autoprodotti, mentre i nostri tecnici passano a sorpresa, un paio di volte l’anno, nei vari distributori automatici per prelevare dei campioni di latte. In questo modo abbiamo un quadro completo del prodotto che arriva nel bicchiere dei bergamaschi”.

Il cartello esposto sulla casetta di Cologno al Serio, nella piazza del mercato

Sulla possibilità di bere latte crudo senza passare da una bollitura preventiva il dibattito va avanti da anni. Nel 2008, per mettere tutti d’accordo, il ministero della Salute ha stabilito che il latte crudo dev’essere obbligatoriamente consumato dopo bollitura “per eliminare – si legge sull’ordinanza del 10 dicembre 2008 – l’eventuale presenza di agenti patogeni che possono essere presenti nel latte pur nel rispetto di tutte le norme igieniche, evitando così che gli eventuali pericoli microbiologici si trasformino in rischi reali per la sua salute. Il latte crudo non sottoposto a trattamento termico – specificano ancora dal ministero della Salute – provoca seri rischi per la salute: basti pensare alla brucellosi o alla tubercolosi e, da ultimo, alle sindromi emolitico-uremiche nei bambini”.

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